La consapevolezza del ceto dirigente toscano della natura e del ruolo di piccolo stato del Granducato nel sistema degli stati europei emerge chiaramente quando, per iniziativa di Cosimo III, si aprì formalmente il problema della successione. Già la politica matrimoniale di Cosimo III, come ha ricordato il Verga, era stata determinata dalla necessità di preservare l’autonomia, l’integrità territoriale e gli equilibri costituzionali del Granducato dagli effetti della crisi degli equilibri europei che avrebbero coinvolto l’area italiana.121 L’allarme per le conseguenze a lungo termine della
variabilità di questi equilibri andò crescendo in Toscana via via che le vicende belliche e i mutevoli accordi politici sulla successione di Spagna lasciavano intravedere un poco rassicurante futuro per il Granducato, una volta estinta la dinastia regnante.
Già nel dicembre del 1710 a Firenze si era consapevoli del fatto che alla corte di Vienna si discuteva sul futuro del Granducato, con ipotesi di smembramento dello “Stato Vecchio” dal ducato di Siena e dai feudi imperiali nella Lunigiana, nella non peregrina prospettiva che nel giro di pochi anni sarebbero mancati tutti i discendenti maschi della casa Medici: Francesco Maria, il gran principe Ferdinando e Gian Gastone.122 La morte di Francesco Maria nel febbraio del 1711 e quella
dell’imperatore Giuseppe I nell’aprile dello stesso anno avrebbero dunque accelerato il dibattito interno ed internazionale sulla successione della Toscana.
Al granduca e al ceto dirigente toscano, che in quei mesi si interrogavano sulle prospettive politiche ed istituzionali del Granducato, si presentavano essenzialmente due ipotesi istituzionali:
121
Cfr. Verga, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III
(1670-1723) cit., pp. 349-350.
122 Da due cifre del granduca Cosimo III al marchese Carlo Rinuccini, Firenze,
2 dicembre 1710, e 6 gennaio 1711, riprodotte in E. Robiony, Gli ultimi dei Medici e la
la ricostruzione dell’antica repubblica oligarchica, ovvero la successione medicea per linea femminile. La prima ipotesi, presentata presso la conferenza di Geertruidenberg nell’inverno del 1710, preliminare alla pace di Utrecht del 1713, dall’inviato mediceo Carlo Rinuccini,123
avrebbe incontrato, almeno per quello che riportano i carteggi dello stesso, il favore del Gran Pensionario di Olanda, Anthonie Heinsius, e dell’ambasciatore inglese a L’Aia, il whig lord Charles Townshend.124
Con l’ipotesi di ricostituzione di un regime oligarchico-repubblicano, già illustrato ad Heinsius a L’Aia nell’agosto 1710,125 il Rinuccini si
faceva portatore non tanto dei desideri del granduca, il cui progetto era la successione della figlia Anna Maria Luisa, quanto piuttosto degli interessi del patriziato fiorentino di cui faceva parte.
123 Carlo Rinuccini (1679-1748), nominato da Cosimo III gentiluomo di
Camera nel 1697, nel 1699 fu inviato a Roma con Clemente Vitelli (ambasciatore presso Innocenzo XII), nel 1702 fu presso la regina d’Inghilterra Anna, nel 1704 presso Luigi XIV e dal 1705 al 1709 fu ambasciatore di Cosimo III a Madrid, presso la corte di Filippo V. Dal luglio 1709 al marzo 1710 rimase a Firenze, per poi partire alla volta dell’Olanda dove arrivò nell’agosto dello stesso anno. Nel viaggio si fermò a Düsseldorf alla corte dell’elettore palatino Giovanni Guglielmo, marito della figlia di Cosimo III Anna Maria Luisa. Per ordine di Cosimo III, che già non sentiva più alcuna urgenza di lavorare sull’ipotesi di ritorno alla repubblica, nel maggio 1711 il Rinuccini dovette spostarsi da L’Aia a Düsseldorf, per occuparsi di affari relativi alle contribuzioni; rappresentante del granduca all’incoronazione dell’imperatore Carlo VI, partecipò poi al congresso di Utrecht del 1713. Tornato a Firenze nel 1716 fu nominato dal granduca Consigliere di Stato e Segretario alla Guerra, cariche che avrebbe mantenuto, oltre che nel periodo del regno di Gian Gastone, anche durante la reggenza lorenese. Cfr. G. Aiazzi, Ricordi storici di Rinuccini Filippo di Cino dal
1282 al 1460, Firenze, Piatti, 1840, pp. 190-200.
