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ha cessato a un tratto di essere quotidiana?”

Nel documento Ordinariness. Progetto e quotidiano (pagine 159-167)

“Comment la vie a-t-elle cessé

tout à coup d’être quotidienne?”

1

L’interesse di rivolgere lo sguardo all’ordinarietà, come proposto da questo numero della rivista PPC, solleva oggi numerose questioni. In un periodo di vaste e profonde trasformazioni, di crisi e di modifiche epocali che toccano i diversi stili di vita, sovente abbassandone la qualità e l’equità, è forse utile riprendere alcune delle riflessioni compiute in un’epoca che ci appare ormai come molto lontana, nella quale il presente e il quoti- diano sono stati al centro del rinnovamento delle ricerche sullo spazio abitato. Allo stesso tempo è anche possibile misurare la distanza che ci separa da quel momento, segnalare lo scarto avvenuto e la necessità di nuove riflessioni. Queste note sono per me l’occasione di riprendere alcuni temi e alcune ipotesi che ho avanzato in questi ultimi anni e di inserirle entro un quadro più compatto e, spero, chiaro.

Che gli anni Novanta si siano occupati del presente non può essere contestato. Nella distanza tra l’esperienza dei luoghi e le carte che sembravano celare il nuovo invece di rivelarlo si intuiva una nuova forma di città, non finita, in formazione e, dietro questa, l’emergere di nuove forme sociali e politiche altrettanto indefinite e complesse. I rilievi condotti a Prato2, a partire da una città fabbrica oggi scomparsa e rimpianta nei romanzi amari di Edoardo Nesi, rimangono uno degli sforzi più estesi e minuziosi di descri- zione dello spazio contemporaneo, capace di raccogliere storie quotidiane insieme al rico- noscimento di una struttura urbana specifica, attraverso la lenta decostruzione dello spazio fisico. Le “cose” che lo costituivano parlavano, nel presente, del mutare rapido di una società e della sua economia, mostravano le prime infiltra- zioni di nuove pratiche, popolazioni ed economie. Consentivano di leggere possibilità e potenzia- lità, non direzioni obbligate, non si trattava e non poteva trattarsi di una lettura deterministica o evolutiva. La storia, infatti, ha seguito altri percorsi. Il futuro è stato diverso da ciò che il presente suggeriva, la profondità del cambia- mento superiore a quella immaginata. La rottura epocale. Oggi la mia convinzione è che riflettere sulla città contemporanea richieda l’utilizzo di

The interest in ordinariness, proposed by this issue of PPC, raises numerous questions. During a period of vast and profound transformations, of crises and epochal changes that affect various lifestyles, often diminishing quality and equity, it is perhaps useful to return to some of the reflec- tions made during an era that now appears so distant. An era during which the present and the everyday lay at the heart of the renewed interest in inhabited space. At the same time, it is also possible to measure the distance that separates us from that moment, to indicate the gap created and the need for a new reflection. For me these notes are an occasion to return to a number of themes and hypotheses I have put forth in recent years, and an opportunity to insert them within a more compact and, I hope, clear agenda.

That the 1990s were concerned with the present is impossible to contest. In the distance between the experience of sites and the documents that appear to conceal rather than reveal the new it was possible to intuit a new form of the city, unfinished, in progress and, behind this, the emer- gence of new, equally undefined and complex social and political forms. The surveys conducted

in Prato2, beginning with a city-factory that has

disappeared and been replaced in the bitter novels of Edoardo Nesi, remain one of the most extensive and meticulous efforts to describe contemporary space, capable of capturing stories of the everyday together with the recognition of a specific urban structure, through the slow deconstruction of physical space. The “things” of which it is comprised speak, in the present, of the rapid mutation of a society and its economy; they demonstrate the first infiltrations of new prac- tices, populations and economies. They consent a reading of possibilities and potentialities and not obliged directions. They did not and could not deal with a deterministic or evolutionary reading. History, in fact, followed other paths. The future turned out to be different from what the present suggested. The depth of change exceeded that which was imagined. It was an epochal rupture. Today, I am convinced that reflecting on the contemporary city requires the use of contrasting

1. Irène Némirovsky, Naissance d’une révolution. Scènes vues par une petite fille, «Le Figaro», 4 giugno 1938 [ora in Id., Nascita di

una rivoluzione, Castelvecchi, Roma 2012, p.19].

