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2. Tra Rivoluzione e Restaurazione

2.3. Il panorama culturale

Come ho già detto, essenziale per la diffusione di questi schemi di pensiero fu la stampa. In Italia solo dopo il 1820 nacquero una stampa periodica e un abbozzo di rete organizzativa tale da poter far parlare di movimento ultramontano italiano. È infatti in questo periodo che il movimento prese coscienza di sé, ponendosi obiettivi di più ampio respiro, in quanto inserito nel più vasto contesto culturale europeo. Prima di questa data, esso si era configurato semplicemente come l’espressione di un dibattito frammentato e legato a contesti particolaristici o a iniziative personali. Erano piccoli gruppi di laici ed ecclesiastici, limitati a ambienti circoscritti (corti o seminari) che si scambiavano esperienze e riflessioni. In Italia, dopo la caduta di Napoleone, non si manifestò niente di assimilabile allo slancio e al ribollire francese. Questa paralisi era legata al fatto che nella penisola la Rivoluzione non aveva avuto l’impatto che aveva

45 Un indizio del legame tra pensiero conservatore e questi stati si evince dalle edizioni italiane delle grandi opere dei pensatori reazionari francesi. Ad esempio, il Del Papa di de Maistre, tradotto in italiano, apparve per la prima volta a Napoli nel 1822; la prima traduzione italiana del Saggio sull’indifferenza in materia di religione di Lamennais, ad opera della contessa Ferdinanda Montanari Riccini, fu pubblicata a Modena nel 1824.

46 Cfr. anche Nicola Del Corno, Reazione, in A. M. Banti, A. Chiavistelli, L. Mannori e M. Meriggi (a cura di), Atlante culturale del

70 avuto in Francia: oltre a mancare le condizioni politico-istituzionali, in Italia non si sentiva il bisogno di una reazione intellettuale di tale intensità.

Prima del 1820, un tentativo proto-organizzativo era stato messo in atto dall’Amicizia cattolica, fondata a Torino nel 1817 in seno all’aristocrazia cittadina. Essa si era proposta di diffondere testi di pietà, da contrapporre agli scritti dei rivoluzionari. Ben presto, tuttavia, erano entrati in circolo i testi di von Haller, de Bonald e Lamennais. Parallelamente questo tentativo era germogliato anche a Novara e Rovereto. L’Amicizia, dal punto di vista sociale, fu fortemente aristocratica e antiborghese, legata agli ambienti della corte. La sua battaglia nasceva da un profondo bisogno di muovere un’azione collettiva che arginasse la diffusione delle idee rivoluzionarie, che sostenesse la Chiesa e conservasse l’assetto sociale. Le sue armi erano però desuete, proprie del secolo precedente. Fu sorda alle novità, arroccata nel passato e spesso in un fanatismo preconcetto. Questa esigenza di agire collettivamente, in direzione contraria, avrebbe caratterizzato il movimento cattolico lungo la Restaurazione. Dopo il 1820, il carattere cortigiano si sarebbe attenuato e lo spirito sarebbe diventato più battagliero, sorretto da una maggiore consapevolezza e capacità organizzativa. Il 1820 costituì, cioè, un punto di svolta.

Abbiamo già detto come, nei cinque anni precedenti, nonostante forti spinte intransigenti e reazionarie, i governi restaurati non avessero ripristinato in toto gli ordinamenti e prenapoleonici. Lo scontento verso questi governi univa tutti i sudditi, sia quelli liberali sia quelli reazionari. I moti del 1820-1821 si innestarono su questa insoddisfazione, particolarmente forte nei ranghi della borghesia progressista, degli intellettuali e dei militari47. Abbiamo anche detto come le modalità partecipative e le

finalità di questi movimenti rivoluzionari costituirono una cesura con la situazione precedente, e come la nascita dell’opinione pubblica dette impulso al proliferare delle riviste. La popolazione in questo modo iniziò ad essere sempre più coinvolta nella

71 discussione sui temi politici. La pubblicistica reazionaria fu stimolata da questi fatti, ai quali reagì alimentando il dibattito dalla propria prospettiva. I moti del 1820-21 concretizzarono l’incubo del ritorno della Rivoluzione ed il dibattito politico da essi promosso chiamò i reazionari a prendere posizione e a sviluppare iniziative. La difesa del passato divenne un paradigma fatto proprio da molti48.

