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I diversi processi valutativi del bilancio: fair value vs. costo sto-

rico

Sulla scia del processo di armonizzazione contabile e di avvicinamento agli IAS/IFRS ini- ziato con l’adozione delle Direttive 2001/65/CE e 2003/51/CE, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno emanato la nuova Direttiva 2013/34/UE.

Come noto, tale nuovo corpo normativo è volto a riformare definitivamente il quadro con- tabile europeo, modernizzando il tradizionale modello di bilancio basato sulle Direttive IV e VII.

Oltre alle novità di cui si è discorso nel precedente capitolo, la nuova Direttiva suggerisce criteri alternativi per la valutazione di alcune poste di bilancio.

In pratica, nonostante venga confermato il predominio del principio di prudenza e del cri- terio del costo storico122, la Direttiva autorizza l’adozione del metodo valutativo del fair

value relativamente alle immobilizzazioni materiali ed immateriali, agli strumenti finan-

ziari e ad altre categorie di attività123.

Tale metodologia di valutazione alternativa prevista dagli articoli 7 ed 8 della Direttiva 2013/34/UE è certamente sintomatica dell’intento di proseguire nel processo di avvici- namento ai principi contabili internazionali, da parte del legislatore comunitario.

Prima di passare all’analisi del nuovo articolo 2426 c.c. e delle deroghe al principio del costo storico, appare opportuno chiarire brevemente il concetto di misurazione al fair va-

lue.

122 Direttiva 2013/34/UE, cit., articolo 6, paragrafo 1, punti c) ed i). 123 Direttiva 2013/34/UE, cit., articoli 7 e 8.

Il fair value viene definito dall’IFRS 13, “Fair value measurement”, come: “the price that

would be received to sell an asset or paid to transfer a liability in an orderly transaction between market participants at the measurement date124”.

La locuzione fair value, di matrice anglo-sassone, è stata tradotta in italiano in molte ver- sioni, si ricordano ad esempio le formule: “valore corrente”; “valore di scambio”; “valore di mercato”; “valore equo” e “valore netto125”. Tuttavia, indipendentemente dalla formula

utilizzata, ciò che importa agli esperti in dottrina è allacciare la nozione di fair value a quella di “"valore adeguato" (omissis) capace cioè di esprimere, senza privilegiare partico-

lari classi di stakeholder ed in maniera tendenzialmente oggettiva e verificabile, il poten- ziale valore di un componente del patrimonio, tenendo conto sia delle condizioni di mercato sia delle caratteristiche specifiche del singolo bene nel momento e nelle condizioni assunti a riferimento per la sua valutazione126”.

La base di partenza per una valutazione al fair value è pur sempre il prezzo d’acquisto dell’elemento patrimoniale, aumentato degli oneri accessori, oppure il suo costo di pro- duzione.

Successivamente, la prassi internazionale prevede che, alla chiusura di ogni esercizio e finché il bene oggetto di valutazione rimane in azienda, si accerti se l’elemento patrimo- niale ha subito o meno una variazione di valore. Per fare questa verifica è necessario con- frontare il valore iscritto a bilancio con il fair value dell’elemento patrimoniale, detto an- che exit price. Quest’ultima grandezza può coincidere con il prezzo di mercato, se esiste un mercato attivo per l’elemento oggetto di valutazione, alternativamente, può essere sti- mata con tecniche valutative che consistono: nell’osservazione del prezzo di mercato di elementi similari (market approach); oppure nella sommatoria dei costi che occorrerebbe sostenere per sostituire il servizio reso dal bene (cost approach); od anche nell’attualiz- zazione dei flussi reddituali ricavabili dall’elemento patrimoniale (income approach). Lo IASB è assolutamente indifferente alla tecnica valutativa utilizzata, purché il fair value che risulta dalla misurazione, rifletta, il più realisticamente possibile, le correnti condi- zioni di mercato dell’elemento patrimoniale, o ne rispecchi il valore d’uso in considera- zione delle circostanze specifiche di utilizzo127.

124 IFRS 13, “Fair value measurement”, versione aggiornata a luglio 2014, paragrafo 9.

125 Tale formula, utilizzata nel testo della Direttiva 2013/34/UE per indicare il criterio di valutazione a fair

value, è stata dichiarata dalla maggior parte degli esperti in materia come poco significativa o addirittura fuorviante.