1. Irène Némirovsky, “Naissance d’une révolution. Scènes vues par une petite fille”, Le Figaro, 4 June 1938.

2. Sul piano di Prato (B. Secchi, G. Serrini, P. Viganò. C. Zagaglia) si vedano i due volumi LaboratorioPratoPrg e Un progetto

per Prato, Alinea, Firenze 1996.

2. For more on the Piano per Prato (B. Secchi, G. Serrini, P. Viganò. C. Zagaglia) see the two volumes LaboratorioPratoPrg e

epistemologie contrastate e distanti3. Un nuovo sforzo descrittivo è necessario, capace, come un nuovo “Viaggio in Italia”, di intercettare e rivelare l’ampiezza del cambiamento e le nuove situa- zioni nelle quali esso si rappresenta. Allo stesso tempo, e altrettanto pregnante, è disegnare futuri alternativi, con altrettanta precisione e detta- glio. “Descrizioni concrete di situazioni future” era l’oggetto della prospective secondo Gaston Berger, un’arte, più che una scienza, come quella della congettura di cui si è occupato Bertrand de Jouvenel4.

Nonostante gli sforzi compiuti negli anni recenti, con il ritorno di interesse per la costruzione di scenari, io credo non sia stata colta l’importanza dell’ipotesi di Berger. Essa consente di stabilire una relazione tra la concretezza dell’ordinario e della vita quotidiana e la radicalità delle trasfor- mazioni che già stiamo vivendo e che vivremo nel prossimo futuro. Ad esempio, le conseguenze dei cambiamenti climatici possono essere affron- tate solo attraverso una comprensione fine delle caratteristiche dei luoghi, cioè attraverso un esercizio di messa in situazione di fenomeni comuni, nei loro elementi più generali, a gran parte del globo. Il riferimento al clima è solo uno dei molti possibili, in un’epoca di globalizzazione che richiede un approccio progettuale capace di muoversi attraverso generalizzazioni spesso schematiche, ma che consentono di attraversare e valorizzare le molteplici differenze.

Spesso consideriamo l’attenzione al futuro come opposta all’operazione descrittiva, collocata nel presente, che trae dalla sua posizione un punto di vista privilegiato e la capacità di rive- lare possibilità esplicite o latenti, appartenenti a strati temporali diversi e tuttavia ancora attuali. Lo scenario, invece, “guarda in avanti, allarga lo sguardo, osserva orizzonti vasti, si stacca dal contingente. Si apre al tempo lungo, un tempo che il progetto di città e di territori ha spesso temuto e solo raramente evocato. Nel guardare al tempo lungo, a ciò che nel tempo lungo si modifica e trasforma, questa operazione spesso richiama il tempo storico e geologico. Pensare il futuro mobilita il passato profondo, la storia ambientale

and distant epistimologies3. A new effort at

description is necessary; similar to a new “Voyage en italie” it must be capable of intercepting and revealing the vastness of the changes and new situations in which they are represented. At the same time, and equally pregnant, is the design of alternative futures, with equal precision and detail. “Concrete descriptions of future situations” was the object of the prospective according to Gaston Berger, an art, more than a science, such as that

of conjecture examined by Bertrand de Jouvenel4.