124 L. Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina all’estinzione
della Casa de’ Medici, «La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti di Teramo»,
1897, XII, 7, pp. 289-301, (p. 292). Dai resoconti cifrati spogliati dal Bruni e dal Robiony si apprende che gli interlocutori privilegiati del piano di ricostituzione della repubblica a Firenze, cui anche il granduca Cosimo III in un primo momento (agosto 1710-agosto 1711) sembrò lasciare spazio, furono gli inglesi e soprattutto gli olandesi, a questi ultimi si chiedeva l’impegno di lavorare affinché nei successivi trattati di pace i territori toscani venissero integrati con quelli dello Stato de’ Presidi.
125 Dalla corrispondenza del marchese Rinuccini al granduca Cosimo III,
L’Aia, 28 agosto 1710, e 23 ottobre 1710; successivamente (26 febbraio 1711), nel medesimo carteggio, l’inviato mediceo riporta anche il consenso del cancelliere imperiale Zinzendorf al progetto di ricostituzione dell’antica repubblica fiorentina, seppur con l’esclusione di Siena e dei feudi imperiali. I passi più significativi delle lettere sopra menzionate sono trascritti in Robiony, Gli ultimi dei Medici cit., pp. 108- 110, p. 113, nota 2.
Sebbene Cosimo III avesse abbandonato il piano di ricostituzione della repubblica già nell’agosto del 1711,126 il Rinuccini continuava a
ribadirne l’opportunità nella sua nota lettera al granduca del dicembre di quello stesso anno:
ho sempre creduto, e credo più che mai, che il governo della Serenissima Elettrice possa essere sommamente utile, et applaudito in codesto paese […] Per dopo la morte di S.A.E. mi ricordo che V.A.R. più volte si è degnata di scrivermi in Olanda, che bisogna restituire al Paese quello del quale il Paese si era volontariamente spogliato per esaltare la Casa di V.A.R. […]. Dopo fatta e stabilita questa disposizione che è la più naturale e che sarebbe applaudita dentro e fuori lo Stato, vi è sempre tempo […] ad eleggere un capo,127 che ci governi come fa V.A.R. – In questo caso il Senato, e quelli
che devono avere l’onore di aiutare del loro consiglio il Principe in materie così gravi, dovrebbero essere consultati, et esaminare con mature, e lunghe riflessioni quel che più convenga al bene del Paese e pigliare sempre quella resoluzione che può essere più utile ai Popoli. Facendosi in altra forma, e correndosi a nominare un Principe senza le accennate diligenze e con derogare forse alla libertà del Paese, V.A.R. rifletta che si carica d’un gran peso avanti Dio e avanti gli uomini. So benissimo che non saranno mancate persone che avranno detto a V.A.R. che ella, senza l’intervento di nessun altro, ha una piena autorità di nominare per successore chi le pare, e che non corre nessun obbligo di restituire la libertà al Paese.128
126 Riaffermando come non sussistesse alcun «obbligo di rendere il governo
alla Repubblica», come si legge in una sua lettera del 17 agosto 1711, parzialmente trascritta in Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina cit., p. 298.
127 Ossia l’elezione di un uomo capace di governare se la forma repubblicana,
«l’antico governo», che era poi la reale proposta di Carlo Rinuccini per l’assetto politico istituzionale da instaurarsi dopo l’estinzione della dinastia medicea, fosse stata giudicata non adatta in quelle circostanze. Per la centralità di Carlo Rinuccini nell’elaborazione della proposta del ritorno al regime repubblicano si veda Bruni, Il
progetto di restaurare la Repubblica fiorentina cit., pp. 298-299, dove viene pubblicata
ampiamente questa cifra del Rinuccini del 17 dicembre 1711 al granduca Cosimo III, nella quale, inoltre, si può leggere: «Di più, se anche non ci fosse quell’obbligo di restituire al Paese la sua libertà, perché mai un Principe buono, come V.A.R., non avrebbe a cercare di fargli quel bene che puole, per generosità, per gratitudine e per molti altri motivi?».
