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L’uso innovativo del dagherrotipo nel Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzin

repubblicana contro il potere monarchico.repubblicana contro il potere monarchico.

3.2.2. Il Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzin

3.2.2.3. L’uso innovativo del dagherrotipo nel Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzini Ritratto di Mazzin

3.2.2.3. L’uso innovativo del dagherrotipo nel 3.2.2.3. L’uso innovativo del dagherrotipo nel

3.2.2.3. L’uso innovativo del dagherrotipo nel

Ritratto di MazziniRitratto di MazziniRitratto di MazziniRitratto di Mazzini

La seconda considerazione sui dagherrotipi riguarda Calamatta. Dal punto di vista tecnico, le parole di Mazzini circa la distruzione o meno di essi da parte dell’incisore sono rivelatrici di una applicazione del dagherrotipo ad opera di Calamatta assolutamente all’avanguardia nel trasferimento del soggetto dal dipinto alla lastra e, dalla perentorietà della richiesta di Calamatta, dimostra quanto la lastra di rame del dagherrotipo fosse divenuta per lui uno strumento di lavoro indispensabile già a quell’epoca.

Sono trascorsi solo otto anni dalla presentazione dell’invenzione di Daguerre nel 1839 e quattro dalla messa a punto di un procedimento di Alfred Donné, perfezionato e brevettato da Louis Fizeau, che permetteva l’incisione diretta o comunque la realizzazione di una copia incisa delle lastre dagherrotipe attraverso l’uso combinato della galvanoplastica,505 tecnica anch’essa innovativa atta alla duplicazione delle matrici metalliche per consentire forti tirature di stampa, ampiamente adoperata da Calamatta già dal 1842506 e che proprio nei mesi del 1847 stava ancora impiegando sulla lastra del Ritratto di Félicité de La Mennais507

505

Per un approfondimento sulla storia e l’applicazione nella calcografia, anche in relazione alle lastre di Calamatta conservate presso l’ING, si rimanda a A. Grelle Iusco, G. Trassari Filippetto, 2001, pp. 46-32.

506 Lettera di Calamatta a Mercuri, Bruxelles 10 settembre 1842: “ […] Non dir niente, ma sappi che da

qualche giorno in qua, sto tutto immerso nel Galvanismo, le unghie verde, le mani piene d’impiastri, di cera, bitume, ec. ec. paro un vero Cellini nel momento di fondere il suo Colosso, figureti un gran cassone pieno d’acqua che butta e inonda la casa, il solfato di rame, che bisogna cristallizzare, il mercurio che [illeggibile], sarta, e scappa per tutto, bisogna rincominciare l’impiastro, votar tutti i liquidi, bruciare con l’acqua ragia la preparazione data allo scatolone, per rimettercene un’altra, fumo, fiamme, pare una casa del diavolo, e non ci si vede più; me ne vado al letto.” (Apparati, Epistolario, n. Getty Research Institute, Los Angeles, Inv.9100).

507 Acquaforte e bulino, mm 405x435 (impronta); iscrizioni: in b. sotto l’inciso: “Aloysius Calamatta ad vivum

Delineavit et Sculpsit. 1847”. Esemplari presenti in ultimo stato alla KBR, BnF, Coll. Cialdi, mentre l’I.N.G. conserva uno stato avanti lettera (FC 123147) e la lastra di rame (I.N.G. Cl 219/1-2). Da quanto si ricava dai documenti, al 26 novembre 1840 la lastra figura come “non terminata” (v. Apparati, “Documenti”, Contratto

di Matrimonio di Calamatta con Anne Joséphine Cécile Raul-Rochette (BHVP, Fond Sand, J 59). Pertanto,

