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Il ruolo della Resistenza

2.1 La guerra contemporanea

«La guerra è la continuazione della politica ma con altri mezzi.» 124

I clamorosi successi riportati dalla Germania durante i primi anni della Seconda guerra mondiale e le vittorie ottenute dagli Alleati nel biennio finale del conflitto, contrariamente a quanto si pensa, non sono merito di importanti innovazioni strategiche. Da quest’ultimo punto di vista, i principi della guerra sono antichi e probabilmente saranno eterni. Le tre regole di base sono: sorpresa, velocità e potenza. A seconda della battaglia, anche durante la Seconda guerra mondiale, uno o più fattori di quelli elencati sopra sono determinanti. Così come i fattori, anche le tecniche di ingaggio risultano pressoché le stesse, dalla battaglia di Canne nel lontano 216 A.C., fino alla campagna di Normandia, le strategie dominanti risultano sempre essere l’accerchiamento, lo sfondamento al centro del fronte e la divisione dell’esercito nemico.125

Il modo contemporaneo di intendere le forze armate, le operazioni militari e le guerre affonda le sue radici nell’Ottocento, epoca in cui si fa strada il paradigma della guerra industriale fra Stati. Le guerre napoleoniche sono il punto di partenza di questo concetto, che si sviluppa attraverso il corso del secolo e che prende sempre maggiore concretezza con lo sviluppo e il rafforzamento dei sui cardini: lo Stato e l’economia.126 Per quanto il genio militare di Napoleone risulti

difficilmente opinabile, la sua vera innovazione non è tanto inerente alle tecniche base delle manovre militari, bensì nel mondo di affrontare la guerra stessa. Le sue innate capacità militari, che si basano principalmente sull’utilizzo del rapporto velocità di movimento e potenza d’impatto, lo portano a rivoluzionare non tanto le strategie di battaglia, quanto il concetto stesso di guerra. Napoleone è

124 Aforisma di Carl von Calusewitz.

125 Chassin, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale, p. 4. 126 Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 75.

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l’inventore o comunque il riscopritore della guerra totale, il cui obiettivo è l’annientamento di tutte le forze dello Stato nemico.127

Il concetto di guerra totale nasce a cavallo del XIX e del XX secolo per parte di due alti ufficiali tedeschi vissuti in epoche diverse e che teorizzano due concetti affini, ma con differenze sostanziali: Carl von Clausewitz128, che parla di guerra

assoluta nel suo trattato Della guerra, ed Erich Ludendorff, che invece parla per la prima volta di guerra totale nell’omonimo trattato del 1935. Clausewitz tratta di guerra assoluta come un concetto teorico di impossibile realizzazione, dove la guerra non conosce limitazioni di ordine morale o politico per piegare un nemico alla propria volontà. Ludendorff, invece, parla di guerra totale come un completo impegno politico dedicato alla vittoria e allo sforzo bellico, con l’assunzione che le uniche opzioni disponibili siano la vittoria totale o la sconfitta totale. Ludendorff ribalta dunque il concetto di guerra assoluta, sostenendo che la mobilitazione di tutte le risorse, includendo l’intero sistema civile, attraverso il più completo coinvolgimento delle forze politiche, sia l’unico modo per sopravvivere al conflitto e prevaricare il nemico. Uno dei presupposti fondamentali è la concezione dello Stato non più considerato come nazione: esso infatti non è più da ritenere un aggregato tra tanti gruppi e individui, ma un collettivo con una sola volontà, che può concentrare in un solo obiettivo tutte le risorse di cui dispone.

L’epoca dell’industrializzazione pesante comporta, come più logicamente ne deriva, a un mutamento totale dell’equipaggiamento e della tecnologia bellica. Se durante le guerra napoleoniche e fino a metà Ottocento i combattimenti sono scanditi da manovre di unità di fanteria, cariche di cavalleria e colpi di cannoni isolati, con la meccanizzazione massiccia e intensiva, questo sistema di combattimento è definitivamente precluso. Già durante la Guerra civile americana

127 Ivi, p. 81.

128 Nato nel 1780, si arruola nell'esercito prussiano a soli 12 anni. Nel 1794, diviene ufficiale e

viene impiegato in compiti di guarnigione sino al 1806. In questo periodo, diviene amico di Gerhard von Scharnhorst, uno dei principali generali prussiani, e da lui introdotto a corte. Nel 1806 partecipa alla campagna militare che si conclude con la sconfitta di Jena, dove viene catturato dai francesi. Nel 1808 torna in Prussia e si impegna insieme a Scharnhorst nella riforma dell'esercito. Nel 1810, promosso maggiore, viene nominato professore all’accademia militare. Sempre nel 1812, in disaccordo con la linea politica filofrancese imposta dalla pace di Tilsit, rassegna le sue dimissioni dall’esercito prussiano e si arruola in quello russo. Membro dello Stato Maggiore russo, prende parte alla campagna del 1812. Ritornato nell’esercito prussiano, partecipa alle vittoriose campagne contro Napoleone, anche se non partecipa direttamente alla Battaglia di Waterloo. Promosso generale nel 1818, viene nominato a capo della scuola di guerra di Berlino, carica che terrà fino alla morte. Dal 1818 al 1830, lavora al suo scritto, poi rimasto incompiuto,

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risulta evidente che non sarebbe stato più possibile combattere mediante una classica guerra da campagna, dove due eserciti si fronteggiano uno di fronte all’altro. L’introduzione di fucili a ripetizione, di mitragliatrici e di artiglieria a proiettile ad alta capacità esplosiva, impediscono una volta per tutte la possibilità di far avanzare un esercito direttamente sull’altro.129 Il paradigma della guerra

industriale fra Stati è ormai completo: i suo elementi centrali, massa, industria e forza si sono sviluppati pienamente.

