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Nel presente lavoro di dottorato si è scelto di impiegare le piante e le microalghe come biofabbrica per la produzione di antigeni dei virus umani SARS-CoV e HPV, importanti per la realizzazione di saggi diagnostici e per lo sviluppo di nuovi vaccini efficaci. Inoltre le piante sono state considerate anche come sorgente di molecole in grado di potenziare le risposte immunitarie associate alla somministrazione di vaccini a subunità per la terapia dei tumori associati all‘infezione da HPV.

La scelta di utilizzare le piante come biofabbrica per la produzione di antigeni virali è scaturita innanzitutto dalla possibilità di ottenere delle proteine con elevata autenticità strutturale, un aspetto importante per proteine complesse che presentano modificazioni post-traduzionali. Inoltre, rispetto ad altri sistemi di espressione, le piante rappresentano delle piattaforme sicure per la produzione di vaccini per l‘uomo (non presentando patogeni umani noti). La produzione in pianta è vantaggiosa anche in termini economici ed utilizzando tecnologie di espressione transiente è possibile ottenere grandi quantità di biomassa esprimente l‘antigene di interesse in tempi rapidi.

In questo lavoro sono state impiegate piante di N. benthamiana (piante modello che consentono di accumulare rapidamente biomassa) per la produzione transiente della nucleoproteina N e della glicoproteina M del SARS-CoV e dell‘oncoproteina E7 di HPV- 16.

La proteina N del SARS-CoV era stata già espressa in precedenza nel nostro laboratorio in piante di N. benthamiana mediante l‘uso di un vettore per l‘espressione transiente derivante dal PVX (pPVX201). L‘intento di questo lavoro è stato quello di caratterizzare questo antigene al fine di realizzare principalmente saggi diagnostici della SARS sensibili, specifici e a basso costo.

Numerosi lavori riportano infatti l‘uso di questo antigene prodotto in sistemi eterologhi come E. coli, cellule di lievito o di insetto per l‘allestimento di saggi sierologici diagnostici della SARS. Anticorpi contro questa proteina sono predominanti nei sieri dei pazienti infetti e possono essere rivelati precocemente (Leung et al., 2004). La produzione di questa proteina prodotta in forma ricombinante a basso costo da impiegare in saggi diagnostici rappresenta quindi uno sviluppo molto attraente. Tuttavia, è stato osservato che la proteina N prodotta in batterio produce falsi positivi, probabilmente a causa dell‘interferenza con antigeni batterici che non siano stati completamente allontanati nei processi di purificazione (Leung et al., 2006; Yip et al., 2007). E‘ interessante quindi esprimere tale proteina in forma ricombinante in un sistema vegetale, in modo da

sviluppare un antigene con una autenticità strutturale maggiore. Inoltre, la provenienza dal mondo vegetale dovrebbe scongiurare la presenza nei sieri umani di anticorpi cross- reattivi che potrebbero generare falsi positivi nella diagnosi, aprendo la possibilità di impiegare materiale vegetale parzialmente processato e permettendo quindi un ulteriore abbattimento dei costi.

Il nostro obiettivo è stato quello di caratterizzare l‘espressione della proteina N in pianta verificando la stabilità del virus ricombinante, la stabilità della proteina, quantificandone le rese e verificando la sua antigenicità. La verifica della qualità antigenica è stata effettuata con sieri umani, in quanto si dispone di sieri di pazienti affetti da SARS della prima epidemia verificatasi ad Hong-Kong nel 2003.

Oltre all‘impiego in saggi sierologici, la proteina N da noi ottenuta in pianta è un antigene che potrebbe essere utlizzato per lo sviluppo di vaccini sicuri contro un virus altamente patogenico come il SARS-CoV. Infatti, attualmente non esistono in commercio vaccini per la prevenzione dell‘infezione da SARS-CoV ma sono state elaborate diverse formulazioni vaccinali sperimentali, basate principalmente su vaccini a subunità (VLP, peptidici/proteici e genetici, Roper & Rehm, 2009) in quanto i vaccini basati sul virus inattivato non sono completamente sicuri per l‘uso clinico. Le piante non solo permetterebbero la produzione sicura degli antigeni del SARS-CoV, ma offrendo anche la possibilità della somministrazione orale, consentirebbero di stimolare l‘immunità mucosale, un aspetto importante in quanto il SARS-CoV penetra nell‘organismo attraverso le mucose respiratorie e gastrointestinali (Lau & Peiris, 2005).

