Gli scritti di parte granducale avevano posto al centro del dibattito il tema dei titoli giuridici della sovranità della Toscana, piuttosto che la rivendicazione dei diritti dinastici. E attraverso l’uso della storia e della teoria giusnaturalistica gli intellettuali mobilitatisi per questa occasione avevano dimostrato la libertà originaria di Firenze e negato il vincolo feudale nei confronti dell’Impero, sostenendo in tal modo la sovranità esterna del Granducato. Una volta che la questione della successione medicea venne risolta a favore di Francesco Stefano di Lorena, in definitiva secondo i principi di subordinazione feudale, il ricorso alle dottrine giusnaturalistiche sarebbe stato indirizzato verso altri obiettivi.
L’autore più interessante e che ben rappresenta questo nuovo indirizzo è Giuseppe Maria Buondelmonti. In questo personaggio della prima metà del Settecento, infatti, la formazione giuridica, avvenuta attraverso la scuola pisana, si sarebbe trasformata in una vera e propria proposta politica, che storicamente è da interpretarsi sia come rappresentativa dell’interesse del ceto dirigente oligarchico-senatorio a
conservare il proprio potere politico e sociale, nonché economico, sotto gli Asburgo-Lorena, sia come un segno della maturazione di quella cultura politica – tra giusnaturalismo e costituzionalismo – condivisa da almeno due generazioni d’intellettuali toscani, che caratterizza il primo Illuminismo italiano. I pochi testi che Buondelmonti ha pubblicato non permettono di affermare che ci troviamo dinanzi ad una personalità originale di teorico politico, eppure consentono di attestare che il suo ruolo non fu affatto secondario, sia nella vita politica fiorentina, sia nell’ambito della cultura politica di metà Settecento.
La storiografia si è occupata in diverse occasioni di Buondelmonti e ha studiato i suoi testi da diverse prospettive, rappresentandolo come: un aristocratico portatore degli antichi sentimenti repubblicani dell’oligarchia fiorentina, un giusnaturalista, un montesquiviano, un cultore del pacifismo giuridico, che condivideva con l’abate di Saint-Pierre gli umori antidispotici causati dalle guerre dinastiche del Settecento o, infine, come un massone di spirito filantropico e cosmopolitico.276
Nel suo complesso l’opera del Buondelmonti è stata inserita dalla storiografia nei nuovi orientamenti culturali sul piano filosofico- giuridico e prevalentemente nei percorsi della recezione italiana di Montesquieu a metà del XVIII secolo.277 Ai saggi di Mario Rosa278 si
276 Circa l’affiliazione del Buondelmonti alla prima loggia massonica di
Firenze, questa va datata tra il 1735 e il 1736; su tale questione si vedano i materiali archivistici trascritti in M. A. Morelli Timpanaro, Tommaso Crudeli, Poppi 1702-
1745. Contributo per uno studio sulla inquisizione a Firenze nella prima metà del XVIII secolo, Firenze, Olschki, 2003, pp. 638, 641, 699, e nota 469, cui fa riferimento
anche Pasta, Fermenti culturali e circoli massonici nella Toscana del Settecento cit. Buondelmonti massone era comunque già apparso in F. Sbigoli, Tommaso Crudeli e i
primi frammassoni in Firenze. Narrazione storica corredata di documenti inediti,
Milano, Battezzati, 1884, e in C. Francovich, Storia della massoneria in Italia. Dalle
origini alla rivoluzione francese, Firenze, La Nuova Italia, 1974.