128 Questo estratto della cifra del Rinuccini al granduca, del 17 dicembre 1711,
è tratto dalla trascrizione edita in Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica
fiorentina cit., pp. 298-299. Tuttavia si segnala che questa versione presenta alcune
significative differenze rispetto alla trascrizione pubblicata in Verga, Da “cittadini” a
“nobili” cit., p. 18, nota 13, la quale cita quanto presente in R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, Firenze, Cambiagi, 1781. Nel testo di Verga, ad esempio, si
legge: «In questo caso il Senato è quello che deve avere l’onore di assistere del buon consiglio il principe in materia così grave, dovrebbe esaminare con mature riflessioni quello che più convenga al bene […]», mentre in quello di Bruni si riporta: «In questo caso il Senato, e quelli che devono avere l’onore di aiutare del loro consiglio il Principe in materie così gravi, dovrebbero essere consultati, et esaminare con mature, e lunghe
Il richiamo del Rinuccini, apertamente manifestato in più occasioni, alla centralità del Senato per la definizione dell’assetto politico ed istituzionale del paese non aveva alcun fondamento specificamente istituzionale, era dunque una proposta politica espressione del ceto senatorio per il consolidamento del proprio potere nella gestione dello stato. Come ha notato Marcello Verga, il granduca aveva contribuito al rafforzamento di un ceto di governo – già omogeneo sotto il profilo culturale e politico – attraverso l’accelerazione del processo d’inserimento di esponenti delle famiglie dell’aristocrazia fiorentina negli apparati dello stato e la costituzione di un gruppo di giuristi di stato.129 Questa oligarchia aveva la forza di imporre
un’interpretazione «tutta aristocratica della storia dell’affermazione del principato mediceo, la cui origine e legittimità istituzionale erano poste nell’accettazione e nel consenso del “paese” e in primo luogo di quelle famiglie dell’oligarchia fiorentina che avevano voluto e accettato sì il principato mediceo senza per questo rinunciare ai loro diritti istituzionali, politici e sociali».130
La seconda ipotesi di soluzione era quindi il progetto di Cosimo III della successione immediata sul trono toscano della figlia Anna Maria Luisa, di cui aveva fatto balenare alcuni tratti ai medesimi Heinsius e Townshend sempre per tramite del Rinuccini, già negli incontri di questi presso L’Aia nel settembre-ottobre del 1710.131 Del
resto il granduca era convinto che la corte di Vienna «ne potesse avere
riflessioni quel che più convenga al bene del Paese e pigliare sempre quella resoluzione che può essere più utile ai Popoli», il corsivo è mio.
129 Cfr. Verga, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III
(1670-1723) cit., pp. 351-352; R. B. Litchfield, Ufficiali ed uffici a Firenze sotto il granducato mediceo, in Potere e società negli stati regionali italiani del ’500 e ’600, a
cura di E. Fasano Guarini, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 134-151.
130 Verga, Da “cittadini” a “nobili” cit., p. 19.
131 Dalle lettere di Carlo Rinuccini, L’Aia, 4 settembre 1710, e 30 ottobre 1710,
gusto, trattandosi di distinguere la moglie di un Principe zio dell’Imperatore».132
Nel gennaio del 1712 Carlo VI avrebbe dichiarato la concessione della immediata successione a Anna Maria Luisa,133 a condizione che
alla morte della Medici il trono toscano passasse all’imperatore stesso. Quindi nelle circostanze in cui, durante il congresso di Utrecht (gennaio 1712-luglio 1713), le diverse potenze europee si erano dimostrate restie nel decidere delle sorti della Toscana, mentre Carlo VI aveva modificato la legge di successione riguardante la linea femminile con la Prammatica sanzione (19 aprile 1713), ed era occorsa la morte del figlio primogenito del granduca, Ferdinando (30 ottobre 1713), fu proprio Cosimo III a prendere l’iniziativa. Con il motuproprio del 26 novembre del 1713, il granduca chiamava l’Elettrice Palatina alla successione eventuale di Toscana, in tutti i territori del suo dominio, subito dopo la morte dell’ultimo maschio della dinastia. Occorre dunque ricordare che fu proprio Carlo Rinuccini a suggerire a Cosimo III l’opportunità che l’atto avesse la ratifica senatoria, ratifica che ottenne immediatamente in data 27 novembre 1713.134
Appare verosimile che per il Rinuccini e i “repubblicani” fiorentini, non potendo ragionevolmente sperare in una pura e semplice restaurazione della repubblica, questa ratifica significasse porre una forte ipoteca sulla forma di governo. In effetti, le circostanze imponevano al ceto di governo una linea politica condivisa. Tuttavia, non possiamo ignorare che, quando tale politica si fosse indebolita,
132 Da una cifra di Cosimo III al marchese Rinuccini, Firenze, 18 novembre
1710, riportata in Robiony, Gli ultimi dei Medici cit., p. 113.
