2.2 L’incontro con L’incontro con L’incontro con L’incontro con André André André André Benoit Taurel Benoit Taurel Benoit Taurel Benoit Taurel
3.1. George Sand Storia di una lunga intesa George Sand Storia di una lunga intesa George Sand Storia di una lunga intesa George Sand Storia di una lunga intesa
3.1.2.3. Histoire de ma vie Histoire de ma vie Histoire de ma vie Histoire de ma vie
3.1.2.3. 3.1.2.3.
3.1.2.3.
Histoire de ma vieHistoire de ma vie Histoire de ma vieHistoire de ma vie
Nel 1855, dopo circa vent’anni, lo stesso concetto verrà da lei ripreso e trascritto come riflessione di Calamatta nell’Histoire de ma vie:
Calamatta se renferma dans une idée où il trouva au moins une certitude absolue : c’est qu’il faut savoir très-bien dessiner pour savoir bien copier, et que qui ne le sait pas ne
344
Lettera inviata il 22 settembre 1837. V. Apparati, Trascrizioni, n. 9.
345 Lettera a Calamatta, 12 luglio 1837 (Sand, Correspondance, IV, p. 148).
346 Savy, George Sand et les arts visuels, 2004, p. 5 e Id., Les Maitres, 2004, p. 181 (t. d. A.). 347 Sand, 1838, p. 181.
comprend pas ce qu’il voit et ne peut pas le rendre, quelque effort d’attention et de volonté qu’il y apporte.348
La frase si pone a chiusura di un ragionamento che la Sand intraprende in questa occasione sulla querelle che in quel periodo animava l’acceso dibattito attorno all’incisione di riproduzione: la contrapposizione tra l’imitazione fedele e la libera interpretazione dell’opera d’arte:
J’ai entendu discuter beaucoup […] si le graveur doit être artiste comme Edelink [sic] de [sic] Bervic, ou comme Marc Antoine et Audran; c’est à dire s’il doit copier fidèlement les qualités et les défauts de son modèle, ou s’il doit copier librement en donnant essor à son propre génie ; en un mot, si la gravure doit être l’exacte reproduction ou l’ingénieuse interprétation de l’œuvre des maitres.349
È interessante rilevare come ella s’inserisce nel disputa riprendendo il paragone fra la traduzione incisa e la traduzione letteraria dei testi in lingua straniera, ambito di sua competenza:350
[…] il me semble que [la question] est la même qu’on peut appliquer à la traduction des livres étrangers. Pour ma part, si j’étais chargée de ce soin et qu’il me fût permis de choisir, je ne choisirais que des chefs-d’œuvre, et je me plairais à les rendre le plus servilement possible, parce que les défauts des maîtres sont encore aimables ou respectables. Au contraire, si j’étais forcée de traduire un ouvrage utile, mais obscur et mal écrit, je serais tentée de l’écrire de mon mieux, afin de le rendre aussi clair que possible ; mais il est bien probable que l’auteur vivant me saurait très mauvais gré du service que je lui aurais rendu […].
Ce malheur d’avoir trop bien fait doit arriver aux graveurs qui interprètent, et il n’y a peut être qu’un peintre de génie qui puisse pardonner à son copiste d’avoir eu plus de talent que lui. 351
348 Sand, 1855, p. 22. 349 Ibidem, p. 20. 350
Il ragionamento era stato già formulato da un illustre predecessore, Claude-Henri Watelet nel 1773 (C.-H. Watelet, voce Gravure, in Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Art set des Métiers, par D. Diderot et J. Le Rond d’Alembert, Paris dal 1771, t. VII, p. 865), citato in apertura da E. Spalletti, La
documentazione figurativa dell’opera d’Arte, la critica e l’editoria nell’epoca moderna (1750-1930), in
“Storia dell’Arte Italiana”, vol. 2 Torino, 1979, pp. 417-430, dove si affrontano i termini della questione, ripresi e approfonditi da Evelina Borea nel suo recente studio (Introduzione, 2009 pp. XVII-XXVII).