126 Michele Pizzo, “Il fair value nel bilancio d’esercizio”, Cedam Editore, Padova, 2000, pagine 10 e 11. 127 IFRS 13, “Fair Value Measurement”, versione aggiornata a luglio 2014, paragrafi da 57 a 66.

Se dal confronto tra il valore di iscrizione ed il fair value (o exit price) dell’elemento patri- moniale, emerge che il fair value è inferiore, si dovrà procedere ad una rettifica di quanto iscritto a bilancio onde valorizzare l’elemento patrimoniale in base alla sua fecondità re- sidua.

Qualora, invece, il fair value risulti essere superiore al valore dell’asset iscritto a bilancio, si dovrà procedere all’integrazione della posta patrimoniale onde dare rappresentazione al valore corrente dell’elemento oggetto di analisi.

In tal caso si genereranno dei plusvalori reddituali che non sarebbe in alcun modo possi- bile realizzare adottando la tecnica valutativa del costo storico128.

In considerazione di quanto suesposto, è possibile affermare che la logica valutativa del

fair value non solo si distanzia dai fondamentali della tradizione ragionieristica comuni-

taria, accogliendo nel bilancio d’esercizio, incurante dei principi di “prudenza” e “compe- tenza economica”, plusvalori emersi da realizzazioni solo potenziali; ma si rivela anche soggetta a possibili abusi e distorsioni informative, a causa della discrezionalità delle tec- niche estimative utilizzabili in mancanza di un mercato attivo e consolidato dell’asset. Come noto, il criterio del fair value ha trovato ampia attuazione nella prassi contabile in- ternazionale, in quanto adatto a soddisfare le esigenze conoscitive dei mercati finanziari, ai quali fanno spesso ricorso le grandi società. Esso è in grado, cioè, di informare gli inve- stitori esterni sull’effettivo valore del patrimonio aziendale a cui il bilancio è riferito, se- guendo una logica di mercato, ovvero di possibile smobilizzo dell’azienda o di ramo d’azienda129.

Viceversa, il modello di bilancio civilistico, di derivazione comunitaria, è finalizzato prin- cipalmente ad informare i creditori sociali130 “sull’andamento della gestione e sulla consi-

stenza del patrimonio di funzionamento131”. Esso serve, inoltre, a calcolare gli utili distri-

buibili ed ha anche un valore fiscale, infatti, sul risultato economico di periodo effettiva- mente conseguito si applicano le variazioni fiscali che servono a determinare la base im- ponibile per le imposte sul reddito; notoriamente IRES ed IRAP.

128 A tal proposito si ricorda che a livello nazionale la rivalutazione di un elemento patrimoniale è realizza-

bile solo se espressamente prevista da leggi speciali del governo.

129 Lorenzo De Angelis, “Elementi di diritto contabile: disciplina civilistica e principi contabili internazio-

nali”, 3° edizione, Giuffrè Editore, Milano, 2013, pagine da 121 a 140.

130 Si intendono creditori sociali, oltre ai soci, anche i partner commerciali, gli istituti di crediti e l’erario. 131 Claudio Sottoriva, “La riforma della redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato: una

prima lettura della Direttiva 2013/34/UE del 26 giugno 2013 che abroga le Direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE (IV Direttiva CEE e VII Direttiva CEE)”, cit., pagina 33.

Essendo chiaro lo scopo del bilancio civilistico, ovvero di giungere ad una configurazione veritiera e corretta degli utili conseguiti e delle perdite subite132, non si ritiene credibile

l’ipotesi di poter passare all’adozione integrale del criterio valutativo del fair value, senza di conseguenza danneggiare la funzione organizzativa esercitata dal bilancio stesso. In pratica, l’adozione della logica del fair value comporterebbe una diversa determina- zione del risultato economico d’esercizio, perciò, risulterebbe necessario revisionare l’in- tero regime di distribuzione degli utili ai soci, nonché le disposizioni in materia fiscale, per non incorrere in configurazioni di reddito ibride e poco significative o addirittura in abusi di diritto.

Consapevole delle suesposte problematiche, in sede di recepimento della Direttiva 2013/34/UE, il legislatore italiano ha scelto di continuare a privilegiare il criterio del co- sto storico quale metodo valutativo cardine del bilancio civilistico. Si vedano di seguito gli sviluppi della riforma in materia di misurazione delle poste patrimoniali.

2.

Prudenza estimativa e criterio del costo storico per immobiliz-