verso tra il ’46 e il ’47 Calamatta riprende la lastra incisa in precedenza dal vero, come omaggio al teologo che già conosceva (cfr. Blanc, 1876, p. 109), per trarne una copia galvanica dove apporrà l’iscrizione con la data del 1847, e contestualmente in quell’anno farà stampare tirature avanti lettera (senza iscrizione) dall’originale rame, e tirature con lettera dalla copia galvanica, come si evince dalla corrispondenza: lettera di Calamatta a Mercuri, Bruxelles 11 dicembre 1846 (v. Apparati, Epistolario, n. getty): “[…] Io sto sulle spine, figurati che son diversi giorni che non posso staccare il ritratto di Delamennais [sic] non so dove ho la testa. basta, tenterò ancora prima di disperarmi, non parlarne perché non vogli si sappia che faccio la galvanoplastica.”; lettera di Lelli a Giangiacomo, Bruxelles 14 febbraio 1847 (v. Apparati, Epistolario, nn. getty): “[…] Calamatta presto finirà il ritratto di Dell’Amennai dove gli è arrivata una gran disgrazia e questa è succeduta nel calvanizarlo come sa bene per moltiplicare i rami, l’operazione ci è mal reuscita atteso che nella lastra incisa ci era ci era mescolato dello zinco e siccome lo zinco serve per l’operazione affatto si che le due lastre anno fatto aderenza ed è stato impossibile di staccarle per cui a dovuto far limare tutta la seconda lastra venuta per il metodo calvanico ed a dovuto inciderlo di tel nuovo sulle traccie che si vedevano ancora un poco atteso che l’originale aveva un altro colore, e così è rivenuto alla luce giacche credavamo perduto”. E ancora lettera di Calamatta a Mercuri, Bruxelles Maggio 1847 (Ciampi, 1879, p. 179): “[…] Io ho finito a forza di tigna: perché, a dirti il vero, sono stato più di una volta per lasciare il disgraziato Ritratto di De Lamennais, al diavolo, ma alla fine mi pare che riesca: temo però che dopo tante pene e spese l’altro non si pubblichi avanti, ed in allora ci posso fare una cazzarola, o regalarlo a Louis Philippe”.

(Fig. 105), figura di importante riferimento politico per le sue teorie teologiche e filosofiche sul cristianesimo liberale nell’ambito del partito democratico socialista, conosciuto attraverso la Sand.508 La scoperta del dagherrotipo fu presentata ad agosto del 1839 in due sedute pubbliche presso l'Académie des Sciences e dell'Académie des Beaux Arts dallo scienziato e uomo politico repubblicano François Arago, legato a Calamatta non solo per amicizia ma anche per condivisione delle idee politiche.509 Egli patrocinò l’invenzione “secondo la sua idea che il progresso industriale preparava la via di uno stato democratico ideale”.510 Ma già da gennaio dello stesso anno, fu pubblicato un articolo in sostegno alla nuova invenzione sul primo numero de “La Revue du progrès” fondata da Louis Blanc e Arago, del cui comitato di redazione faceva parte anche Calamatta.511

Tutto questo smentisce ampiamente la presunta avversione ai nuovi ritrovati della tecnica verso i quali, invece, Calamatta dovette nutrire interesse e curiosità fin dagli esordi, essendo a diretto contatto con i protagonisti della prima ora dell’ambiente scientifico progressista repubblicano. È dunque evidente che egli fu tra i pionieri nell’applicazione di queste nuove tecniche al settore della riproduzione e della moltiplicazione dell’immagine e successivamente anche nell’uso della fotografia persino come strumento di lavoro,512 non

508

Félicité de La Mennais o de Lamennais (1782-1854), prese i voti del sacerdozio, ma dedicò la sua vita a contrastare attraverso i suoi scritti gli illuministi e volterriani da un lato e il cattolicesimo d’apparenza connivente col potere temporale perché lontano dai principi evangelici dall’altro. Le sue idee lo portarono ad appoggiare la causa dell'indipendenza belga e irlandese, nazioni fortemente cattoliche e lo fecero apparire come un sorta di rivoluzionario esaltato con grande seguito presso i cattolici liberali di Francia, Belgio, Irlanda e Polonia. Manifestandosi apertamente contro le decisioni di papa Gregorio XVI di appoggiare nel ’31 la repressione russa del popolo polacco, nel 1832 fu scomunicato con l’enciclica Mirari vos. Nel 1835 i suoi amici Fleury, Arago e Liszt lo presentarono alla Sand e dal 1837 diresse il giornale Le Monde, collaborando con lei. Lamennais le fu molto unito, pur rifiutando le sue idee sulla libertà sociale e il divorzio, e sarà lei a introdurlo, insieme a Michel de Bourges, al Socialismo. La scrittrice arriverà a dirgli: «L'annoveriamo tra i nostri santi [...] lei è il padre della nostra nuova Chiesa». Nel 1837, pubblicò il Libro del Popolo, un autentico libro di battaglia. Continuò ad appoggiare le lotte popolari, e nel 1848 fu eletto deputato all’Assemblea Costitutente, ma dopo il colpo di stato del 1851 si ritirò dalla politica (cfr. ad vocem, in “Lessico Universale Italiano”, Istituto Enciclopedia Treccani, Roma 1972, vol. XI, p. 438). Sin dai primi momenti in cui entrò in contatto con loro, Mazzini ammirò molto Lamennais, col quale condivise molte delle sue teorie e al quale dedicò uno scritto biografico in una raccolta pubblicata (cfr. G. Mazzini, Scritti letterari di un Italiano vivente, vol. 3, Lugano 1847, pp. 1-30).

