1. INTRODUZIONE
1.1 PLANT MOLECULAR FARMING: LE PIANTE E LE MICROALGHE
1.1.4 LA PRODUZIONE DI VACCINI IN SISTEMI VEGETALI
1.1.4.1 I vaccini: concetti introduttivi e tipologie vaccinali
Si definisce vaccino qualsiasi sostanza che, introdotta nell‘organismo, è capace d‘indurre in maniera specifica uno stato d‘immunità attiva verso una data infezione. Quando si progetta un vaccino è necessario valutare il tipo di risposta immunitaria che si desidera ottenere. I vaccini possono essere utilizzati a scopo preventivo, preparando il sistema immunitario a contrastare la futura invasione da parte di un microrganismo patogeno, o terapeutico, inducendo una forte risposta difensiva nei confronti di processi infettivi già in atto. Diversa è nei due casi la branca dell‘immunità che deve essere attivata. Finalità della vaccinoprofilassi è l‘induzione di una risposta anticorpale neutralizzante; al contrario, un vaccino terapeutico stimola prevalentemente una risposta immunitaria cellulo-mediata
dei patogeni che replicano all‘interno delle cellule, come ad esempio i virus. La risposta umorale è invece essenziale per l‘eliminazione dei patogeni extracellulari.
Entrambe le vie prevedono la presentazione dell‘antigene del patogeno da parte di cellule specializzate chiamate cellule presentanti l‘antigene (APC), in particolare dalle cellule dendritiche (DC). Queste cellule processano l‘antigene del patogeno e lo espongono sulla superficie cellulare con il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), chiamato HLA nell‘uomo. In base al tipo di antigene e quindi al tipo di risposta che si deve ottenere, si ha il coinvolgimento del complesso MHC di classe I o II.
Nel caso della risposta cellulo-mediata, l‘interazione tra il complesso antigene-MHC I e cellule T ―helper‖ (Th) (chiamate anche cellule CD4+
perchè esprimono alla loro superficie il recettore CD4), permette l‘attivazione di queste ultime, che differenziano in cellule Th effettrici chiamate Th1. Queste cellule secernono quindi una varietà di proteine di segnalazione chiamate citochine, che attivano i macrofagi, responsabili della fagocitosi dei microrganismi patogeni, e i linfociti T citotossici, CTL (chiamati anche CD8+). Questi ultimi uccidono le cellule infettate dal patogeno che espongono alla loro superficie epitopi riconosciuti dai CTL, mediante la secrezione di enzimi e sostanze tossiche. Terminata la distruzione cellulare, la cellula T si distacca ed inizia a cercare un nuovo bersaglio. Nel sito di infezione le cellule T ―helper‖ ed i macrofagi secernono interleuchine che aiutano a regolare la risposta immunitaria (attraggono i macrofagi e producono altri linfociti in grado di aiutarli).
Nella risposta umorale o anticorpale, l‘interazione tra il complesso antigene-MHC II e cellule Th, porta al differenziamento di quest‘ultime in cellule effettrici Th2. Le cellule Th2, secernono citochine in grado di stimolare i linfociti B; questi ultimi innescano un processo di amplificazione denominato selezione clonale: aumentano di grandezza e si dividono per mitosi, dando origine ad un clone di cellule identiche che producono anticorpi specifici per un determinato antigene. Non tutte le cellule B saranno impiegate nella secrezione istantanea di anticorpi, ma solo le plasmacellule; altre si differenzieranno in cellule B della memoria che continueranno a produrre piccole quantità di anticorpo anche dopo aver superato l‘infezione. Gli anticorpi vengono liberati nel circolo generale e nelle secrezioni mucose; essi neutralizzano ed eliminano i microbi e le tossine microbiche presenti nel sangue e nel lume degli apparati quali il tubo gastro-enterico e l‘albero respiratorio, impedendo loro di penetrare nell‘organismo e di colonizzare le cellule. L‘attacco dell‘anticorpo inattiva i patogeni, bloccando la loro capacità di legarsi ai recettori della cellula ospite. L‘attacco dell‘anticorpo marca anche i patogeni per la distruzione, rendendolo visibili alle cellule fagocitiche.
Figura 12: Risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata.
