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3. La fase dell’interpretazione ampia e liberale

3.3. La fase dell’interpretazione restrittiva

3.3.1. I diritti linguistici nell’ambito dei procedimenti giudiziari

L’interpretazione ampia delle norme che si riferiscono ai diritti linguistici fu sostituita, verso la metà degli anni ’80, con un approccio più restrittivo, tanto che uno studioso canadese di diritto costituzionale, Ian Green, osservò che i giudici sostenevano i diritti se la loro esistenza risultava espressamente dalla Carta costituzionale. Per il resto, essi interpretavano i diritti linguistici “riduttivamente”183.

I primi due casi, dei tre che mi accingo a esaminare, MacDonald e

Bilodeau, riguardavano l'emissione di due multe per eccesso di velocità,

rispettivamente in Québec e in Manitoba, la cui comunicazione era stata data solo in una lingua: nel primo caso in francese a un cittadino anglofono, nel secondo caso in inglese a un cittadino francofono. Detti cittadini, appartenenti a una minoranza linguistica nella Provincia di residenza, chiedevano la dismissione dell’accusa: ritenevano, infatti, che,

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Re: Manitoba Language Rights, 1985, 1. S.C.R. 72, § 1.

182

Re: Manitoba Language Rights, 1985, 1. S.C.R. 72, § 157.

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Remarks of the Right Honourable Beverley McLachlin, P.C. Chief Justice of Canada, www.scc-csc.gc.ca.

in virtù degli articoli 133 del BNAA del 1867 e 19 del Charter canadese del 1982, fosse stato violato un loro diritto costituzionale per aver ricevuto una citazione di fronte al giudice provinciale, redatta in una sola delle due lingue ufficiali. Era, quindi, controverso il diritto di utilizzare entrambe le lingue ufficiali in atti giudiziari e di essere capito dal giudice nella lingua della minoranza184. In caso di risposta affermativa, si doveva decidere la questione se il giudice conservasse o no la giurisdizione nei confronti dell’accusato.

Innanzitutto, la Corte premise alcuni elementi interpretativi essenziali. Spiegò che l’articolo 133 del BNAA, 1867, garantisce a qualsiasi persona, anglofona o francofona, il diritto di essere convocato presso un tribunale del Canada e in qualsiasi tribunale del Québec in un processo rilasciato nella sua lingua, almeno “quando lo Stato è parte del procedimento, come nei casi penali”. La Corte aveva anche chiarito, riprendendo le considerazioni effettuate nei casi Blaikie, che c’erano due motivi per cui le norme di procedura devono essere promulgate e applicate sia in inglese che in francese: “La natura legislativa delle regole processuali […] e la necessità di salvaguardare il diritto di tutti i litiganti”. Tra i diritti processuali da tutelare, vi era anche quello di capire cosa accade nel processo, perciò il giudice dovrebbe rivolgersi agli imputati nella loro lingua185.

Nonostante tali premesse, nel caso MacDonald la maggioranza dei giudici della Corte ha ritenuto che non si potesse riconoscere alcuna violazione delle norme costituzionali in materia di diritti linguistici. I giudici, in particolare il giudice Beetz, spiegarono che i diritti linguistici avevano carattere distinto rispetto agli altri riconosciuti dalla Costituzione, minimizzandone la portata. Dato che l’articolo 133 non riconosce nessun diritto linguistico all’appellante in quanto destinatario

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Nel caso Bilodeau, tra l’altro, era messa in discussione anche la validità della stessa fattispecie che regolava l’atto di citazione Infatti, la legge che conteneva la norma era stata promulgata solo in lingua inglese, in violazione degli articoli 133 del BNAA del 1867 e 23 del Manitoba Act del 1870 (v. § 3.2.).

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della convocazione, allo stesso modonon impone nessun corrispondente obbligo allo Stato. L'unico dovere positivo che la Corte riteneva di poter ricavare dall’articolo 133, è quello imposto alle Camere del Parlamento del Canada e all’Assemblea Nazionale del Québec, di utilizzare sia l’inglese che il francese nei lavori di quelle camere, così come il dovere di legiferare in entrambe le lingue. Inoltre, l’articolo 133 imponeva il dovere (negativo) di non violare i diritti linguistici conferiti direttamente ai parlamentari e ai giudici: “Sarebbe illegale, per esempio, espellere un membro della Camera dei Comuni o dell'Assemblea Nazionale per il fatto che usa il francese o l’inglese nei dibattiti; o impedire a un giudice di un tribunale del Québec o di un tribunale federale l'uso di una lingua nella sua corte. Ma questo dovere non è quello positivo che il ricorrente invoca”. La Corte suggeriva che l’unico modo per non deludere le aspettative del destinatario di un procedimento giudiziario fosse quello di emettere l’atto di citazione in entrambe le lingue ufficiali, il che sarebbe stato certamente ammissibile, o meglio, auspicabile. Al contrario, imporlo come un dovere che emana dall’articolo 133 avrebbe significato “farsi beffe del testo della Costituzione”186.