277 La storiografia ha iniziato realmente ad occuparsi del contributo offerto
dal Buondelmonti alla diffusione delle idee moderne solo con lo studio di Paola Berselli Ambri sulla recezione dell’opera di Montesquieu nella cultura italiana del Settecento. La studiosa marcando la differenza tra quegli intellettuali fiorentini della metà del secolo come Stefano Bertolini, Giuseppe Sarchiani e Michele Ciani, accorti studiosi delle idee giuridico-economiche del filosofo francese, e il Buondelmonti, il
deve la connotazione dei contributi di Buondelmonti, ossia delle orazioni funebri del 1737 e del 1741, stese in onore, rispettivamente, di Gian Gastone de’ Medici e di Carlo VI, come una forma di costituzionalismo ante litteram o premontesquiviano. Interpretazione questa cui si è riferito anche Furio Diaz279 precisando che
l’antidispotismo presente nei testi dell’abate fiorentino non poteva coincidere esattamente con il repubblicanesimo, in quanto l’esaltazione dell’obiettivo della pubblica felicità risultava istituzionalmente indifferente nell’incitamento al “buon governo”.280 Gli studi di Erich
Cochrane281 e Franco Venturi282 hanno sottolineato l’impegno di
quale richiamava i principi di Montesquieu applicandoli alla dottrina del bellum
iustum e dello ius belli, annota che l’interpretazione del Buondelmonti manca di
spirito critico dacché egli «accetta toto corde quanto affermato dal Montesquieu, senza mai nemmeno tentare di avanzare qualche riserva»; cfr. P. Berselli Ambri,
L’opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze, Olschki, 1960, p. 94.
278 Cfr. M. Rosa, Sulla condanna dell’“Esprit des Lois” e sulla fortuna di
Montesquieu in Italia, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 1960, XIV, pp. 411-
28. In queste pagine viene ricordato il severo giudizio: «più oscura dell’Apocalisse» che Giovanni Bottari sentenziò nei confronti dell’orazione funebre in onore di Gian Gastone composta e declamata da Giuseppe Maria Buondelmonti in occasione delle solenni esequie del granduca mediceo tenutesi a Firenze il 9 ottobre 1737. Il Rosa riporta inoltre le parole del Bottari circa il nostro: «Credo che si sia guastato il capo co’ libri di metafisica i quali sono per l’appunto quelli che lo rassettano», queste note del Bottari sono tratte dal Rosa dal Cod. Corsiniano 1910, Lettere autografe di Mgr.
Giovanni Bottari al duca Bartolomeo Corsini […], f. 27v-28r, Roma, 30 luglio 1738.
Rosa giudica più positivamente il contributo di Buondelmonti «non importando tanto la mancanza di originalità di questo scrittore, quanto storicamente il significato di quella sua accettazione totale dell’insegnamento montesquieuiano», ivi, p. 422. Si veda inoltre dello stesso autore, Dispotismo e libertà nel Settecento. Interpretazioni
“repubblicane” di Machiavelli, Bari, Dedalo Litostampa, 1964, ora riedito per le
Edizioni della Normale, Pisa, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2005.
279 Cfr. F. Diaz, L’idea repubblicana nel Settecento italiano fino alla
rivoluzione francese, «Rassegna storica toscana», 1971, XVII, 2, pp. 157-188 e ora in Per una storia illuministica, Napoli, Guida, 1973, pp. 423-463. In particolare,
riguardo all’orazione funebre che il Buondelmonti scrisse e recitò pubblicamente in onore di Carlo VI nel 1741, lo storico propone di valutare l’ipotesi che questo slittamento non porti addirittura a posizioni filomonarchiche (cfr. prima ed., pp. 162- 163).
280 Alcune interessanti considerazioni sul repubblicanesimo toscano sono
presenti nell’accurato saggio di E. Pii, Republicanism and Commercial Society in
Eighteenth-century Italy, in Republicanism. A Shared European Heritage, M. Van
Gelderen – Q. Skinner eds., Cambridge University Press, 2002, pp. 249-274.
281 Cfr. E. W. Cochrane, Tradition and Enlightment in the Tuscan Accademies
1690-1800, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961; Id., Giuseppe Maria Buondelmonti, in La letteratura italiana. Storia e testi, vol. 44, tomo V, Milano-
Buondelmonti, col suo Ragionamento sul diritto della guerra giusta del 1755, nel portare all’interno delle conversazioni accademiche, dunque fuori dalle università e dai tribunali, l’indagine sul diritto secondo il metodo razionale e le discussioni sui problemi della legge e della politica, contribuendo a predisporre l’ambiente intellettuale alla recezione delle idee di Montesquieu. Salvatore Rotta283 ha citato
proprio la lezione accademica del Buondelmonti sul diritto della guerra giusta quale prova della maturità raggiunta dalla cultura italiana a ricevere l’insegnamento del filosofo francese, individuando quali temi più significativi la difesa dei diritti d’umanità nello stato di guerra e l’influenza benefica del cristianesimo per gli ordinamenti politici interni e per i rapporti internazionali. A tutto ciò Diaz284 ha aggiunto la
valutazione sul richiamo fatto dal Buondelmonti alla sociabilità naturale – presentata nel Ragionamento quale principio da cui dedurre le norme che regolino sia il rapporto tra principe e sudditi, sia quello tra gli stati – come una denuncia razionalistica dei motivi che ispirarono il dispotismo dinastico del primo Settecento.