Le principali categorie vaccinali ad oggi disponibili possono essere sostanzialmente classificate in vaccini di prima generazione, costituiti da vaccini vivi attenuati o inattivati, e vaccini di seconda generazione, come i vaccini a subunità (peptidici/proteici o a DNA). I vaccini di prima generazione sono in genere molto efficaci nell‘induzione dell‘immunità protettiva, tuttavia generalmente non sono in grado di stimolare risposte cellulo-mediate; inoltre, alcuni patogeni sono difficili o a volte impossibili da crescere in coltura e alcuni vaccini tradizionali (ad esempio il vaccino per la pertosse) contengono componenti tossiche che causano effetti indesiderati. I vaccini di seconda generazione sono invece più sicuri e permettono di stimolare entrambe le branche dell‘immunità, tuttavia sono generalmente poco immunogenici e quindi devono essere associati all‘impiego di adiuvanti appropriati o altre strategie descritte più avanti.
I vaccini vivi attenuati utilizzano un ceppo mutante del patogeno attenuato, ossia privo della capacità di indurre la malattia. È necessario quindi intervenire con delle mutazioni geniche per rimuovere la patogenicità del virus o del batterio in questione, senza però
usato per proteggere dalla tubercolosi). La protezione più efficace è raggiunta utilizzando un virus o un batterio capace di andare incontro ad un limitato grado di replicazione, prima di essere eliminato dalle difese dell‘ospite. Tuttavia, se il ceppo viene eccessivamente attenuato, l‘organismo lo eliminerà prima che esso abbia la possibilità di generare una risposta immunitaria completa.
I vaccini inattivati sono costituiti dal patogeno completamente inattivato o ucciso (ad esempio tramite il calore). Un esempio è costituito dai comuni vaccini dell‘influenza o dal vaccino per la poliomelite di Salk. I vaccini prodotti in questo modo hanno alla base patogeni immunogenici ma incapaci di indurre la malattia. Una delle limitazioni dei vaccini inattivati (quindi non replicanti) è dovuta al fatto che l‘effetto protettivo dell‘immunizzazione iniziale può essere relativamente scarso e di breve durata. Sono per questo richiesti diversi richiami.
I vaccini a subunità sono costituiti da uno o più componenti del patogeno in grado di
stimolare risposte immunitarie, escludendo le funzioni infettive, per cui risultano più sicuri dei vaccini basati sul patogeno intero.
Vaccini a subunità peptidici/proteici: Le subunità sono costituite da proteine o singoli peptidi immunogenici e possono essere ottenute mediante separazione e purificazione delle stesse dal microrganismo, oppure essere sintetiche o ricombinanti. L‘antigene vaccinale viene scelto in base alla risposta immunitaria che si desidera ottenere. Per una risposta umorale protettiva sono generalmente scelte proteine o peptidi del capside di un virus oppure glicoproteine virali di superficie o ancora, lipopolisaccaridi della parete di un batterio. Un‘alternativa è l‘impiego di tossine (come ad esempio la tossina termolabile LT di E. coli contenuta nei vaccini contro le enterotossicosi), prodotte da alcuni microrganismi batterici. Nel caso in cui si desideri ottenere una risposta cellulo-mediata, verrano invece scelti antigeni del patogeno che vengono espressi soltanto all‘interno della cellula infettata.
Il problema maggiore di questa tipologia vaccinale risiede nel fatto che le subunità proteiche o peptidiche, prese singolarmente ed inoculate nell‘organismo, suscitano una risposta immunitaria spesso incompleta o di breve durata e necessitano quindi di sistemi in grado di potenziarne l‘immunogenicità. Uno di questi è rappresentato dall‘uso di sostanze adiuvanti. L‘azione degli adiuvanti è essenzialmente quella di garantire un graduale rilascio dell‘antigene co-somministrato, e di provocare un‘irritazione nel punto di inoculo richiamando cellule immunocompetenti e stimolando la fagocitosi dell‘antigene. La risposta immunitaria che si induce risulta quindi più potente e più duratura nei confronti dell‘antigene, del quale possono essere conseguentemente