509 V. infra, p.. François Arago (1786-1853), matematico, fisico, astronomo e uomo politico francese. Per

ulteriori approfondimenti su di lui e la funzione politica del dagherrotipo si rimanda all’interessante articolo di A. McCauley, Arago, l’invention de la photographie et le politique, in “Études photographiques”, a. 2, mai 1997, [En ligne], mis en ligne le 12 sept. 2008. URL: http://etudesphotographiques.revues.org/index125.html.

510 Citazione in Ibid.

511 La rivista comparve dal 1839 al 1842: essa rappresentava le opinioni dell’ala sinistra dei repubblicani. Oltre

a Calamatta, appartenevano al comitato di redazione anche Théophile Thoé, Charles Blanc (fratello di Louis), Alexandre Decamps. Tra gli articoli comparvero anche quelli di David D’Angers.

512 Calamatta entrò in rapporto col mondo della fotografia attraverso vari canali: a Parigi, con Felix Nadar per

tramite della Sand, dal quale si fa ritrarre più tardi in costume garibaldino nel 1865-6 (Fig. ), e con Robert Jefferson Bingham (cfr. Bann, 2001, pp. 118-119 e 158-159 e L. Boyer, Robert J. Bingham, photographe du

solo per la stretta vicinanza all’ambiente scientifico e per l’intrinseco significato politico che la scelta comportava. Calamatta aveva intravisto nei nuovi sistemi una possibilità per lo ‘svecchiamento’ delle tecniche tradizionali, nell’estremo tentativo di accorciare la distanza sempre crescente dei tempi d’incisione della calcografia rispetto ai concorrenziali procedimenti di litografia e xilografia su legno di testa, in un’epoca in cui la forte richiesta di immagini e la rapidità con cui esse dovevano essere immesse sul mercato per risultare efficaci minacciava la definitiva scomparsa delle elaborate lastre di rame e acciaio.

L’analisi di alcuni rarissimi esemplari di un’inedita prima versione del Ritratto di Mazzini conservati presso la Bibliothèque Royale di Bruxelles513 e nella Collezione Cialdi di Civitavecchia514 (figg. 93 a-f) conferma l’immediata applicazione del procedimento di Fizeau col quale si poteva incidere direttamente la lastra di rame del dagherrotipo mediante un processo elettrolitico oppure trarne una copia incisa delle lastre dagherrotipe attraverso la galvanoplastica, in entrambi i casi distruggendone l’immagine impressa (a ciò si riferiva Mazzini nella sua lettera) per ricavarne un lastra calcografica pronta per essere inchiostrata e stampata.515 Dalla ricostruzione effettuata in questa sede della sequenza di sei stati, è

monde de l’art sous le Second Empire in “ Études photographiques”, n. 12, novembre 2002 , [En ligne], mis en

ligne le 11 septembre 2008. URL : http://etudesphotographiques.revues.org/index320.html), al quale

commissiona la riproduzione fotografica di alcuni suoi disegni (Testa di dannato, da Michelangelo, e Visione

di Ezechiele, da Raffaello). Si tratta di fotografie all’albumina inedite conservate nella Collezione Cialdi di

