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L’ipotesi che la “recezione” del giusnaturalismo presenti due aspetti, uno prevalentemente intellettuale e tecnico pertinente alla formazione del giurista, l’altro fortemente motivato dal punto di vista politico, appare via via più utile, quanto più ci si inoltra nei primi decenni del Settecento, alla comprensione del fenomeno della circolazione e dell’utilizzo di queste dottrine. Nel caso del Granducato si deve considerare in primo luogo quanto fosse determinante la posizione internazionale dello stato toscano nell’orientare la scrittura pubblica dei suoi intellettuali. La storiografia che si è occupata di studiare la teoria dell’ordine internazionale nell’epoca moderna ha rilevato il significativo apporto dato a questa elaborazione dall’integrazione di due elementi: «l’articolato sviluppo delle dottrine giusnaturalistiche dello jus gentium e l’evoluzione della teoria della ‘ragion di Stato’ in dottrina degli ‘interessi degli Stati’».105

105 M. Bazzoli, Piccolo stato e teoria dell’ordine internazionale dell’età

moderna, in Polis e piccolo stato tra riflessione antica e pensiero moderno, a cura di E.

Gabba - A. Schiavone, Como, Edizioni New Press, 1999, pp. 76-93; ora anche in

L’esercitazione accademica di Sutter, stimolata e sicuramente rivista dall’Averani, aveva non a caso come tema la questione del diritto della guerra e della pace. Come si vedrà più avanti, lo studio dei testi di alcuni giuristi ed esponenti del ceto dirigente, quali Niccolò Antinori, Giuseppe Averani, Francesco Frosini e Giuseppe Maria Buondelmonti conferma l’esistenza di un processo di selezione delle dottrine giusnaturalistiche: 1. bilanciato in vista della circolazione europea dei diversi scritti toscani; 2. orientato politicamente ora per affrontare le questioni successorie, ora per disegnare una aggiornata immagine degli assetti politici ed istituzionali e della società civile, ora per suggerire la scelta della neutralità e un ruolo specifico dei paesi neutrali nelle relazioni internazionali.

Il profilo del Granducato come “piccolo stato” emerge chiaramente sia dalla valutazione delle caratteristiche fisico- geografiche, demografiche, economiche e politico-militari, sia dall’esame del ruolo svolto nel «sistema internazionale di potenza» europeo del XVII e XVIII secolo, intendendo con quest’ultima espressione che il sistema degli stati e lo sviluppo della politica internazionale si erano andati determinando sulla base degli interessi delle grandi potenze.106

Circa le risorse intrinseche di questo territorio è sufficiente riportare in questa sede alcune considerazioni proposte da Malanima rispetto all’economia toscana dell’età di Cosimo III, periodo che, secondo lo studioso sarebbe complessivamente da rappresentare piuttosto che come «un’epoca d’immobilismo e di malessere economico», come «un’età di cambiamenti sia nelle città che nelle campagne e di relativo benessere, non per tutti, ma certamente per larghe fasce della

106 M. Bazzoli, Il piccolo stato nell'età moderna. Studi su un concetto della

popolazione rurale».107 A proposito del movimento demografico, nel

periodo tra il 1640-42 e la fine della dinastia medicea, è stata accertata un’espansione demografica pari circa al 24%: gli abitanti passarono infatti da 721.000 a 894.000. Tale incremento, iniziato intorno al 1660 e dovuto principalmente ad una riduzione del tasso di mortalità, fu costituito per la massima parte dallo sviluppo delle zone rurali, in particolare nella parte occidentale dello stato. La popolazione delle città risulta in aumento molto più modesto; l’unica eccezione – è bene evidenziarlo – fu Livorno, che registrò un aumento della popolazione pari quasi al 100%.

