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Il Medioevo ebbe una fortuna enorme all’interno della cultura ottocentesca. La responsabilità di questa rilevanza va attribuita indubbiamente al Romanticismo13. Fu

infatti la cultura romantica che fornì ad esso una elaborazione ideologica compiuta e una sistemazione entro un quadro concettuale unitario. Tuttavia, ciò che in prima accezione ci interessa è notare che il Romanticismo, propriamente, non “inventò” il

8 Ibidem. 9 Ivi, p. 256.

10 Ivi, cit., p. 261 e R. Bordone, Lo specchio, pp. 77-78.

11 Ivi, cit., pp. 258-260. Cfr. anche D. Balestracci, Medioevo e risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento, il Mulino, Bologna 2015, p. 13.

12 R. Bordone, Lo specchio di Shalott, cit., p. 12.

13 R. Bordone, Le radici della rivisitazione ottocentesca del medioevo, in D. Lupo Jalla, P. Denicolai, E. Pagnucco, G. Rovino (a cura di), Medioevo reale, medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali tra regioni d’Europa, Reti medievali, Torino 2002, p. 1.

95 Medioevo. Esso costruì la propria elaborazione a partire da materiali che erano stati approntati in precedenza. Inoltre, come già accennato, il Romanticismo non fu l’unico ambiente culturale e intellettuale che attinse da questo serbatoio di valori, miti e immagini. Ben prima, e in parallelo all’elaborazione erudita, era stata la Chiesa cattolica a vedere nel Medioevo il luogo in cui rifugiarsi dal collasso del mondo moderno.

Già gli umanisti, e a seguire Rinascimento e Riforma, avevano individuato in quei dieci secoli un’interruzione dell’età classica, ricomposta poi solo grazie alla loro opera. In quel periodo, il Medioevo era stato identificato come una semplice età di mezzo, caratterizzato in negativo, privo di caratteri originali, quasi come una parentesi tra due manifestazioni della classicità. Esso si era configurato come esperienza plurisecolare negativa, assumendo i connotati di “gotico” o “barbaro” in antitesi ai canoni estetici di ascendenza classica.

Una più netta consapevolezza del Medioevo come periodo storico definito e concluso era poi maturata lentamente tra la fine del Cinquecento e il primo Seicento. Le monarchie avevano incoraggiato l’erudizione finalizzata all’esaltazione delle proprie antichità, così come quelle della Chiesa e delle nazioni. In questo senso, però, il recupero e l’uso della documentazione storica non si prefiggeva ancora lo studio del Medioevo come epoca in sé distinta. Eppure, la presenza di questi documenti suscitò vivo interesse tra gli eruditi per quei secoli, dei quali si iniziavano ad intravedere alcuni tratti caratteristici: la quantità di testi di storia allora scritti, la lingua latina, il vocabolario giuridico.

Nel XVII secolo, gran parte dell’erudizione era stata rivolta alla storia ecclesiastica. La ragione fu evidentemente quella di rispondere ai protestanti combattendo, oltre che sul terreno della teologia, anche su quello della storia. Un primo esempio di questo atteggiamento, già sulla fine del Cinquecento, era stata la grande opera del cardinale Cesare Baronio (1538-1607), intitolata Annales Ecclesiastici, la quale ricostruiva la

96 storia della Chiesa anno per anno, dalla nascita di Cristo fino al 1198. La Chiesa cattolica vi veniva difesa dalle accuse dei protestanti, rivendicando anche la legittimità del primato papale.

Tra le altre imprese sono da menzionare gli Acta Sanctorum ad opera di un gruppo di gesuiti guidati da Jean Bolland e l’opera della congregazione dei monaci benedettini chiamati Maurini, la cui regola poneva molta attenzione alla formazione intellettuale e spirituale dei monaci (i Maurini ebbero il merito di perfezionare il metodo critico- filologico). Ciò favorì la ricerca storico-erudita, in cui si distinse Jean Mabillon (1632- 1707), che nel 1681 pubblicò i De re diplomatica libri, fondando la moderna diplomatica. Queste ricerche misero in evidenza molteplici aspetti della religiosità del periodo medievale, il quale, nonostante fosse ancora considerato “barbarico”, iniziò a essere guardato in modo meno negativo.