impiegate quantità più ridotte. Esistono adiuvanti in grado di stimolare risposte di tipo Th1 o Th2, e quindi la scelta dell‘adiuvante deve riflettere il tipo di risposta che si desidera ottenere. Gli adiuvanti sono una famiglia eterogenea di composti, sia in termini di struttura chimica, sia in termini di meccanismo d‘azione (Singh, 2007). Gli unici adiuvanti approvati dalla FDA americana per uso clinico sono rappresentati dai sali d‘alluminio e dallo squalene (emulsione oleosa); in altri paesi, compresa l‘Unione Europea, sono stati invece commercializzati altri tipi di adiuvanti. Il principale meccanismo d‘azione dei sali d‘alluminio consiste nella formazione di siti di deposito nel luogo d‘iniezione, con lento e prolungato rilascio dell‘antigene. I sali d‘alluminio sono anche in grado d‘indurre una locale reazione infiammatoria, seguita dal rilascio di citochine e quindi, dal richiamo di cellule immuno-competenti. Su quest‘ultimo meccanismo d‘azione si basa anche l‘efficacia degli adiuvanti costituiti da frammenti batterici, quali il lipide A e i suoi derivati. Le emulsioni oleose devono, invece, la loro efficacia, oltre che alla formazione di depositi locali d‘antigene, anche ad una diretta azione immunostimolante. Altri adiuvanti sono costituiti da saponine, da complessi immunostimolatori e da liposomi, capaci d‘indurre un incremento della concentrazione antigenica a livello dei macrofagi. I liposomi, ad esempio, mimano la struttura di una membrana cellulare, captano l‘antigene ed una volta inoculati possono trasportarlo direttamente agli organi immuno-competenti dove sarà fagocitato e processato. La maggior parte della ricerca è stata rivolta in passato ad adiuvanti capaci di stimolare la risposta umorale. Con l‘evolversi del concetto della vaccinazione terapeutica c‘è molto interesse nella ricerca di nuovi adiuvanti capaci di stimolare la risposta immunitaria cellulo-mediata (Schijns & O‘Hargan, 2006). Nuovi adiuvanti efficaci o nuove strategie di presentazione dell‘antigene e di somministrazione sono discussi più avanti.
Vaccini composti da subunità ricombinanti sono attualmente impiegati per la prevenzione di varie patologie, quali per esempio la polmonite da pneumococco, l'epatite B, diverse classi di vaccini anti-influenzali e i vaccini contro i papilloma virus umani descritti nel paragrafo 1.3.7.1.
Vaccini a DNA: la preparazione di un vaccino genetico o a DNA comporta l‘isolamento dall‘agente patogeno di uno o più geni di interesse, che vengono successivamente clonati in plasmidi sotto il controllo di un promotore attivo nelle cellule dell‘organismo da vaccinare. Il plasmide può essere veicolato in sospensione acquosa, liposomi,
maggiori vantaggi che questa tipologia di vaccino offre è la possibilità di ottenere una risposta cellulo-mediata nei confronti dei microbi intracellulari. Infatti, gli antigeni microbici somministrati per via generale od orale, sono in realtà antigeni extracellulari, capaci d‘indurre prevalentemente una risposta anticorpale. Per evocare risposte mediate da linfociti T, può essere necessario far penetrare l‘antigene all‘interno di una cellula, e la cellula ideale in tal senso è rappresentata dalla APC. La tecnica del ―gene gun‖ è molto vantaggiosa in quanto consente di trasfettate direttamente numerose cellule epidermiche del Langherans, le quali agiscono da APC.
Apparentemente il vaccino a DNA si presenta sicuro, in quanto sono completamente assenti gli agenti infettanti, vivi o inattivati che siano. Tuttavia, essendo privi di componenti batteriche infettive e quindi potenzialmente immunogeniche, necessita anch‘esso della combinazione con adiuvanti. I sali colloidali dell‘alluminio, tipicamente impiegati nei vaccini convenzionali, si sono dimostrati capaci di migliorare l‘effiacacia anche di quelli genetici (Stevenson et al., 2004). Inoltre, nei vaccini genetici il potenziamento della risposta immunitaria è spesso garantito dall‘inserzione all‘interno del vettore plasmidico di particolari sequenze di derivazione batterica: le sequenze CpG. Si tratta di sequenze palindromiche, ipometilate, necessarie ad attivare una risposta immunitaria antigene-indipendente. Infatti, la conseguenza dell‘interazione dei motivi CpG con il ―Toll like receptor 9‖ (TLR9), localizzato sulla superficie delle cellule dendritiche plasmocitoidi, è la sovraproduzione di citochine, come le interleuchine (IL) 6 e 12, il fattore di necrosi tumorale α, l‘interferone (IFN) α, l‘interferone γ e una polarizzazione della risposta cellulo-mediata in senso Th1 (Klinman et al., 2004, Tudor et
al., 2005). Inoltre, è dimostrata una diretta stimolazione dei linfociti B, con conseguente
produzione anticorpale (Krieg et al., 1995). Sono già state condotte molte sperimentazioni cliniche sui vaccini a DNA contro malattie infettive come HIV-1, Ebola virus, malaria o per generare una protezione immunitaria contro i tumori.