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Il Sessantotto di Rossana Rossanda

L’Anno degli studenti36 è molto più di una dettagliata road map in presa diretta degli

eventi che si succedono dentro e fuori le università italiane tra il 1967 e 1968, ma è piuttosto un tentativo di indagine sulle matrici culturali del movimento e sulle cause che hanno condotto alla sua esplosione. Rossanda, il cui interesse si distingue dalla diffidenza nutrita – almeno nella fase inziale - dalla maggioranza dei dirigenti comunisti, dimostra di saper cogliere, in tutta la loro portata, la novità delle agitazioni

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studentesche, evitando pregiudizi o sospetto, ma piuttosto apprezzando la distanza dalle tradizionali forme di organizzazione degli operai, dei partiti o del sindacato, attraverso un’osservazione oggettiva del fenomeno in atto.

Rossanda rileva in primis che il movimento non ha precedenti sia per quanto riguarda la struttura, dal momento che ha assunto una tipologia organizzativa egualitaria e assembleare, sia per il linguaggio politico: la caratteristica più evidente è il fatto di presentarsi come contestazione totale, attraverso il rifiuto apriori non solo del sistema-università, ma anche del sistema-società, senza alcuna piattaforma positiva o costruttiva. Anche in Italia, come era successo negli States e negli altri paesi europei, il movimento degli studenti giunge quindi ad assumere una fisionomia del tutto particolare, diventando un momento di conflitto e di trauma nei confronti dell’establishment politico. Nonostante gli esiti incerti di quella che è definita “un’accelerazione rivoluzionaria”37, Rossanda sostiene che l’interpretazione del meccanismo di formazione culturale del movimento sia fondamentale per riuscire a comprenderlo e a misurarne le possibili ripercussioni a livello sociale. Essa affronta il compito allargando la propria visuale d’indagine al panorama internazionale, cercando di cogliere gli elementi di continuità e le differenze rispetto agli altri contesti sociopolitici.

La tesi principale della futura dirigente de Il Manifesto è che gli studenti europei si siano dotati di un complesso ed eterogeneo pantheon ideologico, che si presenta come un insieme sincretico di pensieri e di esperienze differenziati. L’omogeneità riguarda essenzialmente le principali matrici filosofico-culturali, che formano un sostrato comune, al di sopra del quale in ogni ambito nazionale, addirittura in ogni ateneo, si sviluppano specifici ideali e originali obiettivi di lotta, coerentemente con il contesto di riferimento.

Riandando alle lotte del 1966-1967, colpisce il duplice itinerario dal quale viene la crisi della vecchia rappresentanza, già interamente consumata in quell’anno; e precisamente nelle occupazioni di Trento e Venezia attraverso la critica conseguente di un modello di formazione culturale e professionale, come punto di partenza della scoperta della rigida funzionalità dell’università al “sistema”; a Pisa come sbocco d’un travaglio interno della rappresentanza, e in particolare della tematica che era stata della sinistra del

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movimento studentesco rappresentativo, l’Unione Goliardica Italiana, la cui ricerca già al Congresso di Napoli si era andata orientando verso una definizione della condizione studentesca del meccanismo capitalistico, e quindi verso una “sindacalizzazione” che era, in realtà, densa d’un’immediata politicizzazione del movimento.38

Alla base di quel movimento così variegato e multiforme, Rossanda individua due testi di Herbert Marcuse, Eros e Civiltà, edito nel 1955, e L'Uomo a una dimensione, del 1964.39 Del primo, si riflette nel Sessantotto la critica del filosofo tedesco alla repressione esercitata dalla società nei confronti degli istinti e della ricerca del piacere degli individui. L'istintività e il piacere sono stati asserviti da ciò che Marcuse definisce il "principio della prestazione", cioè il sostanziale impiego di tutte le energie psico-fisiche per il raggiungimento di scopi produttivi e lavorativi. Il secondo aspetto del pensiero di Marcuse che fa breccia negli studenti ha invece a che fare con il mutamento di soggettività politica: un’osservazione, che seppure con sfumature diverse, si ritrova anche al centro della recente riflessione di Jean Paul Sartre e del suo marxismo critico.40 Marcuse sostiene che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, cioè la classe operaia, ormai completamente integrata nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla società benestante, quello che in un passo-chiave del suo libro descrive come:

Il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la regola del gioco e così facendo mostra che è un gioco truccato.41

I giovani, gli studenti, si percepiscono come uno dei punti della società dove la presa di coscienza della disumanità del sistema risulta particolarmente immediata e totale.