Negli ultimi anni la storiografia si è concentrata sull’esame di quest’ultima opera dell’abate fiorentino, che attraverso la trattazione del ius belli e del bellum iustum affrontava la questione della
come verso la metà del secolo XVIII i poeti si stessero trasformando in economisti e in politici.
282 Cfr. F. Venturi, Settecento riformatore. I, Da Muratori a Beccaria, Torino,
Einaudi, 1969. Su Buondelmonti si vedano, in particolare, le pp. 54-58.
283 Cfr. S. Rotta, Montesquieu nel Settecento italiano: Note e ricerche,
«Materiali per una storia della cultura giuridica», 1971, I, pp. 57-189. Su Buondelmonti si vedano le pp. 63-66, 119, 124.
284 Cfr. F. Diaz, Buondelmonti, Giuseppe Maria, in DBI, 1972, vol. XV, pp.
212-215. Seppur brevemente, data la forma che la voce del Dizionario impone, le maggiori opere del Buondelmonti sono state da Diaz puntualmente analizzate, prestando attenzione a individuarne i temi fondamentali, quali l’antidispotismo, il pacifismo e il contrattualismo. In conclusione lo studioso propone una riflessione sulla diffusione e sugli sviluppi che quell’«antidispotismo piuttosto aristocraticamente intonato» avrebbe avuto; Diaz infatti fa presente che «nella crisi di mentalità e d’interessi che grosso modo caratterizza il passaggio dal primo al secondo Settecento in Italia, l’antidispotismo ‘letterario’ della élite colta dell’età di Gian Gastone e il pacifismo della tradizione giusnaturalistica si erano nel B. arricchiti di una convinzione contrattualistica e di un impegno umanitario che preannunciano alcuni motivi dell’illuminismo maturo».
regolamentazione dei rapporti internazionali, apprezzandone in particolare lo specifico carattere divulgativo e presentandola come
terminus a quo della riapertura della stagione internazionalistica
italiana.285 Ma nell’ambito del tema della recezione toscana del
giusnaturalismo, potremmo dire che Buondelmonti rappresenta, anche, un terminus ad quem del processo di progressiva acquisizione apertosi con l’insegnamento di Giuseppe Averani e Neri Badia e con la De iure
belli et pacis disputatio del Sutter.
Quale membro di una delle più importanti famiglie dell’élite senatoria, Giuseppe Maria Buondelmonti non poté esimersi dall’essere coinvolto nelle questioni poste dalla successione medicea. Ma è doveroso notare che il suo approccio alle contingenze politiche si nutrì di una vocazione politica di respiro internazionale e assai attenta agli aspetti teorici, apportando un significativo contributo di matrice giusnaturalistico-contrattualistica, risultato del proprio percorso intellettuale maturato negli anni del maggior rinnovamento culturale dello Studio pisano e nelle frequentazioni di ambienti di respiro internazionale.
Giuseppe Maria Buondelmonti (1713-1757) fu il primogenito dell’ultimo ramo superstite della nobile famiglia dei Buondelmonti, i quali, relativamente poco impegnati nel commercio e nella finanza – ha evidenziato Bizzocchi – avevano tradizionalmente basato il proprio potere sullo sfruttamento di vaste proprietà terriere e sulla gestione di importanti benefici ecclesiastici.286 Da una dettagliata indagine
285 Cfr. Bazzoli, Giambattista Almici e la diffusione di Pufendorf nel Settecento
italiano cit.; P. Comanducci, Settecento conservatore: Lampredi e il diritto naturale,
Milano, Giuffrè, 1981 (su Buondelmonti si vedano le pp. 45-59); E. Di Rienzo, Guerra
civile e “guerra giusta” dall’antico regime alla Rivoluzione, «Studi Settecenteschi»,
2002, 22 (N. S.), pp. 41-74.