È necessario osservare che, prima di sfociare nelle riviste, l’attività di questi primi gruppi era rivolta prevalentemente alla traduzione e alla diffusione delle opere degli apologeti francesi49, i quali ebbero un’influenza enorme sulla formazione di uno schema

di pensiero, in quanto le loro dottrine, come vedremo più avanti, vennero impugnate dagli italiani con entusiasmo ed esaltazione.

La prima iniziativa in questo senso nacque a Napoli, ad opera di un padre teatino, Gioacchino Ventura, il massimo fautore di Lamennais in Italia, il quale fondò nel 1821 la rivista nota come Enciclopedia ecclesiastica. L’iniziativa ebbe però breve durata, dal momento che, dopo la breve esperienza rivoluzionaria, il ritorno al potere di Luigi de’ Medici e l’allontanamento del Canosa ne comportarono la soppressione già nel 1822.

L’Enciclopedia fu totalmente plasmata dal pensiero di Lamennais. Il padre Ventura percorse tutta la parabola dell’ultramontanismo italiano, dalle posizioni reazionarie fino ad un cattolicesimo liberale neoguelfo. Fu brillante e focoso polemista, teologicamente e filosoficamente agguerrito, lavoratore instancabile.

I temi che fece propri erano quelli di tutta la controrivoluzione cattolica italiana. In primis, l’opposizione allo “spirito del secolo”: la funzione caritativa degli istituti religiosi si ergeva, a suo parere, in contrapposizione allo spirito distruttivo della Rivoluzione borghese. Le misure politiche e amministrative della Rivoluzione erano da lui considerate sacrileghe, mascherate in modo ipocrita da ragioni umanitarie.

L’Enciclopedia nacque nel contesto del ritorno dei Borbone sul trono e in accordo col Canosa, allora ministro di polizia. Lo sfondo ideale del giornale era costituito dalle

48 N. Del Corno, Reazione, cit., p. 164.

72 idee di de Maistre, Bonald, von Haller e Lamennais. Il contesto ideologico costituiva il filtro al vaglio del quale passare ogni tema e argomento, una lente che inquadrava ogni dato sociale, politico e culturale. Dall’insieme emerse un’opera moralisticamente vigorosa.

Scopo di iniziative simili era, pragmaticamente, quello di stimolare all’azione; non c’era una vocazione speculativa e filosofica. Questo discorso vale per tutti gli intransigenti, compresi i francesi50. Questi autori si prefissero cioè l’obiettivo di

restaurare in modo integrale i valori distrutti, plasmando un’ideologia che doveva toccare ogni ambito della vita al fine di ricostituire l’organicità del tutto.

La loro struttura ideologica poggiava sul popolo e sui governi legittimi come pilastri fondanti. Si articolava in tre momenti, tra loro comunque intrecciati: la sconfitta degli errori del secolo; la definizione della strada da intraprendere nella Restaurazione; l’applicazione dello schema ad ogni occasione contingente51. Tale

schema era lo stesso per tutti gli ultramontani, era il loro dogma: la riaffermazione della supremazia religiosa in ogni manifestazione della vita. Anche per Ventura la causa vera della Rivoluzione era da individuare nella Riforma protestante, la quale, mettendo in discussione l’autorità religiosa, aveva aperto la strada al libero pensiero e alla dissoluzione della società52.