133 La lettera del Rinuccini al granduca, Francoforte, 5 gennaio 1712, nella
quale si riporta che l’Elettrice aveva rassicurato l’imperatore Carlo VI sul sospetto che la corte granducale stesse trattando con il duca di Berry o con qualche altro nemico della casa d’Austria, e in cui si descrive l’accettazione di Carlo VI all’immediata successione di Anna Maria Luisa, a patto che dopo di lei fosse chiamato a succedere l’imperatore stesso, è trascritta in Robiony, Gli ultimi dei Medici cit., pp. 118-119.
134 Il testo del motuproprio e quello della ratifica del Senato fiorentino sono
presenti anche in Legislazione toscana raccolta e illustrata da L. Cantini cit., vol. XXIV, pp. 17-22.
come accadde quando si profilò la successione di don Carlos nel Granducato, sarebbero riapparsi i contorni di orientamenti politici differenziati, proprio all’interno dell’oligarchia patrizia.
Nel corso del secondo decennio del XVIII secolo la situazione fiorentina era al centro degli interessi imperiali, e ciò appare confermato da numerose missive conservate presso gli archivi di stato a Firenze e a Vienna. L’aspetto più interessante che emerge da questi carteggi del 1715-16 è la particolare attenzione posta da parte dell’Impero alla verifica dell’effettiva neutralità del porto di Livorno e alla ricostruzione degli equilibri politici all’interno delle istituzioni di governo del Granducato, che due anni prima avevano deliberato il diritto di successione di Maria Luisa.135
Di particolare importanza si sono dimostrate le lettere del 1715 del commissario imperiale Carlo Borromeo Arese136 a Carlo VI, e quelle
dell’inviato Bonifacio Visconti al Borromeo, cui sono allegate delle note sul diritto del granduca mediceo di trasferire la sovranità per successione femminile, sul Consiglio di Stato e sul Senato di Firenze. In queste note si riscontra l’indicazione delle posizioni filo-austriache o gallispane dei diversi membri dei suddetti organi di governo. Altrettanto interessanti sono le lettere, datate 1716, del marchese Zanobi Maria Bartolini Salimbeni, delatore filo-imperiale, che sono accompagnate da due liste di famiglie nobili fiorentine con la descrizione delle posizioni politiche filo-austriache, gallispane e repubblicane.
In una lettera del 19 settembre 1715 dell’inviato imperiale Bonifacio Visconti si ricordano le difficoltà incontrate nelle svolgere le
135 Con il motuproprio del 26 novembre del 1713, Cosimo III aveva chiamato
l’Elettrice Palatina alla successione eventuale di Toscana, in tutti i territori del suo dominio, subito dopo la morte dell’ultimo maschio della dinastia; il 27 novembre successivo questo provvedimento otteneva la ratifica da parte del Senato fiorentino.
136 Cfr. G. Ricuperati, Borromeo Arese, Carlo, in DBI, 1971, vol. XIII, pp. 81-
proprie funzioni diplomatiche e soprattutto si indicano i soggetti reputati filo-imperiali e gallispani. Così scrive il Visconti al Borromeo:
Li Ministri tutti di quella Corte [si intenda la corte granducale] non volero trattar meco per non accrescere la gelosia al Ministro Galispano non omettendosi tutte le occasioni di compiacerlo, assistendo a quella Corte per il Signor Duca d’Angiò il Padre Maestro Ascanio Domenicano di natione spagnola, amico di tutti quelli, che assistono al Gran Duca, e massime del Presidente Antinori, e Gran Priore Del Bene. Son stato pure a riverire il Gran Prencipe, con questo non ho discorso di negocio, ma solo di cose indifferenti. Questo assiste bensì al Consiglio di Stato, che si tiene tre giorni la settimana alla sera, ma non s’impiccia ponto in alcun interesse per non disgustare il Padre gelosissimo della sua autorità e commando. Sono stati a vedermi tutti li Feudatari Imperiali, protestando una somma veneratione, e obedienza al Padrone Augustissimo, e nell’istesso tempo a supplicare V.E. della sua protetione alle occorrenze. Questi sono stati li Conti Bardi Cavalieri di farne conto in ogni acidente; il Marchese Corsini, benché sij guardarobba del Signore Gran Duca, e che abbia molte altre incombenze in quella Corte; li Marchesi Malaspina; il Conte Pecori, che fu Gentilhomo della Camera del defonto Imperatore Giuseppe.137
Le posizioni politiche dei membri del ceto di governo granducale, sono considerate in prevalenza gallispane. Come si legge in una lettera del 9 ottobre 1715 a Carlo VI, il ministro plenipotenziario per i feudi d'Italia Carlo Borromeo Arese avverte: «che la Nobiltà Fiorentina teme il governo della Casa di Francia, e che ella ancora inclina a quel governo antico, che non ha avuto che l’apparenza di libertà e Repubblica, e che senza pregiudizio delle ragioni di V.M. si potrebbe dare quell’alimento a loro desiderij e speranze, che facilitasse il maggior servigio della M.V. e per notizia rimetto nella nota segnata C gli nomi di quelli Cavalieri, che formano il Senato».138 Nelle note
allegate, dunque, il «Consiglio di Stato» di Cosimo III, composto dal gran principe Gian Gastone, dal gran priore Del Bene, dal marchese
137 Lettera, non autografa, di Bonifacio Visconti a Carlo Borromeo Arese,
Milano, 19 settembre 1715, in Haus-, Hof- und Staatsarchiv Wien (d’ora in poi HHStAW), Staatenabteilungen, Italien, Toskana, 6, cc. 859r-868v.