286 Cfr. R. Bizzocchi, La dissoluzione di un clan familiare: i Buondelmonti di
Firenze nei secoli XV e XVI, «Archivio storico italiano», 1982, CXL, 1, pp. 3-45. Il
saggio del Bizzocchi si inserisce fra quelle ricerche sulla famiglia italiana nel Quattrocento e nel Cinquecento che tentano di verificare il processo attraverso cui dalla crisi della consorteria medioevale emergeva un tipo di famiglia più moderno.
genealogica è emerso come dell’intero clan solo la linea di discendenza alla quale apparteneva la famiglia di Giuseppe Maria avesse incontrato, grazie ad avvertite scelte politiche ed economiche, fortuna e prestigio sotto il principato mediceo: degli otto senatori Buondelmonti, ben quattro appartennero a questa linea di discendenza. Il padre Francesco Maria, eminente autorità dell’Ordine di Santo Stefano e Gentiluomo di Camera dei Granduchi di Toscana Cosimo III e Gian Gastone, divenne Senatore dal 1736.287 Dalle carte conservate presso
l’archivio di famiglia e presso alcune biblioteche e archivi fiorentini sono emerse molte notizie in grado di ricostruire con maggiore certezza il profilo biografico e intellettuale di questo autore.
Da un punto di vista strettamente biografico si è potuto accostare la vicenda dell’ultimo ramo Buondelmonti a quella di altre famiglie nobili fiorentine del Settecento, costantemente impegnate nel gestire il patrimonio familiare e nel garantire la solidità patrimoniale ai propri discendenti progettando per loro matrimoni e carriera. Nel caso specifico, il primogenito della famiglia Buondelmonti – la cui fonte di potere, come si è detto, si basava per la maggior parte sulla gestione di benefici ecclesiastici – fu molto deciso nel rifiutare un itinerario di tipo ecclesiastico, così come gli era stato proposto dal padre e dallo zio
Condotto sulle carte dell’archivio di famiglia dei Buondelmonti, questo studio consente di inquadrare alcuni tratti caratteristici dell’antico clan fiorentino.
287 Cfr. P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, Milano, Giusti, 1819-1902, tavole
VIII-XII, oltre le voci dei singoli membri della casata presenti in DBI. Per le notizie sulle magistrature cittadine la ricerca è stata condotta sul materiale conservato in ASF, Raccolta Sebregondi, 877a; nella prima carta si legge la seguente sintesi delle magistrature ricoperte dalla famiglia: «Cittadini fiorentini – Santa Maria Novella – Vipera / 2 gonfalonieri di giustizia, 20 Priori di libertà } dal 1442 al 1531 / 19 dei XII Buonomini dal 1434 al 153[?] / 16 dei XVI di Compagnia dal 1438 al 1530 / Senatori del Granducato». I senatori Buondelmonti appartenenti alla stessa linea di discendenza di Giuseppe Maria sono: Bartolomeo (1562-1637) senatore dal 1625, Bartolomeo chiamato Baccio (1632-1704) nominato il 1689, Marco (1630-1712) senatore dal 1704 (sia Marco che Baccio erano fratelli del nonno del nostro) e, infine, Francesco Maria Gioacchino (1689-1774) padre del nostro e senatore dal 1736; cfr. D. M. Manni, Il Senato fiorentino o sia notizia de’ senatori fiorentini dal suo principio
fino al presente data in luce da Domenico Maria Manni. Seconda edizione ampliata. Al Nobiliss. Sig. Marchese Alamanno Bartolini Salimbeni, in Firenze, per lo Stecchi e
Filippo Manente, allora vicelegato ad Avignone,288 e si accontentò
piuttosto di alcune rendite; in particolare, di quella legata alla commenda di Malta di S. Maria dell’Impruneta, anche perché, forse, gli avrebbe garantito un certo prestigio sociale: entrato a far parte dei Cavalieri Gerosolimitani, nel luglio del 1742, ne fu fatto Commendatore, ma non professo.289
Dall’esame del catalogo manoscritto della biblioteca del padre, Francesco Maria, è quindi emerso che l’interesse per la cultura dell’intellettuale fiorentino Giuseppe Maria era cresciuta in un ambiente propizio. Nel complesso, la collezione libraria del senatore Buondelmonti si era formata anzitutto con opere a disposizione nel mercato olandese. Ciò è confermato anche da alcune lettere del 1729 inviate a Francesco Maria da parte di Giulio Rucellai, lettore in Pisa, dal 1727 al 1749, di istituzioni civili;290 lettere dalle quali si apprende,