La Corte fece anche riferimento a una proposta della società franco –

manitobaine di distinguere tra procedimenti civili, da un lato, e penali

dall'altro. La parte attrice nei processi civili manterrebbe la possibilità di scegliere la lingua mentre, in un procedimento penale, l'imputato avrebbe il diritto di essere convocato dinanzi al giudice nella lingua di sua scelta. Il giudice Beetz scartò il suggerimento poiché ritenne che questa distinzione non si potesse trarre dalla terminologia dell’articolo 133 del BNAA del 1867187.

In questo modo, la Corte considerava solo il diritto (delle pubbliche autorità!) di scrivere e parlare in entrambe le lingue ufficiali, ma limitava il significato e la portata del diritto al giusto processo (due process)188.

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MacDonald v. City of Montreal, 1986, 1 S.C.R. 460, §§ 67 – 69.

187

MacDonald v. City of Montreal, 1986, 1 S.C.R. 460, § 82.

188

The case – law of the Supreme Court of Canadaon minority linguistic rights, R. De Caria, CDCT working paper 5 – 2012.

Secondo la maggioranza dei giudici, nel caso in cui alla parte del processo non fosse chiaro lo svolgersi del procedimento per problemi linguistici, sarebbe bastato fornire un doveroso servizio di traduzione. Resta che il diritto di capire cosa accade in tribunale e di essere compreso non era ritenuto un diritto linguistico, bensì solo “uno dei tanti aspetti del diritto a un equo processo”189.

In questo contesto di sfavore verso l’inclusione dei diritti linguistici in quello del giusto processo, il Giudice Wilson sostenne un’opinione dissenziente: se l’articolo 133 conferiva il diritto alle parti di usare la propria lingua madre in tribunale, allora esisteva un correlativo dovere dello Stato di rispettare tale diritto.Era vero che un obbligo di questo tipo non poteva essere imposto allo Stato in virtù dell’articolo 133 (per l’uso del verbo “may”, che avvalla un comportamento, ma non lo impone), ma la convocazione non era comunque valida perché non erano presi in debita considerazione i destinatari delle diverse parti dell’articolo 133. Due parti sono indirizzate allo Stato (Parlamento e tribunali), le altre due al cittadino. “Le parti indirizzate allo Stato sono obbligatorie, impongono un obbligo allo Stato; le parti rivolte al cittadino, invece, gli conferiscono diritti: poter utilizzare la propria lingua, inglese o francese, nelle discussioni parlamentari e nei procedimenti giudiziari”190.

Il Giudice Wilson conclude dicendo che, a suo parere, i documenti di avvio del processo devono, come minimo, riconoscere e soddisfare il diritto del contendente di capire ed essere capito e il modo ideale di rispettare l’obbligo era di emettere i documenti in versione bilingue. Con riferimento alla sentenza Bilodeau, si può, altresì, sottolineare che la Corte sbrigò il caso in poco tempo, proprio perché le fu posta una questione già affrontata nel caso Re: Manitoba Language Rights l’anno precedente. Se era vero che la legge che prevedeva e regolava la fattispecie era ultra vires, dunque invalida, perché era stata promulgata e pubblicata solo in inglese (in violazione dell’articolo 23 del Manitoba

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MacDonald v. City of Montreal, 1986, 1 S.C.R. 460, § 114.

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Act del 1870), applicando la dottrina de facto, se ne poteva dichiarare la

temporanea validità. Le leggi monolingui rimanevano in vigore finché non fossero state tradotte anche in francese. Appurato questo punto, si giungeva alla stessa conclusione del caso MacDonald: la maggioranza riteneva che una convocazione monolingue non contravvenisse agli articoli 133 e 19 del BNAA del 1867. Anche qui, il giudice Wilson dissentì rispetto all’opinione della maggioranza, ritenendo che l'obbligo dello Stato poteva essere adempiuto con la semplice aggiunta della comunicazione anche nell’altra lingua ufficiale; durante il processo il convenuto avrebbe anche avuto diritto a ottenere una traduzione dai funzionari del tribunale191.