Relativamente ai diversi settori produttivi, è da rammentare che sia la produzione, che l’occupazione della manifattura fiorentina della lana continuò a diminuire, dai 3500 panni prodotti nel 1666 si passò a soli 1500 l’anno nel corso del periodo 1717-24; l’industria serica della Dominante registrò invece un incremento della produzione di drappi, in linea con l’aumento di circa il 27%, della produzione annua di seta greggia in tutta la Toscana che passò, in valori assoluti, dalle 106.000 libbre registrate nel 1679-82 alle 135.000 del decennio 1720-29. Ma occorre ricordare, per inquadrare meglio il condizionamento che la manifattura subiva da parte degli avvenimenti internazionali, che le guerre comportavano un brusco calo dell’esportazione di beni di lusso. Nel campo tessile, in particolare nel settore della lana, fu la città di Prato a divenire in questo periodo il centro più produttivo del Granducato, raggiungendo negli anni Settanta del Seicento un livello di produzione di circa 2000 pezze l’anno. Relativamente al settore agricolo, la congiuntura di bassi prezzi dei cerali e l’abbondanza di materia prima, scoraggiarono gli investimenti nell’attività agricola.

Infine, rispetto ai commerci, la storiografia ha registrato una svolta positiva delle attività di scambio a partire dal 1670, constatando

107 P. Malanima, L’economia toscana nell’età di Cosimo III, in La Toscana

nell’età di Cosimo III, a cura di F. Angiolini - V. Becagli - M. Verga, Firenze, Edifir,

un notevolissimo incremento dalla metà del secolo in avanti delle case di commercio toscane, che da una passarono ad essere ben 64 nel 1672. Come è noto, al processo espansivo contribuì in maniera decisiva la definitiva istituzione a Livorno del porto franco, nel marzo del 1676, a partire dalla quale i traffici andarono estendendosi, così come è confermato anche dall’incremento, di circa l’1,5% l’anno, del numero delle navi entrate nel porto durante il periodo 1676-1700.

Negli ultimi decenni del Seicento il Granducato sembra dunque attestarsi sulla linea della stabilità – ha osservato Raviola – attraverso la scelta di una politica neutrale, che in termini concreti si tradusse in scarsi investimenti nel settore militare e entrate costanti fino al 1720, ma anche – sottolinea l’autrice – in un certo ristagno economico dovuto sia alla sempre minore produttività del settore agricolo, sia al ridimensionamento del ruolo del Granducato nel mutato quadro storico-internazionale.108

Se, come ha notato Verga, gli indirizzi di politica estera di Cosimo III debbono essere considerati in connessione con il rifiuto da parte del sovrano mediceo, a partire dagli anni ’90 del Seicento, di promuovere iniziative di riforma che potessero disgregare il tessuto sociale,109 sembra possibile inquadrare il ruolo del Granducato nel

sistema degli stati europei di fine Seicento e inizio Settecento come quello di un piccolo stato la cui conservazione era necessariamente connessa all’attuazione di una politica neutrale110 in grado di

assicurare l’attività commerciale.111

108 Cfr. B. A. Raviola, L’Europa dei piccoli stati. Dalla prima età moderna al

declino dell’antico regime, Roma, Carocci, 2008, p. 67.

109 Cfr. M. Verga, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo

III (1670-1723), in La Toscana nell’età di Cosimo III cit., pp. 335-354.

110 Tra gli editti per la neutralità dei porti e dei luoghi marittimi del

Granducato si ricordano, per il primo Settecento, quello del 14 giugno 1702, il successivo del 24 luglio dello stesso anno, quello del 28 dicembre 1739, e quello del 5 febbraio 1757; in riferimento all’editto del 14 giugno 1702 si vedano anche gli «Ordini per quelli che armano Vascelli in corso del dì 20 Maggio 1683 ab Incarnat.», cfr.

Sebbene il Mediterraneo non fosse più al centro dell’economia internazionale, almeno dalla metà del Seicento, quest’area «still remained throughout the ancien régime a decisive region, and thus one which invites investigation into the configuration of political and commercial relations between states of different sizes and “constitutional” structures», ha notato Antonella Alimento. Nel corso del Settecento, dunque, l’area mediterranea si conferma come scenario dello scontro tra «major powers that strived for hegemony in the area» e «states which, though of lower rank, were trying hard to carve out or hold on to positions that kept them within the mainstream of profitable trade».112 In un tale un contesto competitivo e culturalmente dominato

dalla dottrina mercantilistica, le classi dirigenti europee furono vigili nell’osservazione e nell’emulazione delle migliori strategie per sviluppare le proprie reti commerciali. Nel recente seminario internazionale sul tema dei free ports nell’Europa moderna,113

Alimento ha osservato che il “modello Livorno”, come porto di transito e

Stamperia Albizziniana da S. Maria in Campo, per Pietro Fantosini e figli, 1800-8, vol. XIX, pp. 295-297.

