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Il preludio al D-Day

4.5 I porti artificial

Fin dalle prime fasi della progettazione dell’invasione in Europa, gli alti comandanti addetti allo sviluppo dei piani si soffermano sul fatto che, per la riuscita completa dell’operazione, sia necessario e assolutamente indispensabile la

381 Bertin, La vera storia dello sbarco in Normandia, p. 63. 382 Atkinson, Una guerra al tramonto, p. 22.

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conquista di più porti per permettere il rifornimento via mare del contingente che sarebbe sbarcato fin dai giorni successivi alla presa delle spiagge. Dato che i porti, così come i ponti, sono teoricamente le prime infrastrutture che un difensore distrugge prima dell’arrivo dell’invasore, per evitare che quest’ultimo li possa utilizzare a proprio favore, vi è il grande problema di come poter garantire i rifornimenti alle truppe. In una prima fase si pensa di utilizzare solo ed esclusivamente un ponte aereo lungo la Manica, ciò sarebbe stato però difficile se non del tutto impossibile da realizzare almeno per due fattori: il primo per il semplice costo e difficoltà nella produzione di velivoli per il trasporto di merci, il secondo ancora più banale, per la impossibilità di trasportare determinati veicoli e mezzi corazzati tramite via aerea.

La soluzione ideale sarebbe quella di poter disporre del porto di Cherbourg, ma quel porto è imprendibile dal mare e per conquistarlo da terra servirebbero almeno quindici giorni, ai quali si sommerebbero altri giorni dedicati alla ricostruzione delle infrastrutture danneggiate dai tedeschi. Per questo motivo si arriva alla conclusione che l’unico sistema è, se non si fosse riusciti a disporre di un porto già presente, di costruirne uno artificiale al momento dello sbarco.383

«Since the nature of the defenses to be encountered ruled out the possibility of gaining adequate ports promptly, it was necessary also to provide a means for sheltering beach supply from the effect of storms. We knew that even after we captured Cherbourg its port capacity and the lined of communication leading aout of it could not meet all aour needs. To solve this problem, we undertook a project so unique as to be classed by many scoffers as completely fantastic. It was a plan to construct artificial harbours on the coast of Normandy.» 384

Un’idea precoce per la costruzione di porti temporanei era già stata formulata anni prima, niente meno che da Winston Churchill, in una proposta del 1917 all’allora Primo Ministro Lloyd George, e si basava sull’idea di poter costruire dei porti artificiali qualora fosse stato necessario durante le missioni nel Mediterraneo. Nel 1940 l’ingegnere civile Guy Maunsell scrisse all’Ufficio di Guerra con una proposta per un primo porto artificiale da poter utilizzare nel contesto della guerra navale nel Mediterraneo, ma l’idea non fu accolta sia per l’impossibilità economica

383 Bertin, La vera storia dello sbarco in Normandia, p. 60. 384 Eisenhower, Crusade in Europe, Cit. p. 266.

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della realizzazione, sia per una non necessità momentanea e fondamentale di tale costruzione. Churchill espresse già dal 1942 una frustrazione per l’impossibilità di realizzare questo progetto, ma le cose cambiarono quando il vice-Ammiraglio John Hughes-Hallett dichiarò che la questione dei porti artificiali era di vitale importanza per una riuscita dell’eventuale invasione. Hughes-Hallett ottenne, allora, il sostegno di Churchill. Il concetto dei porti artificiali cominciò a prendere forma quando Hughes-Hallett venne trasferito e assegnato alla progettazione di

Overlord.