Despite the efforts of recent years, and a

renewed interest in the construction of scenarios, I believe we have yet to fully capture the impor- tance of Berger’s hypothesis. It consents us to establish a relationship between the concrete- ness of the ordinary and the everyday and the radicalism of the transformations we are experi- encing and will experience in the near future. For example, the consequences of climate change may be confronted solely through a minute understanding of the characteristics of context, in other words, through an exercise of contextu- alizing common phenomena, that share general elements around the globe. The reference to climate is only one among many, in an era of globalisation that requires an approach to design capable of moving through generalisations that while often schematic consent us to cross and valorise multiple differences.

We often consider an interest in the future to be opposed to the description, situated in the present, whose position offers a privileged point of view and the capacity to reveal explicit or latent possibilities, belonging to diverse temporal layers and yet still current. The scenario, instead, “looks ahead, broadens its gaze, and observes vast horizons, separating itself from the contin- gent. It opens up toward the long-term, a

timeframe that the city and territories have often feared and only rarely evoked. In looking at the long-term, at what changes and transforms in the long-term, this operation often recalls historic and geological time. Thinking about the future mobilises the deep past, the environmental

history of place...”5.

3. Si veda ad esempio Paola Viganò, Situations, scenarios, in E. Giannotti, P. Viganò (a cura di), Our Common Risk, et al./

Edizioni, Milano 2012.

3. Cf. Paola Viganò, Situations, scenarios, in E. Giannotti, P. Viganò (eds.), Our Common Risk, et al./Edizioni, Milan 2012.

4. Gaston Berger, Phénoménologie du temps et prospective, Presses Universitaires de France, Paris 1964; Bertrand de

Jouvenel, L’art de la conjecture, Futuribles, Éditions du Rocher, Monaco 1964.

4. Gaston Berger, Phénoménologie du temps et prospective, Presses Universitaires de France, Paris 1964; Bertrand de

Jouvenel, L’art de la conjecture, Futuribles, Éditions du Rocher, Munich 1964.

dei luoghi…”5.

La presa in considerazione del tempo lungo permette al progetto di operare una critica radi- cale, di immaginare mosse altrettanto distanti, capaci di alterare l’ordinarietà e la quotidianità dello spazio. Nelle ricerche svolte in questi ultimi anni e legate alla costruzione di visions per alcune regioni urbane in Europa abbiamo proposto di utilizzare la porosità “di materiale” e di “frattura” per immaginare un riciclo radicale dei tessuti esistenti6, oppure nella “Metropoli Orizzontale” di Bruxelles e la sua regione ed in quella di Lille abbiamo proposto di considerare realisticamente la possibilità di ridurre in modo drastico il traf- fico privato a favore del trasporto pubblico, in un’area nella quale la densità di linee ferroviarie e tranviarie è già impressionante e dove i progetti previsti porteranno ad una maggiore integra- zione tra i territori della dispersione e le città. Quest’ultima ipotesi aveva già costruito una parte importante della ricerca Water & Asphalt, sulla città diffusa veneta, immaginando il carattere isotropo di questa particolare forma di insedia- mento come base di un progetto innovativo, in grado di utilizzare in modi sostenibili gli elementi costitutivi della dispersione di cose e persone7. Il dubbio che la città diffusa possa essere sostenibile sta percorrendo, in modi sempre meno sotterranei, dibattiti e ricerche. Questo non significa che la dispersione sia in sé, o su base ideologica, un bene, ma solo che esiste un progetto, dal nostro punto di vista il progetto dell’isotropia, che permette di approfittare di un supporto esteso, composto tra l’altro di reti idrografiche e di strade, ma anche cosparso di possibilità di generazione diffusa di energia, alle quali appoggiare intenzioni ed obiettivi diversi dal passato.