Il Seicento si era caratterizzato anche per un altro aspetto, che contribuì alla rappresentazione del Medioevo come un’età conclusa e in sé compiuta; durante quel secolo si era infatti sviluppata la consapevolezza che il proprio tempo fosse diverso e originale rispetto al passato, tanto classico quanto medievale. Fu la crisi della coscienza europea, categoria storica elaborata da Paul Hazard agli inizi del XX secolo. Questa mentalità rinnovata dette impulso alle grandi Storie universali già a partire dalla seconda metà del Seicento14 (l’opera di George Horn, professore dell’Università di

Leida, intitolata Arca Noae sive historia imperiorum et regnorum a conditio orbe ad

nostra tempora è del 1666, e anche lo stesso Leibniz si sarebbe interessato alla storia

universale).

In queste opere storiche l’interesse era ancora rivolto alla religione. Parallelamente, tuttavia, la coscienza moderna stava iniziando a veder emergere e liberarsi dai vincoli culturali ed intellettuali del passato una mentalità nuova, che avrebbe preso il nome di libero pensiero. Nel 1681 Bossuet pubblicò il Discorso sulla

14 Sto seguendo il percorso delineato da Paolo Delogu in Introduzione alla storia medievale, il Mulino, Bologna 2003, in particolare nel capitolo primo, Storia dell’idea di Medioevo, pp. 17-53.

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storia universale, un progetto storiografico in polemica con la corrente culturale dei

libertini. Per avere un’idea delle trasformazioni in atto basta richiamare alla mente alcune tappe di questo percorso: del 1633 è l’abiura di Galilei, del 1642 le Meditazioni

metafisiche di Cartesio, del 1670 il Trattato teologico-politico di Spinoza. Non mi

dilungherò sugli aspetti di questa fase interessantissima della cultura europea. Ciò che mi interessa è mettere in evidenza questo periodo come fase cruciale di passaggio: uno spartiacque se vogliamo. Nel Settecento, infatti, il Medioevo divenne oggetto di una rinnovata riflessione.

Il XVIII secolo vide in Italia l’avvento della riflessione fondamentale di Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), che sulla scia della metodologia dei Maurini sviluppò una raccolta originale di fonti relative alla storia della penisola italiana. L’Italia non formava uno Stato unitario, e la maggior parte degli intellettuali italiani considerava la cultura antica come l’elemento fondante della tradizione della penisola (oltre che paradigma di ogni civiltà). Muratori, invece, individuava questo elemento fondante dell’italianità, verso cui dovevano essere coltivati sentimenti di reverenza, non nella cultura antica, classica, latina, bensì in quella medievale. Lo storico modenese fondava questa tesi sul fatto che gran parte delle istituzioni e delle giurisdizioni del proprio tempo era nata proprio in epoca medievale (fatto accertato appunto dagli studi eruditi), e quindi l’indagine sui secoli di mezzo si trasformava in indagine sulle origini del mondo moderno.

Mosso quindi da queste idee, Muratori pubblicò tra 1723 e 1751, in 25 volumi, un enorme quantità di fonti cronachistiche relative alla storia d’Italia dall’anno 500 al 1500, intitolandole Rerum Italicarum Scriptores. Parallelamente, studiò i costumi, la cultura, le istituzioni e la religione del Medioevo, usando una grande varietà di documenti diversi. Compose così 75 dissertazioni, pubblicate in 6 volumi tra 1738 e 1742, col titolo Antiquitates Italicae Medii Aevi. Egli non voleva fornire una ammirazione indiscriminata per quel periodo, ma nemmeno una condanna

98 pregiudiziale. Pur essendo un’epoca di barbarie, a suo giudizio si potevano ritrovare nel Medioevo meritori atteggiamenti etici e politici, nonché la semplicità dei costumi o la ragionevolezza di leggi degne di rispetto15.