111 Sulla neutralità del porto di Livorno e del Granducato di Toscana: F. Diaz,

Il Granducato di Toscana. I Medici, in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, Torino,

UTET, 1976; Atti del Convegno “Livorno e il Mediterraneo nell’età medicea”, Livorno, Bastogi, 1978; J.-P. Filippini, Il porto di Livorno e la Toscana. 1676-1814, Napoli, ESI, 1998; L. Garibbo, La neutralità della Repubblica di Genova, Milano, Giuffrè, 1972; A. Addobbati, La neutralità del porto di Livorno in età medicea. Costume

mercantile e convenzione internazionale, in Livorno 1606-1806. Luogo di incontro tra popoli e culture, a cura di A. Prosperi, Torino, Allemandi, 2009, pp.71-85. Sulle

relazioni politico-commerciali dei diversi paesi europei, quali Gran Bretagna, Francia, Impero asburgico, Province unite d’Olanda, Spagna, ma anche dei potentati barbareschi, nell’area mediterranea, e sulle iniziative diplomatiche, legislative e culturali a sostegno della neutralità e dell’incremento della ricchezza del Granducato si vedano i diversi contributi presentanti nel recente volume a cura di A. Alimento,

War, Trade and Neutrality. Europe and the Mediterranean in seventeenth and eighteenth centuries, Milano, FrancoAngeli, 2011.

112 A. Alimento, Introduction, in War, Trade and Neutrality cit. p. 10.

113 The free ports in ancien régime Europe: Livorno, Trieste, the United

Provinces, Marstrand, Pisa, 5-6 novembre 2009, seminario tenutosi nell’ambito delle

attività del gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Antonella Alimento e costituito da studiosi afferenti alle Università di Pisa, di Venezia (Ca’ Foscari), di Parigi (Panthéon-Sorbonne), di Siviglia (Pablo de Olavide), di Rotterdam (Erasmus University) e all’École pratique des Hautes Études di Parigi. Parte degli spunti e dei contributi offerti in questa occasione, sono oggi disponibili nel volume War, Trade

free port, aveva costituito un riferimento per le politiche di sviluppo

economico dei diversi stati europei, e non solo per la Repubblica di Genova. Ancora nel 1721, la memoria dell’inviato inglese a Genova Henry D’Avenant avrebbe denunciato il rischio di una monarchia universale borbonica in grado di sottomettere la penisola, e dinanzi alla prospettiva della perdita d’indipendenza della Toscana, avrebbe argomentato a favore della creazione di un porto libero alla Spezia «in grado di sopperire all’eventuale sottomissione di Livorno».114 Anche nel

Settecento inoltrato, a ridosso della guerra di successione austriaca, il commercio avrebbe determinato le scelte di politica economica indirizzandole, appunto, alla creazione dei porti franchi di Trieste, Ancona, Napoli e Messina, che avrebbero insidiato il primato dei già esistenti porti franchi di Livorno, Genova e Marsiglia.