Se l’isotropia alludeva ad un territorio egualmente accessibile ed infrastrutturato che realizza le stesse prestazioni in ogni direzione, l’orizzontalità mi appare oggi condizione fondamentale da inve-

Considering the long-term permits a project to operate a radical critique, to imagine equally distant moves, capable of altering the ordinari- ness and everyday qualities of space. In research of recent years linked to the construction of visions for particular urban regions in Europe we have proposed using the porosity “of matter” and “fracture” to imagine a radical recycling of existing

fabrics6 or, in the “Horizontal Metropolis” of Brussels

and its region and in Lille, we proposed a realistic consideration of the possibility to drastically reduce private traffic in favour of public transport, in an area already home to an impressive density of rail and tram lines and where planned projects will produce a greater integration between the territo- ries of sprawl and the city. This latter hypothesis already served to construct an important part of the research Water & Asphalt. Investigating the city of sprawl in the Region of Veneto, it imagined the isotropic quality of this particular form of settle- ment as the base of an innovative project, able to sustainably utilise the elements responsible for the

dispersion of objects and people7.

The doubt that the city of sprawl can be sustain- able is moving, in increasingly less subterranean ways, into debate and research. This does not mean that dispersion is in and of itself, or from an ideological base, something positive; it merely suggests the existence of a project, from our point of view a project for isotropy, that permits us to take advantage of an extensive support, composed among other things of hydrographic networks and roads, but also covered with possi- bilities for the widespread generation of energy, useful for supporting intentions and objectives that differ from those of the past.

If isotropy alludes to an accessible territory with all necessary infrastructures achieving the same performance in all directions, to me horizontality appears a fundamental condition to be investi- gated: through this condition it is possible not only to speak of the European definition of the

5. Paola Viganò, Situations… cit.

6. Bernardo Secchi, Paola Viganò, La ville poreuse. Un projet pour le Grand Paris et la métropole de l’après-Kyoto, MetisPresses,

Genève 2011. Si veda anche Paola Viganò, Re-cycling Cities, in P. Ciorra, S. Marini (a cura di), Re-cycle, Electa, Milano 2011.

6. Bernardo Secchi, Paola Viganò, La ville poreuse. Un projet pour le Grand Paris et la métropole de l’après-Kyoto, MetisPresses,

Geneva 2011. Cf. also Paola Viganò, “Re-cycling Cities”, in P. Ciorra, S. Marini (eds.), Re-cycle, Electa, Milan 2011.

7. Della ricerca sono apparsi alcuni frammenti in P. Viganò, Water and Asphalt. The Project of Isotropy in the Metropolitan Region

of Venice, in «Architectural Design», vol. 78, 2008 e in V. Ferrario, A. Sampieri, P. Viganò (a cura di), Landscapes of Urba- nism, in «Q5», Officina, Roma 2011.

7. This research, fragments of which can be found in P. Viganò, “Water and Asphalt. The Project of Isotropy in the

Metropolitan Region of Venice”, in Architectural Design, vol. 78, 2008 and in V. Ferrario, A. Sampieri, P. Viganò (eds.), “Landscapes of Urbanism”, in Q5, Officina, Rome 2011.

stigare: attraverso di essa è possibile non solo parlare della declinazione europea della megacity, vasti territori urbanizzati nei quali non si riconosce una gerarchia forte tra i centri, nonostante o probabilmente grazie alla robusta competizione tra le sue diverse parti, ma anche riflettere sulle relazioni economiche, politiche e sociali che si dipanano e costruiscono nello spazio. Da questo punto di vista la regione di Bruxelles è un caso paradigmatico nel quale una tradizione secolare di rapporti orizzontali ha plasmato e stratificato nodi politico-culturali complessi, processi decisionali lenti e sempre a rischio di paralisi, trasformazioni spaziali spesso guidate dal solo progetto infra- strutturale, divenuto implicitamente, disegno di città e di territorio8. Nella Metropoli Orizzontale i nuclei di densità elevata sono rari, la distribu- zione regolare dei centri, piccoli, medi e spesso altamente specializzati (città universitarie, città porto, città delle istituzioni...), insieme al tappeto dell’abitare diffuso e nel verde stabiliscono una relazione forte con gli spazi aperti, un “lineare di contatto” per abitante di molto superiore a quello misurabile ad esempio nella metropoli parigina o nella Randstad olandese. Per descrivere questo tipo di spazio avevo usato in passato i termini di