Si decide che la costruzioni di questi porti sarebbe iniziata sul finire del 1943, e ogni singolo elemento sarebbe stato creato e montato nei cantieri inglesi. Logicamente il tutto sarebbe stato sotto la massima segretezza. Sarebbero stati realizzati due porti artificiali separati: uno americano e uno britannico/canadese; i porti, che avrebbero preso il nome in codice di Mulberry, sarebbero stati formati da una serie di vari elementi.385 Alcune strutture in cemento, veri e propri “blocchi”,

dal nome di Bombardons sarebbero stati creati semplicemente con lo scopo di fare da frangiflutti insieme ad altre imbarcazioni che sarebbero state affondate al momento, operazione Goosberies, altri elementi; i Phoenixes, simili ai precedenti, sarebbero serviti come banchine di attracco per navi di diversa stazza, nonché come base per costruzioni meccaniche quali gru per lo scaricamento materiale; infine un ultimo gruppo di elementi, i Whales, costituiti da ponti di acciaio galleggianti, avrebbero avuto lo scopo di permettere lo sbarco di truppe e mezzi direttamente sulla spiaggia.

«Two general types of protected anchorages were designed. The first, called “gooseberry”, was to consist merely of a line of sunken ships placed stem to stern in such numbers as to providea sheltered coast line in their lee on which small ships and landing craft could continue to unload in any except the most vicious weather. The other type, named “mulberry”, was practically a complete harbour.» 386

I Phoenixes sono cassoni in cemento armato di diverse dimensioni, da circa 2.000 a 6.000 tonnellate ciascuno e ogni unità sarebbe dovuta essere rimorchiata in Normandia da due rimorchiatori, per un totale di 149 Phoenixes. I cassoni dopo

385 Ambrose, D-Day. Storia dello sbarco in Normandia, p. 54. 386 Eisenhower, Crusade in Europe, Cit. p. 266

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la costruzione sarebbero stati affondati nei porti inglesi per evitare lo spionaggio, tramite un sistema di camere stagne, e successivamente dopo il D-Day, sarebbero fatti riemergere e trasportati in Normandia, da qui il nome Phoenixes. I Bombardons, 113 in tutto, sono lunghi circa 60 metri e larghi 8, sarebbero dovuti essere collegati tra loro con corde in modo da creare una fila lunga circa un miglio e ancorati al fondale a circa 18 metri di profondità. I ponti Whale sono in sostanza un insieme di ponti flessibili della lunghezza di circa 25 metri ogn’uno, montati su unità galleggianti con particolari sistemi di torsione che permette ai ponti di essere semoventi, in modo da far sì che durante l’alta e la bassa marea il livello dei ponti sia sempre il medesimo e in modo da garantire uno smorzamento dell’impatto del moto ondoso sulla struttura.387

Il 2 settembre 1943 i Capi di Stato Combinati valutano che i porti artificiali avrebbero avuto bisogno di gestire come minimo 12 mila tonnellate al giorno, esclusi i trasporti automobilistici. Il 4 settembre viene dato il via per iniziare subito i lavori sui porti. Entrambe le località per i porti temporanei richiedono informazioni dettagliate relative alla geologia, all’idrografia e alle condizioni del mare. Per raccogliere questi dati, nell’ottobre del 1943 viene creata una speciale squadra di idrografia che nei mesi successivi avrebbe raccolto tramite una serie di missioni un’enorme quantità di informazioni su ogni tipo di elemento da prendere in considerazione per la realizzazione ottimale dei porti.

Dopo lo sbarco sarebbero stati impiegati 158 rimorchiatori, invece dei 200 previsti, e di cui solamente 125 sarebbero stati disponibili per i tempi previsti. Gli strateghi decidono, quindi, di rinviare l’apertura dei Mulberries da quattordici a ventuno giorni dopo lo sbarco, cioè il 27 giugno. Questo vantaggio ha però un costo notevole: 30 mila tonnellate di acciaio e quasi 309 mila metri cubi di cemento, per un costo di almeno 20 milioni di sterline388, se il gioco valga la

candela è difficile da stabilire; gli americani specialmente, in seguito alla tempesta di fine giugno, con la relativa distruzione del porto americano, dimostreranno di essere capaci di trasbordare uomini e mezzi direttamente sulle spiagge. Una cosa è però certa: i porti artificiali sono uno dei più grandi capolavori di ingegneria militare che la storia abbia mai visto.

387 Wieviorka, Lo sbarco in Normandia, p. 99. 388 Ivi, p. 102.

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