38 Ivi, p.31.

39 Cfr. H. MARCUSE, Eros e civiltà, Beacon Press, Boston, 1955 e H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione: l'ideologia della società industriale avanzata, Beacon Press, Boston, 1964.

40 Vedi capitolo 2.

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“Mantenete il vostro rifiuto”, era infatti l’invito rivolto loro da Marcuse e da Sartre, dagli rispettivi osservatori di Berlino e di Parigi. Ad ispirare gli studenti ci sono anche altre significative “scoperte”: l’imperialismo, il Vietnam, la guerriglia latino- americana e una figura emblematica come quella del “Che”; la rivoluzione culturale di Mao, che diventa un modello di ispirazione alternativo a quello sovietico, soprattutto per l’accento posto sul volontarismo e sulla eticità dell’agire sociale, che esercitano un fascino trascinante tra i giovani “intrappolati” nella società del comunismo. Ancora, nella piattaforma culturale degli studenti entrano a far parte la critica dello Stato di Lenin, il messaggio rivoluzionario di Don Milani, i più recenti sviluppi della psicoanalisi, l’esperienza di liberazione antipsichiatrica di Basaglia, ma anche il misticismo operaista di Walter Rathenau, pur considerato da Franco De Felice un precursore del movimento fascista, e La Ribellione delle masse di Ortega y Gasset.42

Le cause che hanno portato a un “addensamento” di componenti tanto diverse tra di loro fino all’esplosione del 1968, sono individuate da Rossanda, in primo luogo, nel dato sociale della spinta all’istruzione provocata dai meccanismi del neocapitalismo e l’inadeguatezza delle risposte da parte delle forze politiche parlamentari. Dal punto di vista politico, l’autrice passa in rassegna una serie di eventi che denuncerebbero l’acutizzarsi, su scala mondiale, delle contraddizioni del capitalismo e dello scontro di classe: Vietnam, America latina, Africa, Cina, fino ad arrivare al fallimento del centro-sinistra in Italia “ognuno di questi fatti contribuirà a mettere insieme quel detonatore che provocherà, da novembre al momento in cui si scrivono queste righe, la nascita e il dilagare del movimento studentesco”43.

La composita formazione ideologica degli studenti, che ne rende difficile anche solo l’esatta collocazione nel panorama politico, al netto della sicura definizione di “anticapitalista”, comporta una serie di criticità che non sfuggono a Rossanda. Da una parte, essa soppesa le complesse conseguenze della rottura del principio di autorità, considerato nell’accezione classica weberiana e nelle sue tre varianti tradizionale, carismatica e legale-razionale. Il limite dell’antiautoritarismo universitario, secondo

42 J.ORTEGA Y GASSET, La ribellione delle masse, Il Mulino, Bologna, 1962.

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Rossanda, è il rifiuto di qualsiasi scala di valori, che potrebbe far sconfinare il movimento in un possibile fascismo di sinistra, il richiamo è ad Habermas, oppure in un giovanilismo la cui dissacrazione del sistema diventa esclusivamente un “puro fatto di gusto o costume”.44

Dall’altra, l’autrice è consapevole che il rischio per il movimento è quello di restare una “coscienza” a sé stante, separato dal resto della società e privo di un reale peso politico. A questo proposito, Rossanda considera “paralizzante” l’irriducibile rifiuto al dialogo con qualsiasi altra forza politica, che rende di fatto impossibile ampliare la base della protesta ad altri ambiti sociali: il problema resta quello classico novecentesco, del come innescare la rivoluzione.