Appurato che in età moderna il commercio inglese nel Mediterraneo si concentrava a Livorno, proprio il confronto con Genova fa emergere i risultati positivi delle politiche granducali nello sviluppo di questa piazza: nei primi decenni del Settecento, le navi inglesi risultano il doppio o a volte il triplo rispetto a quelle che approdavano a Genova e, negli stessi anni, il Chapel Register della comunità protestante del porto granducale testimonia uno «“stabilimento” sostanzioso» nettamente superiore a quello osservabile a Genova.115

Ovviamente le oscillazioni dei traffici e delle presenze straniere nel Mediterraneo appaiono correlate alle congiunture militari, ma nel caso toscano la storiografia ha riconosciuto a Cosimo III, costantemente sollecitato a schierarsi a favore dell’uno o dell’altro gruppo di belligeranti, la capacità di conservare la propria politica neutrale. Già nel maggio del 1683, il sovrano mediceo aveva emesso un ordine attraverso cui regolamentava gli «abusi, che a danno del Commercio e del Pubblico, s’introducono da quelli che armano Vasselli in corso

114 E. Grendi, Gli inglesi a Genova (secoli XVII-XVIII), «Quaderni storici»,

2004, XXXIX, 1, pp. 241-278 (p. 254).

contro l’inimico Comune nel Porto Franco di Livorno».116 Solo pochi

anni dopo, nel dicembre del 1690, aveva incaricato il suo gentiluomo di camera, Tommaso Del Bene, di recarsi alla corte di Francia per ricucire i rapporti con Luigi XIV, il quale minacciava di violare la neutralità del porto cogliendo l’occasione di alcuni incidenti verificatisi a Livorno tra navi inglesi ed olandesi da una parte, e navi francesi dall’altra.117 Nel

1692, nel contesto della guerra della lega d'Augusta, il granduca si adoperò perché venisse confermato il carattere internazionale delle franchigie vigenti a Livorno.118 Tra gli editti cosimiani per la neutralità

dei porti e dei luoghi marittimi del Granducato vanno altresì ricordati quello del 14 giugno 1702 – che richiamava anche l’ordine del 1683 – e il successivo del 24 luglio dello stesso anno.119

Garibbo ha opportunamente segnalato che nella situazione internazionale del primo Settecento, nella penisola italiana è già possibile rintracciare un «rovesciamento del significato dell’equilibrio nell’ambito dei rapporti tra grandi e piccoli stati», che a livello europeo si sarebbe sviluppato solo nella seconda metà del secolo.120 Si tratta in

definitiva della trasformazione della funzione attribuita dal sistema diplomatico ai piccoli stati: da elemento attivo in un sistema di garanzia dell’equilibrio contro le ambizioni di una grande potenza, ad elemento passivo strumentalmente utilizzato dalle potenze maggiori che autonomamente destinano questo o quel territorio al bilanciamento delle forze sulla scena internazionale.

116 Il testo dell’ordine del 20 maggio 1683 è presente anche in Legislazione

toscana raccolta e illustrata da L. Cantini cit., vol. XIX, pp. 295-297.

117 Cfr. P. Benigni, Del Bene, Tommaso, in DBI, 1988, vol. XXXVI, ad vocem. 118 Cfr. E. Fasano Guarini, Cosimo III de’ Medici, in DBI, 1984, vol. XXX, ad

vocem.

119 Cui sono da aggiungere per la prima metà del Settecento, quelli emanati,

in epoca lorenese, il 28 dicembre 1739, e il 5 febbraio 1757, cfr. Legislazione toscana

raccolta e illustrata da L. Cantini cit., vol. XXI, pp. 233-234; sulle iniziative

normative della seconda metà del Settecento, che si richiamarono anche a quelle del 1739 e del 1757, si veda F. Angiolini, From the neutrality of the port to the neutrality

of the state: Projects, debates and laws in Habsburg-Lorraine Tuscany, in War, Trade and Neutrality cit. pp. 82-100.

Dinanzi a questa situazione si deve registrare la consapevolezza da parte del ceto dirigente toscano della prescrittività del sistema internazionale di potenza. Come si è detto l’esame dei testi di Antinori, Averani, Frosini e Buondelmonti suggerisce che le diverse scritture dei membri del ceto dirigente utilizzarono la dottrina groziana in materia di relazioni internazionali per promuovere e per accreditare il Granducato presso la società politica internazionale. L’immagine del Granducato toscano appare dunque essere costruita per l’opinione pubblica europea mediante la costante valorizzazione del principio dello stare pactis: attraverso questo principio, il ceto dirigente toscano tentava di connotare il piccolo stato neutrale come imparziale e soprattutto affidabile.