Reverse City9, un territorio in genere molto amato

dai suoi residenti, nel quale il grado di apprezza- mento è inversamente proporzionale alla densità del costruito. I poveri, in questo caso, stanno al centro e le città diventano, progressivamente, i luoghi problematici che assorbono la crisi con maggiori difficoltà, più di altre parti del territorio. Ma sarebbe una semplificazione eccessiva quella di colpevolizzare le pur diffuse e ideologicamente connotate posizioni anti urbane. Si tratta invece di assumere il tema della qualità dello spazio e dell’esistenza di un capitale spaziale che varia nelle diverse situazioni stabilendo uguaglianze o disuguaglianze10. Nelle parti più povere della regione di Bruxelles, nel bassin minier dove le popolazioni immigrate, attratte in passato dalla richiesta di manodopera poco qualificata per il lavoro in miniera, sopravvivono ormai da decenni

megacity, vast urbanised territories in which we can recognise the strong hierarchy of centres, despite or probably thanks to the robust compe- tition between its various parts; it also makes it possible to reflect on economic, political and social relations that wind through and construct space. From this point of view the region of Brus- sels is a paradigmatic example of a century-long tradition of horizontal relations that has modelled and layered complex political-cultural nodes, slow processes of decision-making that risk leading to paralysis, and spatial transformations often guided solely by infrastructural planning that has implicitly become the planning of the city

and territory8. High-density nuclei are a rarity In

the horizontal metropolis; the regular distribu- tion of small and medium-sized centres, often highly specialised (university towns, port cities, institutional cities, etc.), together with the carpet of sprawling residential development and land- scaping establish a strong relationship with open spaces, a “lineare di contatto” per resident much greater than that measurable in, for example, the metropolis of Paris or the Dutch Randstad. To describe this type of space in the past I have

employed the term Reverse City9, a territory in

general loved by its inhabitants, in which the level of appreciation is inversely proportional to the density of construction. The poor, in this case, are at the centre and cities become progressively more problematic spaces that absorb crises with greater difficulty, more so than other parts of the territory. However, it would be an excessive simplification to place the blame on undoubtedly widespread and ideologically connoted anti-urban positions. Instead it would me more correct to assume the theme of the quality of space and the existence of a spatial capital that varies from situation to situation, establishing equalities or

inequalities10. The poorer parts of the region of

Brussels, known as the bassin minier are home to immigrant populations attracted by past demand for non-skilled labour to work the mines. These areas have been surviving for decades in a situa-

8. Michael Ryckewaert, Building the Economic Backbone of the Belgian Welfare State, 010 Publisher, Rotterdam 2011.

8. Michael Ryckewaert, Building the Economic Backbone of the Belgian Welfare State, 010 Publisher, Rotterdam 2011.

9. Paola Viganò, La città elementare, Skira, Milano 1999. Si veda anche Id., The contemporary European Urban Project:

Archipelago City, Diffuse City and Reverse City, in C. G. Crysler, S. Cairns, H. Heynen (eds.), The SAGE Handbook of Architectural Theory, SAGE, London 2012.

9. Paola Viganò, La città elementare, Skira, Milan 1999. Cf. also Id., “The contemporary European Urban Project:

Archipelago City, Diffuse City and Reverse City”, in C. G. Crysler, S. Cairns, H. Heynen (eds.), The SAGE Handbook of

Architectural Theory, SAGE, London 2012.

10. Bernardo Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari-Roma 2013.

alla conclusione di un ciclo economico e di sfrutta- mento delle risorse, il grado di apprezzamento per

Nel documento Ordinariness. Progetto e quotidiano (pagine 159-167)