L’attenta lettura operata, orienta Rossanda verso un’interpretazione articolata del Sessantotto studentesco, che sicuramente ha il pregio di non fermarsi al “fastidio” che “le forze politiche organizzate del movimento operaio hanno sempre avuto verso chi si presenta sul loro stesso terreno a discorrere di rivoluzione”.45 Il principale limite del Pci, secondo Rossanda, è quello di aver rifiutato di assumere le ragioni del movimento, non cogliendo appieno le potenzialità della contraddizione che esso stava rappresentando nel contesto politico e sociale italiano. Pur cogliendo i limiti principali del nuovo fenomeno politico, individuati soprattutto nello scarto tra un’eterogenea spinta verso la libertà, l’egualitarismo, la giustizia sociale, la partecipazione e la carica volontaristica, e il reale margine di azione politica, Rossanda è consapevole – non a posteriori, ma mentre il 1968 è in pieno svolgimento- che quegli studenti in rivolta sono una novità assoluta e un capitale, umano e politico, imprescindibile per la causa della sinistra socialista. Essa stessa aderisce esplicitamente a molti dei temi e delle lotte ideali del movimento studentesco, cercando però uno sbocco politico per provare ad accelerare il processo di transizione al socialismo: sarà proprio questo uno tra i principali obiettivi politici della nuova esperienza de Il Manifesto.

44 Ivi, p. 64.

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Già nelle Tesi per il comunismo, infatti, a due anni di distanza dall’ondata di protesta nelle università, si rileva come gli studenti siano un alleato imprescindibile del nuovo blocco sociale rivoluzionario, dal momento che essi costituiscono “il reparto più disponibile di un settore sociale qualitativamente moderno”.46 La lotta degli studenti, ancor più se unita a quella degli operai, è considerata la “leva decisiva” per innescare la crisi del sistema capitalistico: tuttavia, la forza rivoluzionaria del movimento studentesco necessita di essere ricondotta a una nuova progettualità, dal momento che, evidentemente, al gruppo di fondatori de Il Manifesto erano già chiari i limiti intrinseci della rivolta giovanile. L’analisi avanzata nel contesto delle Tesi traccia infatti un bilancio complessivamente critico di quell’esperienza.

Ma essa ha finora potuto esprimere questa sua dirompente novità in modo solo parziale e disarticolato essendo stata abbandonata alla spontaneità, senza una cultura che ne integrasse la spinta di rivolta, senza una organizzazione politica che ne coordinasse gli elementi in una strategia organica, anzi di fronte alla osti-lità di tutte le forze istituzionali. Le rivendicazioni egualitarie non sono cresciute in un discorso politico-ideale, in una riconsiderazione di tutto il problema della gerarchia professionale su tutta l’area della società. Il rifiuto pratico dell’organizzazione capitalistica del lavoro non è diventato una cri­tica positiva della divisione capitalistica del lavoro e del modello di sviluppo che ne consegue. Le nuove forme di organizzazione in fabbrica, riassorbite nelle istituzioni o isolate, sono state un’ancor pallida prefigurazione di una esperienza consiliare di tipo nuovo. Le lotte operaie non sono riuscite a investire con forza i problemi sociali che ne costituivano la naturale proiezione (casa, scuola, salute, trasporti). Il movimento studentesco, così rapidamente approdato al rifiuto radicale della scuola come strumento di riproduzione dei ruoli sociali capitalistici, si è fermato a una critica ideologica del sistema senza una saldatura con la classe operaia sui contenuti specifici dei rispettivi interessi sociali, ed è venuto perdendo la sua base di massa.47

Secondo la lettura interpretativa presentata, il movimento non aveva trovato il sostegno di una cultura e di un’organizzazione politica capaci di coglierne le componenti più avanzate. Non solo, ma si intravvede anche una carenza oggettiva della rivolta studentesca – e anche di quella operaia – nella spontaneità: “gli stessi processi di proletarizzazione, di parcellizzazione del lavoro, di disgregazione della scuola, di massificazione dei tecnici e degli studenti, che spingono la spontaneità di questi gruppi al di là del tradeunionismo e su posizioni anticapitalistiche, ne limitano anche la capacità immediata di rompere l’orizzonte del sistema con qualcosa di più del rifiuto e della protesta”.48

46 Perché le tesi, in “Il Manifesto”, numero 2, settembre 1970, p. 41.

47 Ibidem.

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Il Manifesto indica quale priorità l’attuazione di una strategia complessiva e l’apporto

di una nuova forza politica che possano consentire appieno lo sviluppo del movimento.