288 ACF, f. B., Filza LXVI Lettere dal 1732-1743, stanza IV, scaffale II, fila
VIII; e Lettere del Nannini scritte al Signor Commendatore Buondelmonti quando si
ritrovava a Roma, stanza VI, armadio II. In particolare si legga un passo di una
lettera di Filippo Manente Buondelmonti al fratello Francesco Maria, Avignone, 20 febbraio 1736: «Convengo bensì con Lei, che se il Signor Giuseppe non avesse avuto l’imperfezione, che ha nei Labbri, sarebbe stato meglio di far viaggiare il Primogenito, che si sarebbe fatto maggiore Onore, per essere più savio e da questo non mi pare esserci altro impiego, che dargli la Croce di Malta per non essere adattato a fare il capo di Casa»; ancora in fase di riordinamento e inventariazione questo nucleo di lettere è attualmente conservato presso ACF, f. B., stanza VI, armadio II.
289 Cfr. G. M. Mazzuchelli, Buondelmonti, Giuseppe Maria, in Gli scrittori
d’Italia cioè notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti de’ letterati italiani, vol. II, parte IV, Brescia, Giambatista Bossini, 1763, pp. 2375-2378; A. M.
Vannucchi, Orazione funebre, in Accademia funebre di arcadici componimenti per la
morte dell'Illustrissimo Sig. Cavaliere Fra Giuseppe Maria Buondelmonti patrizio fiorentino P.A. della Colonia Alfea con il nome di Dafninto Massolideo […], Pisa,
Paolo Giovannelli, e Compagni, 1757, pp. V-XXII; A. F. Adami, Elogio storico del
Commendator Giuseppe Maria Buondelmonti, recitato da Cel. Sig. Senatore Antonfilippo Adami in una solenne Accademia fatta in Firenze in lode del defunto, [24
maggio 1757], «Annali letterarj d'Italia», 1762, Modena, a spese di Antonio Zatta, vol. II, pp. 484-498; Indice Biografico Italiano, III edizione, K.G. Saur München, 2002, (di seguito IBI) che segnala diverse pagine dedicate a Giuseppe Maria Buondelmonti: I 215, 345-371; II 90, 74; III 78, 346.
290 Giulio Rucellai (1702-1778), formatosi anch’egli presso l’Università di Pisa,
sotto la guida del professore Tanucci, che ne fu promotore all’esame di laurea in
utroque iure nel 1727, dal 1730 sarebbe stato chiamato a svolgere le funzioni di
sostituto del Segretario della Giurisdizione, Filippo Buonarroti, al quale succedette definitivamente dal 1734, conservando tale incarico fino al 1778. Cfr. A. Zobi, Storia
inoltre, come il capofamiglia Buondelmonti si prestasse volentieri al ruolo di intermediario per consentire l’arrivo di libri anche a vantaggio di altri membri del ceto politico e culturale del Granducato, come, ad esempio, per i testi di Bynkershoek e Noodt:
Il Signore Abate Niccolini che presentemente godiamo a Pisa m’ha detto questa mattina che Vostra Signoria Illustrissima ha riceuto d’Olanda alcuni libri, tra quali vi sono il Noodt, ed il Bynkershoec ed alcuni altri libretti Legali, de quali ella non si ricorda per chi li abbia commessi, quelli son io che La pregai l’estate passata a commetterli per me, una mattina ch’avendo l’onore d’essere in Sua casa, vidi certe liste di libri ch’Ella preparava per mandarle in Olanda […].291
Come era tradizione per una casata aristocratica «ai vertici della élite senatoria fiorentina»,292 Giuseppe Maria ricevette la prima
formazione culturale dai più illustri maestri del periodo: studiò la lingua greca con don Angiolo Maria Ricci, professore di lettere greche nello Studio fiorentino, per la filosofia e la matematica ebbe maestro il padre scolopio Odoardo Corsini, studiò istituzioni civili sotto la guida di Gaetano Moniglia. Varie sono le testimonianze che segnalano le precoci capacità intellettuali del giovane patrizio.293 Circa i suoi studi
universitari, Buondelmonti si trasferì a Pisa dal 1731,294 dove
1850, vol. I, pp. 145 ss.; Micheli, Storia dell’Università di Pisa dal 1737 al 1859 cit., pp. 36-37; Marrara, Le cattedre ed i programmi d'insegnamento dello Studio di Pisa cit., pp. 134-136.