Nel pieno Settecento, sulla scia del Muratori, ci furono altri autori che rivolsero la loro attenzione ai secoli di mezzo, tra i quali Pietro Giannone (1676-1748) e Giambattista Vico (1668-1744). Quello del Muratori fu un interesse erudito, arricchito da un confronto col proprio tempo e da una fede nella funzione civile dell’erudizione. La prospettiva era ancora quella di un ecclesiastico, il quale tuttavia risentiva già di un clima culturale che stava mutando. Questo clima si stava facendo sentire in modo preponderante in Francia, dove l’erudizione sei-settecentesca vide sorgere in parallelo un mutamento di approccio che tuttavia non era germogliato da essa, ma le era estraneo16.

L’erudizione dei secoli XVII e XVIII derivava dal così detto “pirronismo storico”, ossia da una radicale messa in dubbio circa la possibilità di conoscere con certezza il passato17. Come abbiamo visto, i primi tentativi di accertare la veridicità delle

conoscenze storiche vennero da uomini religiosi che si rivolgevano espressamente alla tradizione cattolica. Questo è il contesto entro cui si mosse Muratori.

Parallelamente, tuttavia, in Francia andò sviluppandosi un mutamento di approccio e di inquadramento, che ebbe la sua chiave di volta nell’allontanamento della storia umana dall’ottica della storia della salvezza. Il divenire venne così reinterpretato attraverso una rinnovata fiducia nel futuro e nel progresso storico. La storia venne emancipata dal disegno provvidenziale e concepita come un progresso razionale attraverso il tempo. Gli interpreti di questo sviluppo si proposero di ricercare quindi i nessi di causa-effetto: il motore della storia era umano e razionale, quindi conoscibile con gli strumenti della mente umana. Se le premesse per questo cambiamento di

15 Cfr. anche E. Occhipinti, Che cosa è il medioevo. Percorsi storiografici tra quattro e ottocento, Cisalpino, Bologna 1994, pp. 101 e seg.

16 Cfr. E. Tortarolo, L’illuminismo. Ragioni e dubbi sulla modernità, Carocci, Roma 2011, pp. 91-92. 17 Ivi, pp. 89-90.

99 paradigma erano state poste da Spinoza, la rottura esplicita arrivò con Voltaire e Buffon.

Fu inoltre caratteristico dell’Illuminismo l’estendere la ricerca della connessione causa-effetto all’intero ambito delle attività umane, cioè alla civiltà in senso lato, al complesso dei rapporti sociali. La storia, concepita come luogo e tempo in cui si realizza lo sviluppo progressivo dello spirito umano, offriva una carica polemica inaudita nei confronti dei poteri e delle istituzioni tradizionali.

In questa prospettiva si inserì l’opera più significativa di Voltaire, pubblicata nel 1758: il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni e sui principali fatti di storia da

Carlo Magno a Luigi XIII. In esso il philosophe guardava al Medioevo come al periodo

dell’opinione e della credenza in un’ottica di ribaltamento delle interpretazioni cristiane, non mancando di attribuirgli anche elementi di civiltà e progresso, quali la tolleranza nei confronti del mondo arabo e il positivo sviluppo sociale e politico del periodo comunale, culla della borghesia cittadina. Inoltre, come accennato in precedenza, Voltaire mostrò molta attenzione ai “costumi” intesi come forme di vita, aspetto caratteristico del cosmopolitismo e dell’enciclopedismo illuminista che sarebbe stato ripreso e sviluppato dalla cultura romantica ottocentesca.