Civitavecchia un altro esemplare della Visione di Ezechiele è presente nella collezione della BnF di Parigi. Probabilmente le fotografie vennero stampate in occasione della Esposizione Universale di Parigi del 1855, dove figurava il disegno della Visione assieme a quello raffigurante La Pace, attribuita a Raffaello, di cui sempre a Civitavecchia nella Collezione Cialdi è presente una fotografia senza iscrizioni (cfr. anche infra, p. ). Dai fratelli Vincenzo e Leonida Caldesi, esuli patrioti italiani trasferitisi a Londra, nel 1851-52, chiese invece le fotografie dei Cartoni di Raffaello delle collezione reale di Hampton Court in cambio di alcune sue stampe (cfr. Lettera di Calamatta ad Agneni, Bruxelles 5 ottobre 1860; v. Apparati, Epistolario, n.). Calamatta fu in stretto contatto anche con Tommaso Cuccioni (c.1790-1864), ex allievo dell’Ospizio di S. Michele come lui, calcografo, attivo a Roma come fotografo dal 1852, con la produzione di celebri vedute del Foro (cfr. Vu

d’Italie 1841-1941. I grandi Maestri della fotografia italiana nelle collezioni Alinari, catalogo mostra a cura di

Anne Cartier-Bresson, Museo Nazionale Alinari della Fotografia, 29 ottobre al 10 dicembre 2006, Firenze 2006), nonché con l’editore di Bartolomeo Pinelli divenuto anche fotografo Luigi Fabri, dal quale si fa stampare la fotografia del Ritratto di cardinale, da Raffaello conservata nella collezione Cialdi di Civitavecchia.

513

Bulino e acquaforte, mm 470x320 (impronta) KBR, inv. CALAMATTA.S.II 18208-9, 18900-2.

514 Inv. 8636.

515 Cfr. voce “Daguerreotypes, etching”, in Encyclopaedia of photography, introduction by P. C. Bunnell and

Robert A. Sobieszek, USA 1974, p. 161. Secondo Maria Francesca Bonetti tale procedimento non trovò un’effettiva applicazione pratica nella riproduzione e nella diffusione a stampa delle immagini riprese con il dagherrotipo Maria Francesca Bonetti, D’après le Daguerréotype… l’immagine dell’Italia tra incisione e

fotografia, in L’Italia d’Argento. 1839-1859. Storia del dagherrotipo in Italia, a cura di Monica Maffioli,

Firenze 2001, pp. 31-40, p. 34 e nota 15 con bibliografia di riferimento. Di parere contrario è Janet E. Buerger (J. E. Buerger, French daguerreotypes, International Museum of Photography at George Eastman House, Chicago 1989), che invece fornisce le prime indicazioni di questa applicazione del dagherrotipo, anche specificamente al ritratto in ambito artistico dedicandogli un intero capitolo: Portraiture and the professionals (p. 50 e ss.). Si segnala, infine, una recente mostra dedicata al dagherrotipo francese anche nelle sue

evidente che la testa di Mazzini risulta finita in tutte le sue parti sin dal primo stato, mentre il resto della figura è ancora arretrato alla stesura delle prime linee a bulino. Confrontando la sequenza con altre due riferite a ritratti eseguiti nella maniera tradizionale, come il Ritratto di Guizot da P. Delaroche del 1839 (Figg. 106 a-c)516 e il Ritratto di Molé da Ingres del 1840 (Figg. 107 a-c),517 si constata che l’incisione del volto avanza in queste ultime contestualmente al resto della composizione quando addirittura non la succede.

Si può dedurre che nel Ritratto di Mazzini Calamatta avrebbe ricavato l’incisione della testa direttamente dal dagherrotipo (o da una copia galvanica da esso tratta), ritoccarla in alcuni punti per migliorarla, ritagliarla e incastonarla in un rame vergine sul quale avrebbe inciso direttamente ex novo il resto della figura e della composizione, rimodellata – come si spiegherà più avanti – su un disegno dal vero di Mazzini eseguito successivamente.