291 Lettera di Giulio Rucellai indirizzata al Signor Cavaliere Francesco
Buondelmonti a Firenze, Pisa, 29 aprile 1729; si veda anche quella del 6 maggio, entrambe in ACF, f. B., filza LXV Lettere dal 1727 al 1731, stanza IV, scaffale II, fila VIII.
292 Diaz, Buondelmonti, Giuseppe Maria, in DBI cit.
293 Circa la testimonianza del professore di greco, Angelo Maria Ricci, questa è
presente nel suo Dissertationes Homericae habitae in Florentino Lyceo ab Angelo
Maria Riccio Graecarum Literarum Prof. quibus accedunt eiusdem orationes pro solenni instauratione studiorum volumen primum, Florentiae, ex Typographia
Caietani Albizinii, 1740, p. 223. Circa le lettere di Giovan Battista Casotti, celebre professore dell’Accademia dei nobili e dello Studio fiorentino, nonché pievano di Santa Maria dell’Impruneta, indirizzate al giovane Giuseppe Maria Buondelmonti si veda G. Della Casa, Opere di monsignor Giovanni Della Casa, Venezia, appresso Angiolo Pasinello, 1729, volume V, pp. 1-16, 17-31, 32, 75-76, 195-202; cfr. C. Mutini,
Casotti, Giovan Battista, in DBI, 1978, vol. XXI, pp. 426-428.
294 ACF, f. B., Filza XIV Nobil Casa Buondelmonti Libro di Entrata e Uscita
frequentò i corsi di giurisprudenza, etica, fisica e metafisica, avendo come professori, tra gli altri, Bernardo Tanucci, Leopoldo Andrea Guadagni, l’abate Guido Grandi e Giovanni Gualberto De Soria.295
La maggior parte delle fonti riporta che Buondelmonti non riuscì a terminare gli studi a causa della salute cagionevole, ma la nota lettera “pedagogica” del già professore Bernardo Tanucci, del 1741, a Bartolomeo Corsini, conferma che il modello in uso presso la nobiltà toscana per la formazione dei propri giovani, una volta raggiunti i diciotto anni e terminato il primo percorso educativo, prevedeva un itinerario formativo liberamente impostato e volto alla frequentazione dei corsi universitari di maggior prestigio, senza che venisse formalizzata l’iscrizione presso una specifica facoltà e senza che fosse previsto l’addottoramento.296
La vivacità intellettuale del giovane Buondelmonti è testimoniata proprio dai suoi maestri.297 Nella ricordata missiva
“pedagogica” del Tanucci, Giuseppe Maria è ritratto in un gruppo di
Alessandro di Giogoli dal 1723 al 1740, stanza IV, scaffale II, fila IV, Quaderno di Cassa del 1728-1740, c. 85.
295 Cfr. Adami, Elogio storico cit., p. 486; U. Baldini, De Soria, Giovanni
Gualberto, in DBI, 1991, vol. XXXIX, p. 414.
296 Lettera a Bartolomeo Corsini, 8 dicembre 1741, in B. Tanucci, Epistolario,
I, 1723-1746, a cura di R. P. Coppini, L. Del Bianco e R. Neri, con pref. di M. D’Addio,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1980, pp. 508-517; su questa interessante lettera si veda anche S. Lollini, Consigli di Bernardo Tanucci per l'educazione di un
giovane fiorentino, in Bernardo Tanucci e la Toscana, Firenze, Olschki, 1986, pp. 161-
169.
297 Si legga ad esempio la lettera del Tanucci al signor auditor Pompeo Neri,
s.d., ma marzo 1737, in Tanucci, Epistolario, I, 1723-1746 cit., p. 35. Tanucci scriveva,