Parallelamente a quanto appena descritto, l‘altro obiettivo di questo lavoro sperimentale è stato quello di esprimere la glicoproteina transmembranaria M del SARS-CoV in pianta, una proteina difficile da produrre in diversi sistemi eterologhi e per questo meno caratterizzata di altri antigeni della SARS. La disponibilità della proteina M ricombinante consentirebbe una migliore valutazione del suo possibile impiego nella diagnosi e nello sviluppo di vaccini contro il SARS-CoV. Durante la preparazione della tesi di laurea della sottoscritta era stata già provata l‘espressione della proteina in pianta mediante PVX, ma i livelli di espressione erano piuttosto bassi e non riproducibili. Si è scelto quindi di esprimere in forma transiente la proteina mediante la tecnologia dell‘agroinfiltrazione, utilizzando il vettore binario pBI121. Un‘attraente caratteristica di questa tecnologia è che

A. tumefaciens è altamente efficiente nel veicolare il gene di interesse nella cellula

La stessa tecnologia è stata scelta per l‘espressione dell‘oncoproteina E7 di HPV-16. Come già descritto nell‘introduzione, nel nostro laboratorio sono stati sviluppati diversi vaccini terapeutici basati tale proteina espressa in pianta, potenzialmente utilizzabili contro le lesioni associate ad HPV. I risultati ottenuti con le diverse formulazioni saggiate in modello pre-clinico ci hanno mostrato che aumentando i livelli di espressione della proteina E7, e quindi la dose di antigene nel vaccino, si riescono a formulare vaccini più potenti in grado cioè di indurre una risposta immunitaria più efficace. Inizialmente era stato ottenuto un incremento dei livelli di espressione mediante la compartimentalizzazione della proteina nell‘apoplasto fogliare, grazie all‘uso di una sequenza segnale vegetale (PGIPss) (Franconi et al., 2006). Tuttavia la quantità di proteina espressa non era sufficiente per permettere la purificazione. Successivamente i livelli di espressione erano stati notevolmente incrementati (permettendo la purificazione della proteina) non solo mediante compartimentalizzazione, ma anche mediante la fusione di E7 (nella forma mutagenizzata E7GGG, che non è più oncogenica) con un enzima batterico ingegnerizzato molto stabile (LicKM) e grazie all‘impiego di una tecnologia basata sull‘agroinfiltrazione delle piante con un vettore virale di seconda generazione (Massa et al., 2007).

In questa parte del lavoro di dottorato si è cercato di incrementare i livelli di espressione in pianta della proteina E7 non fusa a ―carrier‖, con l‘intento principale di purificare la proteina per poterne studiare le proprietà biochimiche. Si è scelto quindi di esprimere la proteina E7 nella forma secretoria PGIPss-E7, che aveva già mostrato livelli di accumulo superiori alla proteina E7 nella versione citoplasmatica.

Oltre alle piante come biofabbrica, questo lavoro di dottorato ha previsto l‘impiego della microalga fotosintetica Chlamydomonas reinhardtii per la produzione della proteina E7 di HPV-16.

Il ―molecular farming‖ basato su questo organismo è un campo promettente e in rapida espansione. Come già discusso in introduzione, l‘espressione di antigeni vaccinali in microalghe fotosintetiche risulta molto vantaggiosa in termini di contenimento del transgene (C. reinhardtii può crescere in condizioni di sterilità in fotobioreattori), migliore adattabilità alle procedure GMP richieste per la produzione del vaccino e possibilità di somministrare l‘antigene vaccinale oralmente sotto forma di biomassa microalgale non processata o parzialmente processata. Infatti, essendo C. reinhardtii un organismo unicellulare, tutte le cellule derivanti da un clone trasformato hanno uguali dimensioni e accumulano la stessa quantità di proteina. Inoltre Chlamydomonas, come le altre microalghe appartenenti alla classe Chlorophyceae, è stata definita GRAS, ovvero

potenzialmente edibile.

Si è scelto in primo luogo di esprimere la proteina E7 nella forma mutagenizzata E7GGG mediante trasformazione nucleare, in quanto tale tecnologia ed i relativi vettori erano già disponibili. In particolare, si è scelto di produrre la proteina E7GGG in maniera costitutiva o inducibile, fusa all‘N-terminale ad un ―tag‖ di istidine (His6-E7GGG), anche

per proteggere questa estremità che nella proteina E7 è instabile ed è soggetta ad ubiquitinazione e quindi degradazione (Reinstein et al., 2000).

In seguito abbiamo deciso di sviluppare e mettere a punto la tecnologia della trasformazione plastidiale per aumentare le probabilità di selezionare con successo trasformanti che esprimessero la proteina E7GGG ad elevati livelli. C. reinhardtii presenta un unico grande cloroplasto, che occupa approssimativamente il 40% del volume cellulare, contenente circa 80 copie di genoma. Queste caratteristiche rendono la trasformazione di questo organello molto più semplice rispetto alla trasformazione del cloroplasto nelle piante superiori. Inoltre, i tempi per l‘ottenimento di linee trasformanti omoplasmiche sono notevolmente ridotti (circa 4-6 settimane). Ad oggi, numerosi lavori riportano l‘espressione di molecole terapeutiche nel cloroplasto di C. reinhardtii, con rese fino al 5% delle TSP (Specht et al., 2010). Sebbene tali rese siano notevolmente inferiori a quelle ottenute nelle piante superiori, questa piattaforma di produzione è molto recente, per cui diverse strategie migliorative potranno essere apportate in futuro.