138 Lettera, non autografa, di Carlo Borromeo Arese a Carlo VI, Cesano, 9
Riccardi, dal marchese Carlo Rinuccini, dal senatore Niccolò Antinori, e dai Segretari di Stato, abate Gondi e Montemagni, è così descritto:
Non si ha riscontro, che nessuno di questi ministri siano ben affetti alla Casa Augustissima d’Austria, anzi le presunzioni ed apparenze sono del tutto contrarie, si sa però, che non ostante questa inclinazione, che prevale, non sogliono essere fra loro molto uniti.139
Anche diversi altri soggetti, al di fuori del consiglio, ma esponenti della corte granducale, sono reputati gallispani; tra questi sono ricordati un certo «Baron Bettino Roversciolo?», capitano della «guardia Allemanna», il «Canonico di Venazzano», ossia da Verrazzano, così come diversi religiosi quali il «Priore Gonsalez Corrada» gesuita milanese, il «Padre Pennoni?», il «Padre Bragucci», il «Padre Campana di Volterra», e un «Religioso Carmelitano Scalzo»; proprio rispetto ai suddetti «Religiosi» si avverte: «Si credono tutti uniti e d’accordo per li affari della Corte di Francia, essendo il Gran Duca Principe pio, e pieno di timore d’eternità, si presume, che con questo mezo avanzino le loro Idee».
Dei quarantatré senatori riportati nella nota C allegata alla menzionata lettera del 9 ottobre 1715 di Carlo Borromeo Arese a Carlo VI, ben ventidue sono considerati «gli adherenti alla Casa di Francia, e del Duca d’Angiò», e solo cinque quali «adherenti all’Augustissima Casa»; gli altri si suppongono indifferenti, anche perché «non hanno manifestato la loro inclinazione». Quanto poi alle «famiglie nobili», anch’esse sono considerate di diverse «inclinationi perché altri inclinano alla continovazione del Principato, altri che si possa rimettere la Repubblica sul piede antico, altri già impegnati per la Casa di Francia, e del Duca d’Angiò».140
139 Ibidem. La nota B «Conseglio di Stato di Firenze» si trova alle cc. 861r-
862v); la nota C «Il Senato di Firenze» si trova alle cc. 863r-866.
140 A conclusione della nota C, si legge: «Per l’Augustissima casa si contano
puocche famiglie fra queste sono: / Il Marchese Cosimo Riccardi faccoltoso, ed il più ricco del Paese / Il Marchese Corsini come feudatario Imperiale, ma avendo cariche in
Anche nella corrispondenza, datata 1716, del marchese Bartolini Salimbeni, sono allegate due liste di famiglie nobili fiorentine con la descrizione delle posizioni politiche. Nella copia della lettera inviata da Firenze, il 3 marzo 1716, dal Bartolini Salimbeni al marchese di Corpa a Genova si legge: «Descrizione delle Famiglie Nobili di Firenze nell’anno 1715, di qual umore siano, e a che inclinino, dovendosi avvertire, che quelle, che son poste di genio republichiste, ve ne può essere molte Francesi: del Partito Austriaco solo sicuramente si può fare capitale di circa 20 famiglie, e più certe, e sicure».141 In questa
prima lista, le famiglie descritte come «Austriche», sono circa 54, quelle indicate come «Francesi» circa 130, quelle dei «Republichisti» ammontano ad oltre 170. Da un riscontro tra le liste presenti nei carteggi del Borromeo Arese e quelle del Bartolini Salimbeni risulta una larga coincidenza di giudizi. Le poche varianti, per quanto riguarda le famiglie principali, sono dovute al fatto che quest’ultimo introduce la categoria dei “repubblicani”.142
Corte va con riguardo / Il Marchese Corsi ricco, ed ha feudi nel Regno di Napoli / Il