Anche nel regno sabaudo i principi della Restaurazione vennero adottati in ogni ambito, nella forma più anacronistica e radicale. Venne abolito il codice napoleonico, restituendo l’istruzione ai gesuiti, venne abolito il matrimonio civile, furono riesumate le leggi speciali per ebrei (che dovettero tornare a risiedere nel ghetto) e valdesi53. In

questo clima culturale, aristocratico, legittimista e fondato su rapporti sociali di tipo patriarcale, vide la luce nel 1822 a Torino la rivista l’Amico d’Italia, diretta dal marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, che sarebbe stata pubblicata fino al 1829. Essa

50 S. Fontana, La controrivoluzione, cit., p. 92. 51 Ivi, p. 95.

52 Ivi, pp. 95-96. 53 Ivi, p. 78.

73 ebbe sempre un’impostazione lealista nei confronti della corte e della dinastia, mantenendo un’ideologia allineata con le altre riviste e risultando scadente dal punto di vista culturale54.

A Modena nacque nel 1822 il periodico bimestrale Le memorie di Religione, di

Morale e Letteratura, diretto da don Giuseppe Baraldi, rivista che sarebbe durata oltre

la crisi del 1829-1830. In questo ducato il contesto fu il più favorevole allo sviluppo del movimento ultramontano italiano, in quanto si verificarono congiuntamente le due condizioni migliori, ossia il predominio assoluto delle forze reazionarie e l’abolizione delle tradizioni regalistiche settecentesche. Il movimento modenese fu il più forte e rigoglioso d’Italia.

In questo bimestrale il quadro ideologico proposto dalla rivista di padre Ventura non mutò nei contenuti, ma nella forma, facendosi maggiormente smussato e diluito. Le Memorie si tennero lontane dai soli fatti di politica, ma ospitarono temi culturali di ampio respiro, argomenti letterari e dibattiti filosofici.

Oltre ad occuparsi di molteplici temi e ad avere un’impostazione ideologica meno spigolosa rispetto all’Enciclpedia, le Memorie videro la collaborazione di molti redattori di provenienza diversa, fatto che conferì a questo bimestrale una maggiore apertura culturale. Anche il pensiero dei francesi venne recepito solo in certi periodi e per giunta arrivò filtrato e mediato. Questa natura non impedì però alla rivista modenese di esprimere e precisare, a volte marginalmente o indirettamente, il proprio pensiero sulle polemiche in corso.

Tale impostazione tuttavia fece venire meno l’orientamento e il tono urgente di lotta contro il secolo che aveva avuto la pubblicazione del Ventura, attenuandone la forza e la vigoria morale. Questo forse fu il limite della rivista modenese. La forza, al contrario, risiedeva proprio nell’emergere della cultura cattolica tradizionale italiana,

54 Ivi, pp. 122-123.

74 nella sua specificità, nella sua autonomia rispetto al modello francese55. La riscossa

religiosa per questo gruppo doveva passare attraverso una rinascita culturale e intellettuale.

Altre iniziative minori furono quelle del Giornale ecclesiastico, nato ad Alessandria nel 1824, della Pragmalogia cattolica di Lucca56, della Società de’ Calobibliofili, nata a

Imola nel 1825 con l’obiettivo di diffondere la “buona stampa” e del Giornale degli

apologisti della religione cattolica, uscito dal 1825 al 1827 a Firenze57.

L’ultramontanismo italiano non si limitò ad accettare lo status quo dei governi restaurati, manifestando piuttosto ambizioni più vaste. Da una parte, era legato alle forze dell’Antico Regime in fase di dissoluzione; dall’altro, si faceva portatore di valori fecondi di ulteriori sviluppi. Tra le forze politiche e il movimento ultramontano si ingaggiò una dialettica opportunistica, finalizzata al reciproco vantaggio: le prime cercarono di far leva sui reazionari per consolidare le loro posizioni politiche, il secondo cercò di utilizzare i governi restaurati per realizzare il suo piano integralistico e guelfo58.