Nell‘ultima parte del lavoro, le piante sono state considerate sotto un‘altra prospettiva e cioè come una sorgente di molecole immunostimolatorie, da impiegare per il potenziamento delle formulazioni vaccinali contro le lesioni associate ad HPV, in fusione all‘antigene E7 di HPV-16. Tra le numerose proteine di origine vegetale che presentano un potenziale immunostimolante elevato si è scelto di impiegare le ―Ribosome Inactivating Proteins‖ (RIP), enzimi ad attività N-glicosidasica coinvolte nella difesa della pianta contro i patogeni e gli organismi invasori (Stirpe, 2004). La capacità delle RIP di inattivare cataliticamente i ribosomi è attualmente sfruttata in medicina, ad esempio per la terapia dei tumori (Stirpe, 2004; Hartley & Lord 2004; Ng et al. 2010). Infatti, l'efficacia citotossica delle RIP può essere sfruttata per l‘eliminazione di cellule tumorali mediante l‘ottenimento di immunotossine, molecole ibride in cui le RIP sono coniugate a ligandi capaci di veicolarle sugli specifici bersagli cellulari.

Quello che si propone nel presente lavoro è un nuovo uso delle RIP, che trae vantaggio da altre caratteristiche che questa classe di molecole presenta, estremamente interessanti per

infiammatorio e di indurre apoptosi (Ng et al., 2010; Sikriwal et al., 2008; Li et al., 2009). Inoltre è stato osservato che alcune RIP sono altamente immunogeniche (Castelletti et al., 2004; Frankel et al., 2004) e potrebbero essere quindi in grado di stimolare l‘immunità cellulo-mediata antigene-specifica quando usate in fusione con l‘antigene di interesse. In aggiunta, la formulazione di un vaccino terapeutico contro i tumori ad eziologia virale potrebbero trarre vantaggio dalle proprietà antivirali contro virus umani dimostrate per alcune RIP di tipo 1 (Foa`-Tomasi et al., 1982; Stirpe, 2004). Infine, l‘impiego di molecole di origine vegetale, scongiura il pericolo di eventuali reazioni auto-immuni a seguito di vaccinazioni.

Abbiamo deciso quindi di impiegare la saporina apoplastica fogliare di Saponaria

officinalis in quanto, oltre a condividere le principali caratteristiche delle RIP, è quella che

presenta una tossicità aspecifica molto bassa (Ferreras et al., 1993) ed essendo una RIP di tipo 1 manca della porzione lectinica in grado di legare le cellule, risultando meno tossica delle RIP di tipo 2.

Proprio perché il nostro intento non è quello di sfruttare la tossicità della saporina abbiamo scelto di usare il doppio mutante E176>K, R179>Q, denominato SAPKQ,

mutagenizzato in due posizioni nel sito catalitico, che risulta non tossico sia in vitro sia in

vivo (Pittaluga et al. 2005; Zarovni et al., 2007; Marshall et al., 2010) e fuso alla proteina

E7 (E7GGG).

Il nostro obiettivo è stato quello di esprimere le fusioni costituite da E7GGG e la SAPKQ in E. coli (per verificarne in primo luogo l‘espressione e per avere dei controlli per l‘espressione in pianta) e in piante di N. benthamiana, mediante la tecnologia basata sul PVX, al fine di sviluppare vaccini a subunità proteici. Inoltre, abbiamo scelto di utilizzare le stesse fusioni per realizare costrutti per la vaccinazione genetica (la cui espressione è stata verificata in cellule di mammifero in coltura), utilizzati in un modello pre-clinico di vaccinazione terapeutica a DNA al fine di ottenere una prima valutazione dell‘efficacia della saporina sul potenziamento delle risposte immunitarie. Tale valutazione è stata possibile in quanto si dispone di un animale modello in grado di sviluppare tumore in seguito ad iniezione di cellule tumorali murine esprimente l‘oncoproteina E7 (TC-1*). La disponibilità del modello animale e le conoscenze acquisite negli anni su HPV ci hanno spinto all‘impiego della SAPKQ come nuova molecola ‗carrier‘ principalmente per incrementare l‘antigenicità della formulazione vaccinale terapeutica basata sulla proteina E7 di HPV-16, ma l‘uso di questa molecola potrà essere applicato in futuro anche ad altre patologie.

3. MATERIALI E METODI