La mancanza di una alternativa generale al sistema, a livello sociale e politico, è stata però l’ostacolo principale contro il quale hanno urtato i settori di punta del movimento. Un ostacolo decisivo proprio perché la loro lotta poneva direttamente in questione il sistema e non poteva procedere oltre senza disporre del potere statale. Operai e studenti non sono riusciti a investire altri settori (il mezzogiorno, l’agricoltura, i disoccupati e gli esclusi) e altri problemi (i consumi sociali, l’apparato distributivo, la pubblica amministrazione), se non nel senso ancora elementare di una febbre rivendicativa trasmessa all’intero corpo sociale; né sono riusciti a modificare il quadro politico, se non aprendo un varco ai progetti di inserimento dell’opposizione di sinistra. Questo è il nodo irrisolto di una politica alternativa.49

Se nell’immediato, quindi, prevale l’obiettivo politico di coagulare le diverse componenti sociali verso la rivoluzione, a distanza di anni, Rossana Rossanda compie un’analisi più approfondita e senza dubbio più pessimistica relativamente agli esiti concreti delle lotte studentesche. Il bilancio retrospettivo della dirigente comunista mette infatti in luce alcuni elementi di fragilità intrinseci al movimento del Sessantotto, riconducibili sostanzialmente alla mancanza di organizzazione politica che avrebbe potuto dare forma a quello che sembrava essere soltanto lo scoppio di una passione ardente, all’interno di un universo simbolico in cui si mischiavano elementi troppo diversi, per certi aspetti contradditori, privi del sostegno teorico di una riflessione politica sistematica. “I sessantottini erano libertari, antiborghesi, antisistema, anticapitalistici e antiimperialisti. Ogni tanto acclamavano Lenin, Rosa Luxemburg (pochi), Ho Chu Minh, Mao (di più), ma erano soltanto simpatici simboli”.50

I due punti più critici sono la stretta connessione tra gli esiti controversi del movimento e la nascita dei gruppi della sinistra extraparlamentare. “In quel ribollire di proposte moltissimi transitarono da un gruppo all’altro e molti, che non si sentivano espressi o consideravano fatale ogni sorta di organizzazione, si dibatterono nell’autogestione dei controcorsi”.51

49 Ibidem.

50 R.ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino, 2005, p. 363.

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A prevalere, secondo Rossanda, sarebbe stato una sorta di “rancore della sconfitta” che spinge le nuove generazioni da una parte verso un atteggiamento di rifiuto totale, del “tutto e subito” senza alcun tipo di analisi, tesi e linea politica e, dall’altra, verso una deriva minoritaria violenta, che sarà all’origine del 1977 e del successivo reflusso. In secondo luogo, Rossanda analizza anche la responsabilità del Partito Comunista Italiano nel non essere riuscito – o, meglio, di non aver voluto – coagulare quella forza giovanile in rivolta, contribuendo, in qualche modo a disperdere un importante capitale politico in una miriade di “gruppuscoli” in eterna concorrenza tra di loro.

Finché durò l’eruzione studentesca il Pci non aprì bocca. Si cacciò in un angolo inarcando il dorso come un gatto sotto il temporale. Quando qualche anno dopo ne avrebbe veduto le derive minoritarie violente non si chiese niente, non si rimproverò un’omissione, si felicitò con sé stesso e passò dalla parte dell’accusa. L’assenza fu teorizzata come severamente critica, ma fu assenza e basta.52

La ricerca ha consentito di indagare nel dettaglio l’articolazione, anche in senso diacronico, del rapporto tra Rossana Rossanda e il movimento di contestazione degli studenti. Un rapporto non scontato, che si compone di diversi elementi: osservazione, studio, elaborazione di una proposta di riforma della scuola e del sistema universitario italiano, proposizione di un progetto politico in grado di incanalare la forza dirompente della protesta. Pensiero teorico, quindi, ma anche azione politica attiva, non disgiunti dalla capacità di analisi e di ascolto: credo che questo aspetto sia, in sintesi, il pregio dell’apporto della dirigente comunista nell’approcciare un tema così complesso come quello sistema accademico italiano. Inoltre, la condivisione delle rivendicazioni degli studenti non impedisce a Rossanda di soppesarne i più evidenti limiti e a riconnetterli, retrospettivamente, agli sviluppi politici e sociali degli anni successivi. Il contributo di Rossanda è stato senza dubbio rilevante nella costruzione della piattaforma delle Tesi per il comunismo, in cui, come avremo modo di vedere, gli studenti diventeranno i soggetti politici del nuovo progetto rivoluzionario.

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Capitolo V