Nel periodo di apparente pace idillica degli anni Venti, studiosi e militari come gli inglesi Basil Liddell Hart e John Fuller, e il francese Charles De Gaulle teorizzano una nuova strategia bellica basata quasi interamente sulla guerra di movimento, avente come fulcro l’impiego massiccio di divisioni corazzate, per trasformare l’esercito definitivamente in un’unità completamente meccanizzata.130

Secondo i principi di questi studiosi e strateghi: la guerra contemporanea non si sarebbe più potuta combattere secondo i canoni adottati durante la Grande Guerra, lo sviluppo massiccio dei carri armati e degli aerei avrebbe reso la tattica del trinceramento completamente inutile e inefficace. Dal loro punto di vista il destino della guerra contemporanea sarebbe stato di evolversi in una guerra di movimento e non di fronte. I grandi eserciti di fanteria tipici degli anni passati sarebbero dovuti essere riformati, riducendoli enormemente di numero e rendendo più che mai possibile meccanizzate le unità. Insieme alle loro teorie altri studiosi, fra cui l’italiano Giulio Douhet131, studiano e teorizzano come nel

contesto della guerra contemporanea sia estremamente necessario potenziare la forza aerea. Secondo Douhet, l’aeroplano non può più essere inteso solo come un mezzo ausiliario dell’Esercito e della Marina per colpire obiettivi terrestri e navali, bensì è diventato l’unico mezzo per combattere una terza lotta nella nuova dimensione, l’aria.132 Il bombardamento potrà risultare di due tipi fondamentali,

uno di tipo tattico, che consiste nel distruggere direttamente obiettivi militari, l’altro morale, che mira invece a colpire per lo più la popolazione civile, in modo da disintegrarne il morale.

129 Paret, Guerra e strategia nell’età contemporanea, p. 217. 130 Ivi, p. 234.

131 Nel 1921 pubblica Il dominio dell’aria. Tale saggio sarà oggetto di studio, particolarmente da parte

dei fautori della nascente specialità dell’aeronautica militare come l’americano Billy Mitchell.

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Poiché durante il Secondo conflitto mondiale, una netta vittoria rapida e decisiva sarebbe stata irraggiungibile sia per gli Alleati sia per le forze dell’Asse, entrambi gli schieramenti continueranno a fare ciò che era stato iniziato durante la Prima guerra mondiale: attaccheranno le popolazioni avversarie direttamente con la forza aerea, e indirettamente, attraverso il blocco dei rifornimenti e delle merci, con l’intenzione di distruggere le capacità dell’esercito nemico di portare avanti la guerra. I blitz aerei, lo sviluppo dei bombardamenti strategici e le offensive con i missili V-1 e V-2, saranno tutti all’interno di questo scopo.133

C’è da domandarsi come mai, vent’anni dopo aver combattuto la guerra più sanguinosa della storia, costata la vita a tredici milioni di morti, nel 1939 le nazioni siano coinvolte in un altro conflitto di carattere mondiale. Un conflitto che avrebbe causato alle loro società una distruzione ancora maggiore e ancora più profonda, che tra l’altro, porrà fine alla egemonia europea a livello mondiale. Con la modernizzazione delle tecnologie, per quanto nelle operazioni di guerra questa porti a una distruzione maggiore, si è giunti anche a un’evoluzione nel sistema di apparato interno alla guerra. Mezzi più veloci, nuove tecniche mediche e medicine più efficienti garantiscono in parte, un miglioramento della qualità, almeno apparente, della vita del soldato. Allo stesso tempo, per quando brutale e massiccia fosse stata la Grande Guerra, la sua diffusione mediatica in termini di conoscenza effettiva, fu molto limitata.134 Con l’avvento dei regimi totalitari e con

il sempre crescente interesse nell’ideale superomistico, le popolazioni cadranno nell’idea che la guerra contemporanea sia solamente una guerra estetica, che proprio grazie alla sua modernità abbia cancellato ogni aspetto oscuro e violento che deriva da qualsiasi conflitto precedente. La storia dirà il contrario. La guerra contemporanea, nel nostro caso la Seconda Guerra Mondiale, risulta essere l’apice ultimo del significato distruttivo della guerra. I conflitti che impiegano milioni di uomini, il coinvolgimento della popolazione civile, i bombardamenti strategici e terroristici, le stragi e gli eccidi di massa, rendono la Seconda guerra mondiale una delle pagine più tristi della storia dell’umanità.

133 Smith, L’arte della guerra nel mondo contemporaneo, p. 201. 134 Howard, La guerra e le armi nella storia d’Europa, pp. 223-224.

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