3.2.2.4. Le intenzioni di Calamatta nei disegni preparatori e la pr 3.2.2.4. Le intenzioni di Calamatta nei disegni preparatori e la pr 3.2.2.4. Le intenzioni di Calamatta nei disegni preparatori e la pr

3.2.2.4. Le intenzioni di Calamatta nei disegni preparatori e la prima versione ima versione ima versione ima versione incisa

incisa incisa incisa

Il 14 settembre 1847, a tre mesi di distanza dalla presa in carico dell’opera da parte di Calamatta, Mazzini scrisse a Lamberti:

Perché Calamatta vuol egli cangiar la posizione mia, cosa che a lei [Emilie] dispiace assai? Cosa importa a me della posizione? E a ogni modo era quella la mia quando m’ha dipinto.518

E da Parigi tre giorni dopo informò Emilie della decisione di Calamatta:

Passo ad altri argomenti molto più importanti, cioè al ritratto, al mio ritratto […]. Il ritratto, ahimè, è pressoché trasformato […]. La posterità perderà le mie mani; […] Potrei ora morire in pace, se non fosse per questo ritratto; anzi no: potrei rompere la mia testa – non le mie mani: esse sono troppo belle – contro una parete, se non fosse per il plauso di Staudigl.519

Con rammarico di Mazzini, ma soprattutto della pittrice, pare che fin da subito Calamatta avesse deciso in modo risolutivo di voler modificare la posa del busto ritenendolo innaturale e poco efficace per la diffusione su vasta scala dell’immagine dell’“Apostolo della Patria”

applicazioni riproduttive: The Daguerreotype and art history ; the dawn of photography: French

daguerreotypes, 1839 – 1855, The Metropolitan Museum of Art, New York, September 23, 2003 - January 4,

2004, organized by Malcolm Daniel, with the assistance of Stephen Pinson.

516

Acquaforte e bulino, mm 470x380 (impronta), Parigi, BnF, inv. Rés. Eb-46-fol. (CALAMATTA).

517 Acquaforte e bulino, mm 682x545 (f.), 535x430 (i.) (Parigi, BnF, inv. Eb-46-fol. (CALAMATTA)) 518 V. infra, Documenti, Scambi epistolari, n. 28.

che sarebbe dovuta apparire al mondo in un atteggiamento più fiero e risoluto, data la situazione politica in corso. Pertanto, con l’approvazione dell’Accursi e di Giannone,520 egli apportò una sostanziale modifica nella posa che da frontale veniva girata quasi a tre quarti con le braccia conserte, nascondendo le mani e perdendo in tal modo per sempre il richiamo affettivo dell’anello materno al dito al quale né la pittrice, né Mazzini avrebbero voluto rinunciare:

Il y a là un petit trésor d’affections et de souvenirs que je n’entends nullement sacrifier et qui valent mieux, j’en suis sûr, que toutes les améliorations possibles.521

Nonostante i ripetuti tentativi di Mazzini attraverso Lamberti di far cambiare idea a Calamatta ancora a dicembre del 1847,522 l’incisore restò fermo nel suo intento, forte anche dell’appoggio di George Sand, che in un primo momento, memore di ciò che era accaduto dieci anni prima col suo ritratto derivato dal dipinto di Delacroix, sconsigliò l’amico dall’intraprendere la traduzione dal dipinto. Avendolo visto, l’aveva giudicato un’opera dilettantesca, eseguita in modo naif, senza disegno e mal dipinta, che sicuramente avrebbe causato fastidi con l’artista nel caso in cui egli avesse apportato dei cambiamenti per migliorarla:

Je dis à Calamatta en le voyant: “Je t’en prie, ne copie pas cette peinture. C’est affreux, et si tu la corriges, il t’arrivera ce qui arrive toujours en pareil cas, on trouvera que tu l’as gâtée.523

Come era accaduto per il Ritratto di George Sand, Calamatta ritenne necessario far posare dal vero Mazzini per due sedute, nonostante avesse con sé il dipinto e questa volta pure i dagherrotipi, per avere la possibilità di migliorare ulteriormente le sembianze del volto ritenuto da lui (e dalla Sand) non veritiero nel ritratto dipinto.

Nell’antiporta del volume XXXII degli Scritti Editi ed Inediti pubblicato nel 1921 compare un disegno di Calamatta (Fig. 94). Secondo la nota esplicativa di Galeati,

per ragioni artistiche [Calamatta] non riprodusse fedelmente il dipinto, ma su di esso e sul dagherrotipo preparò un disegno, che non fu poi neanche quello esemplato per l’incisione, e che esaminò Emilia Hawkes quando andò a Parigi nel settembre del

520

Lettera di George Sand a Mazzini, Nohant, 5 novembre 1849 (cfr. Ibid., n. 37).