Di fatto, questi temi erano stati toccati già da eruditi come Muratori, anche se tale filone non era confluito in modo organico nella storiografia dei Lumi18. In effetti,

l’interesse dell’illuminista francese non era rivolto ad una comprensione storica del Medioevo, ma era legato alla polemica fra ragione e pregiudizio19. Attraverso lo scarto

messo in evidenza tra progresso moderno e condizione della civiltà medievale, i secoli di mezzo venivano saldamente acquisiti all’interno della storia dell’Europa come fase negativa che mostrava, per contrasto, i vantaggi dell’evoluzione dello spirito e dei

18 E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo. Forme della storiografia tra Sette e Ottocento, in G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò (a cura di), Lo spazio letterario del medioevo. 1. Il medioevo latino, vol. IV, L’attualizzazione del testo, Salerno, Roma 1997, p. 177.

100 costumi. Allo stesso modo, doveva ricordare i pericoli della credulità e dell’oscurantismo contro il libero pensiero.

È però possibile individuare in Francia anche un’area culturale in cui i valori illuministici furono assunti in modo meno marcato. In essa si muovevano le famiglie colte giunte alla nobiltà grazie all’esercizio degli uffici pubblici sul finire del XVII secolo.

A questa cultura appartenne Jean-Baptiste de La Curne de Sainte-Palaye (1697- 1781), il più grande medievista del Settecento francese, direttore a più riprese dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, il quale nel 1723 contribuì alla grande raccolta di cronache e documenti relativi alla storia medievale transalpina. Progettò e in gran parte realizzò, inoltre, un Glossario dell’antica lingua francese, il suo contributo più originale. Raccolse un’enorme quantità di materiali documentari, pubblicata nel 1774 in 3 volumi, che posero le fondamenta della conoscenza storica del mondo dei trovatori.

Utilizzando tutti questi materiali, redasse le due monografie che ebbero l’impatto più forte e duraturo sulla cultura del proprio tempo: le Memorie sull’antica cavalleria (1746-1750; ripubblicate nel 1759, e ben presto tradotte in inglese, tedesco e polacco), le quali, assumendo il Medioevo ad oggetto di esclusivo interesse, ovviavano all’indifferenza illuminista per quel periodo, e le Memorie storiche (1781), in cui tracciò un profilo della nobiltà medievale.

De La Curne aderiva ai valori etici e culturali del proprio tempo ed era ben persuaso della loro superiorità rispetto all’epoca medievale. Tuttavia, vedeva nei secoli di mezzo l’epoca in cui si erano formate non solo le istituzioni della Francia moderna, ma anche la sua tradizione letteraria nazionale. Le Memorie sull’antica cavalleria vennero positivamente accolte dalle prime generazioni di romantici. Interamente basato sui lavori di de la Curne è ad esempio il capitolo IV del libro V del Genio del

101 Parallelamente, anche il mondo inglese stava assistendo a una serie di sviluppi peculiari: da una parte, un approccio storiografico meno polemico verso il Medioevo, dall’altra, un profondo mutamento del gusto. Non che i due processi non avessero un’influenza reciproca.

Nella storiografia dei lumi in Francia, il filone narrativo, o della storiografia filosofica, si mantenne sostanzialmente separato (o con contatti minimi) da quello erudito. Inoltre, escludendo gli ambienti nobiliari a cui apparteneva de La Curne, l’approccio degli intellettuali verso i secoli di mezzo fu molto polemico.

Le cose cambiano se ci spostiamo nel mondo inglese, dove il Medioevo venne indagato con toni meno prevenuti. Due furono le figure importanti: William Robertson (1721-1793) e Edward Gibbon (1737-1794), entrambi contemporanei di Voltaire e Condorcet, e partecipi della medesima cultura. Nei due intellettuali inglesi la condanna senza appello del Medioevo, propria dei francesi, si stemperava in un interesse che seguiva la lezione muratoriana20 (in particolare in Gibbon). In Inghilterra si profilò

dunque uno spazio culturale della storiografia illuminista in cui il rapporto negativo con i secoli barbari era meno forte e pesante.