351 Sand, 1855, pp. 20-21. Ambroise Tardieu nel 1831 si era già espresso a riguardo e aveva già sottolineato
l’importanza del disegno nella traduzione dell’opera pittorica: “Le graveur est l'esclave de son tableau; il doit connaître à fond la science du dessin, comme un traducteur doit savoir toutes les finesses de la langue qu'il interprète ; et de même que celui-ci peut donner à sa traduction plus ou moins de mérite en raison de la pureté ou de l'élégance de son style, de même le graveur est estimé plus ou moins habile selon qu'il rend avec plus ou moins de fidélité le maître qu'il copie, et que son exécution est plus ou moins savante, gracieuse ou brillante”
Dietro le riflessioni della scrittrice, si celano le controversie sorte tra Calamatta e alcuni artisti viventi per certe interpretazioni un po’ troppo ‘libere’ che l’incisore aveva tratto dai loro dipinti, apportando modifiche in alcuni casi sostanziali all’immagine di partenza perché da lui ritenuta non sufficientemente adatta ad essere incisa tal quale. Ci si riferisce, in particolare, al Ritratto di George Sand, da Delacroix del 1836 (Fig. 62), a Paolo e Francesca da Rimini, da Ary Scheffer pubblicato nel 1843352 e al Ritratto di Mazzini, da Emilie Ashurst Awakes comparso nel 1858 (Figg. 93, 95), nelle cui vicende d’esecuzione anche la romanziera si trovò ad essere direttamente coinvolta soprattutto, come si vedrà più avanti, in relazione al suo ritratto e a quello di Mazzini.
In un certo senso, qui la Sand sembra rimproverare velatamente Calamatta di essersi ‘fatto prendere la mano’; ma, affermando che “i veri pittori di genio possono perdonare al suo copista di avere più talento di lui”, prende in effetti le difese dell’amico perché considera il suo talento ormai universalmente riconosciuto alla pari dei pittori, e quindi libero di poter dare nuova vita alle opere d’arte attraverso la sua traduzione.
D’altronde, a novembre del medesimo 1855, Calamatta riceve il secondo riconoscimento più importante in terra francese con la nomina a Ufficiale della Legione d’Onore per aver presentato all’Esposizione Universale di Parigi la traduzione della Gioconda, frutto di venticinque anni di lavoro (dal 1829 al 1855).353 Considerata dal pubblico e dalla critica uno dei suoi massimi capolavori, è annunciata come tale dalla stessa Sand in chiusura del ‘ricordo’ dedicato all’amico:
Mais le talent vraiment supérieur de Calamatta est dans la copie passionnément minutieuse et consciencieuse des maîtres anciens. Il a consacré le meilleur de sa volonté à reproduire la Joconde de Léonard de Vinci, dont il termine la gravure peut être au moment où j’écris, et dont le dessin m’a paru un chef d’œuvre. Ce type, réputé si difficile à reproduire, cette figure de femme d’une beauté si mystérieuse, même pour ses contemporains, et que le peintre estima miraculeuse à saisir dans son expression, méritait de rester à jamais dans les arts. […] mais le temps détruit les belles toiles aussi fatalement (quoique plus tardivement) qu’il détruit les beaux corps. La gravure
(Cfr. A. Tardieu, Annales du musée et de l'Ecole moderne des beaux-arts – Salon de 1831, Paris 1831, p. 271- 272).
352 Acquaforte e bulino, mm 377x476 (impronta); iscrizioni: in b. a sin. “Peint par Ary Scheffer”, al c. “Paris,
1843”, a ds. “dis.to e inciso da L. Calamatta”; più in basso “Françoise de Rimini”. Alcuni esemplari si conservano a Roma, I.N.G., che possiede anche la lastra di rame (inv. Cl 936), Parigi, BnF, Bruxelles KBR, Civitavecchia, Coll. Cialdi.
353 Bulino, acquaforte, puntasecca, mm 570x440. La lastra di rame e due lastre di galvanoplastica tratte si dalla
conserve et immortalise. Un jour elle seule restera pour attester que les maîtres et les femmes ont vécu […].354
3.1.2.4. 3.1.2.4. 3.1.2.4.
3.1.2.4.