521 Lettera di Mazzini alla Ashurst, Frontiera Lombarda, 14 novembre 1848 (ibid., n. 36). 522 Lettera a Giuseppe Lamberti, Londra, 15 dicembre 1847 (ibid., n. 32).

1847: quello stesso che la R. Commissione riproduce in fronte al vol., per gentile concessione della famiglia dal compianto Ernesto Nathan.524

Dal testo si comprende che i disegni preparatori furono in realtà due ed entrambi non corrispondenti al dipinto: il primo eseguito tenendo presenti il dipinto e il dagherrotipo che, a detta di Galeati, corrisponde a quello esaminato da Emilia, ed è forse lo stesso di cui Mazzini parla nelle lettere ad Ashurst padre e figlia quando era ancora a Parigi nel novembre del 1847.525

Ma non si tratta di quello riprodotto nel volume (di recente ritrovato nei depositi della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea),526 bensì del secondo disegno che sarebbe servito per il trasporto sulla lastra per la seconda versione, poiché la barba appare più lunga e ricopre tutto il mento. Questo potrebbe corrispondere al ritratto che Calamatta eseguì dal vero durante le due pose richieste a Mazzini ricordate in due lettere, una inviata alla Ashurst il 14 novembre 1848:

Tant de choses graves pour moi se sont passées depuis la séance que je lui donnai, que mes souvenirs sur ses conditions sont très vagues. Mais je me rappelle fort bien qu’il s’agissait pour lui, en me demandant une séance, de vous proposer quelques légers changements de détail, [telle] que la pose de la main et par conséquent de l’épaule. Je suis fort mauvais juge, vous le savez, en ce qui me concerne ; et je cédais volontiers sur tout cela la parole à Lamberti qui était présent. Mais je lui répétai plusieurs fois que j’avais à cœur avant tout votre satisfaction, que la tête devait rester absolument telle quelle, et quant au reste, il n’avait qu’à vous envoyer une esquisse pour que vous fussiez juge des modifications qu’il proposait. L’a-t-il fait ? Je n’ai jamais depuis lors entendu parler ni du portrait ni de lui. 527

e l’altra della Sand a Mazzini a distanza di un anno, il 5 novembre 1849:

524

S.E.I., vol. XXXII, p. 375.

525 Lettere di Mazzini a William Ashurst, Parigi 10 novembre 1847, e a Emilie Ashurst, Parigi 14 novembre

1847 (v. infra, Documenti, Scambi epistolari, nn. 30-31).

526 Il disegno è stato ritrovato dalla dottoressa Maria Pia Critelli (che ringrazio per la comunicazione) nei

depositi della BSMC, in pessime condizioni, restaurato e lì attualmente conservato.

Negli Scambi epistolari (nn. 53-55) vi sono riportate alcune lettere inedite inviate da Lina Sand Calamatta a Sara Levi in Nathan (Pesaro 1819-Roma 1882), madre di Ernesto (primo sindaco di Roma eletto in

Campidoglio nel 1907), che acquistò per 500 lire il disegno e anche la lastra in rame della seconda versione del ritratto fatta stampare dal calcografo parigino Dusacq. Fino a qualche anno fa, si erano perse le tracce di entrambe le opere.

527 Lettera di Mazzini alla Ashurst, Frontiera Lombarda, 14 novembre 1848 (v. infra, Documenti, Scambi

Mrs Accursi et Giannone l'autorisaient de la part de Mme H[awkes] à faire toutes les corrections qu’il jugerait convenables. Il travailla, il reçut 2.000 f. moitié de la somme convenue. Il vous vit, obtint de vous deux séances et fit de son mieux.528

in linea di massima, se ci si attiene a quanto riportato da Galeati non si giustificherebbe l’esistenza dell’intera serie di prove di stato della prima versione conservata alla Bibliothèque Royale di Bruxelles e derivata dalla posa del dipinto, fino ad oggi rimasta ignota a tutta la critica. La corrispondenza viene ancora in aiuto per un’ipotesi di