Robertson era un pastore protestante, cultore di storia, e nel 1771 pubblicò un’opera intitolata View of the progress of society in Europe from Subversion of the

Roman Empire till the beginning of the XVIth century, in cui si delineava la storia

dell’Europa nel Medioevo. Causa della crisi dell’Impero romano e della civiltà antica erano state appunto le invasioni barbariche, che avevano provocato anche una degenerazione del cristianesimo, da cui però erano poi emerse dinamiche che avevano portato al superamento della crisi. A Robertson non interessava il Medioevo come età in sé conclusa (non c’è nemmeno il nome di “Medioevo” nel testo), ma come età di passaggio che avrebbe portato alla formazione dell’Europa moderna dopo la crisi della

102 civiltà antica. Di nuovo, l’epoca medievale era acquisita come epoca genetica del mondo moderno21.

Parallelamente, Gibbon metteva mano alla monumentale History of the decline

and fall of the Roman Empire (1776-1788), in cui, per la prima volta, si forniva una

narrazione incentrata sul Medioevo come epoca che incarnava una peculiare esperienza storica, caratterizzata da valori diversi da quelli della civiltà moderna, un’epoca cioè che possedeva un significato esemplare e che non coincideva affatto con la pura affermazione della barbarie. L’opera di Gibbon, inoltre, non era guidata dall’idea della polemica tra ragione e pregiudizio, bensì dalla volontà di comprendere le cause che avevano portato alla rovina dell’impero Romano. L’indagine sulla decadenza di una civiltà così grande metteva in discussione la fiducia illuminista nel progresso storico.

Merito di Gibbon fu quello di ricomporre i due filoni disgiunti dell’illuminismo francese, quello dell’antiquaria e quello della storiografia filosofica, operando indirettamente una transizione fondamentale: la ragione dell’illuminismo stava cedendo il passo ad una più cordiale e ottimistica visione dell’umanità, con le sue passioni e la sua operosità22. È un atteggiamento che caratterizzò la società e la cultura

inglese a partire dalla metà del Settecento, quando emersero atteggiamenti inconsueti verso la civiltà medievale. Vedremo più avanti che una medesima trasformazione era allora all’opera anche in Germania.

Nel mondo inglese un altro interprete e di questo cambiamento fu Richard Hurd (1720-1808), vescovo anglicano che nel 1762 pubblicò un testo che si ricollega ai lavori di de La Curne, celebrando i valori sentimentali e morali della cavalleria medievale. Ne scaturì un atteggiamento di nostalgia per l’età di mezzo, che rappresentava un mondo passato in grado di suscitare emozioni estetiche e sentimentali; era così rigettata l’idea teleologica del progresso e l’esperienza gotica veniva rivalutata contro il modello

21 P. Delogu, Introduzione alla storia medievale, cit., p. 30. 22 E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo, cit., p. 180.

103 dell’arte classica. L’opera di Hurd influenzò anche Herder. Altri interpreti di questo atteggiamento furono i poeti Thomas Percy (1729-1811) e Thomas Warton (1729-1790). In questo trapasso mutarono i paradigmi storiografici e fu abbandonato l’atteggiamento di critica preventiva verso il passato, con il quale andava anzi nascendo un nuovo rapporto.

Nel contesto sopra descritto rientra il più singolare caso letterario della seconda metà del secolo: i canti di Ossian, composti da James Macpherson (1736-1796) ispirandosi all’antica poesia gaelica. Quest’opera costituì uno dei fondamenti del medievalismo romantico in tutta Europa, in quanto, se da una parte recepì un mutamento di sensibilità, dall’altra dette ad esso voce e parole, amplificandolo enormemente e contribuendo ad orientare il gusto per le antichità medievali che si stava diffondendo. Sentimento delle radici, rapporto empatico tra uomo e natura, concezione eroica dell’esistenza erano i tratti di questa nuova sensibilità.

3. Il Romanticismo e il Medioevo. Tra nazione e mito della