La JocondeLa JocondeLa JocondeLa Joconde
Il capolavoro leonardesco sarà oggetto anche di un lungo articolo pubblicato sul periodico “La Presse” nel dicembre del 1858 dal titolo La Joconde.355
Presa dalla “bellezza misteriosa e sfuggente del ritratto idealizzato di una donna affascinante” il cui grande segreto risiede nella “indefinibile espressione di calma che arriva a spaventare, come tutto ciò che è forza immateriale”, la Sand apre l’articolo col creare un parallelismo tra la lunghezza di tempo della genesi del dipinto e i molti anni della realizzazione della lastra, giustificandoli col dire che questo era “il tempo dei grandi artisti” che creano i capolavori. Poi indica la motivazione che ha spinto Calamatta – ma anche gli studiosi appassionati di Leonardo, come Gustave Planche – a prediligere il soggetto, cioè “l’ideale di giovinezza, di candore, d’intelligenza e di bontà […] una rosa mistica, un sorriso del cielo” che infonde a chi la contempla, tranquillità e serenità. E prosegue dicendo che tale fu la sensazione anche per Calamatta durante i due mesi ch’egli trascorse vis-à-vis col dipinto, quando – riportando le sue testuali parole che l’incisore aveva scritto ad un amico356 – “da solo, sotto le volte del Museo, si sorprese a ridere con essa”.
Secondo la scrittrice la funzione che doveva assolvere l’arte era primariamente quella di essere uno strumento di elevazione dello spirito del popolo affinchè questo potesse tendere ai sentimenti di bontà e umiltà che avrebbero permesso il vivere civile basato sulla condivisione nel pieno rispetto della dignità di ciascun individuo.357
Successivamente, senza entrare nel merito dell’incisione dal punto di vista del “mestiere”, la Sand esprime il suo giudizio su ciò che più l’ha colpita osservando la traduzione dell’amico, premettendo che il grande problema da risolvere era quello di rendere col bulino le finezze
354 Sand, 1855, p. 23. 355 Sand, 1856, pp. 369-376.
356 In una lettera inedita inviata da Bruxelles il 15 marzo 1859 all’amico Atto Vannucci, direttore del giornale
“Bullettino delle Arti del Disegno” per pubblicare un articolo sull’incisione ([A. Vannucci] La Gioconda di
Leonardo da Vinci incisa da Luigi Calamatta, in “Rivista di Firenze e Bullettino delle Arti del Disegno”, III,
vol. 5, 28 aprile 1859, pp. 231-233), Calamatta racconta in forma sintetica la storia dell’incisione della
Gioconda che si ritrova in forma più dettagliata nelle sue memorie (cfr. Memorie, in Corbucci, 1886, pp. 73-
75).
357 Alla formazione di tali teorie contribuirono certamente quelle di socialismo democratico sansimoniano e
inafferrabili di questa pittura divenuta essa stessa misteriosa come il pensiero della modella, sotto le scure trasparenze che spengono il colore:
Ce qui nous frappe dans cette gravure, c’est son aspect général qui rend fidèlement le tableau sans chercher à l’expliquer ou à le traduire. Certes, il y eût une sorte de sacrilège à vouloir interpréter ce que, dans certaines partie, l’œil peut à peine saisir. L’effet en est donc sombre comme la peinture, et pour notre part, nous ne sommes pas de ceux qui ne se consolent pas des outrages que les années ou les vernis lui ont fait subir. Nous ne haïssons pas cette lumière pâle et ce reflet général de je ne sais quel astre argentin qui tombe sans miroitage sur l’ensemble. C’est austère et doux à la fois ; c’est à la fois limpide et voilé comme l’expression de la Joconde, que M. Calamatta a si consciencieusement et si délicatement reproduite.358
Anche Charles Blanc si sofferma sulle stesse considerazioni nel suo articolo di poco posteriore, avendo potuto vedere lo svolgimento del lavoro sulla lastra in quanto allievo di Calamatta nell’atelier parigino. Il critico giustifica il risultato un po’ ombroso della lastra col fatto che Calamatta si era ostinato a voler rendere non solo l’espressione sottile – che nell’opera originale risultava realizzata attraverso sfumature impercettibili – ma anche l’aspetto del dipinto così come appariva dopo tre secoli “nell’impotente unità monocroma che ne nasconde l’antica precisione de suoi contorni sotto la vaghezza di una pittura sfumata”. Poiché, secondo lui, sarebbe stato imprudente compiere un’operazione di ‘restauro virtuale’ (secondo l’accezione moderna) restituendo il dipinto alla presunta freschezza della sua venuta al mondo:
Pour notre compte, nous n’avons aucun regret à retrouver, dans la version du graveur, ces altérations si harmonieuses, qui ont reculé, dans la perspective du temps, la peinture de Léonard, et ne la laissent plus voir qu’à travers la transparence d’un store de poésie.359