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Medioevo senza Romanticismo tra Italia e Francia. L'apologetica di Costantino Battini nell'età della Restaurazione

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

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IVILTÀ E

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AGISTRALE IN

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EDIOEVO SENZA

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OMANTICISMO TRA

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TALIA E

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RANCIA

L’apologetica di Costantino Battini nell’età della Restaurazione

R

ELATORE

:

Prof. Roberto Bizzocchi

C

ORRELATORE

:

Prof. Matteo Giuli

C

ANDIDATO

:

Tommaso Ceccanti

A

NNOACCADEMICO

(2)

Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, né nell'irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l'anima non te li mette contro. […]

(3)

SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO I.OMNIS POTESTAS A DEO ... 14

1. L’eredità della Grande Rivoluzione ... 14

1.1. Vita storica e ribollire delle idee in Francia ... 18

1.2. La società francese fra convergenze e divergenze ...21

2. Il cattolicesimo francese e le missioni... 25

3. I protagonisti ... 27 3.1. Edmund Burke ... 30 3.2. Joseph de Maistre ...31 3.3. Louis de Bonald... 35 3.4. Félicité de Lamennais ... 36 3.5. Pierre-Simon Ballanche ... 42 3.6. François-René de Chateaubriand ... 44

CAPITOLO II.CHIESA, RELIGIONE E SOCIETÀ IN ITALIA TRA XVIII E XIX SECOLO... 50

1. La Chiesa italiana nel XVIII secolo ... 50

2. Tra Rivoluzione e Restaurazione ... 61

2.1. Chiesa e società dopo la Rivoluzione ... 61

2.2. La Restaurazione in Italia ... 67

2.3. Il panorama culturale... 69

2.4. La ricezione del tradizionalismo francese ... 74

2.5. Il cattolicesimo di fronte alla nazione ... 76

3. La Toscana tra riformismo e controrivoluzione ... 80

CAPITOLO III.MEDIEVALISMI MODERNI ... 92

1. Il paradigma medievale ... 92

2. L’idea e il suo percorso. Dalle origini al Settecento ... 94

3. Il Romanticismo e il Medioevo. Tra nazione e mito della cristianità ... 103

3.1. Il mito romantico della Christianitas medievale ... 104

3.2. Le origini delle nazioni ... 108

4. La Chiesa contro. L’ideologia di cristianità ... 111

4.1. Fermenti prerivoluzionari ... 111

4.2. La Rivoluzione e il mito della cristianità medievale ... 114

CAPITOLO IV.L’APOLOGIA DEI SECOLI BARBARI ... 123

1. Costantino Battini e il suo mondo... 123

1.1. Cenni sull’orizzonte teologico ... 129

2. L’Apologia dei secoli barbari ... 131

2.1. L’archivio della SS. Annunziata ... 131

2.2. Genesi del testo ed edizioni... 132

2.3. Il testo. Tomo I ... 139

2.3.1. L’introduzione ... 141

2.3.2. I primi tre capitoli. La denominazione, la lingua, la politica e il commercio ………144

2.3.3. Capitolo IV-VII. L’arte militare, l’eroismo e le Crociate ... 149

2.3.4. Capitoli VIII-XIV. Lettere, scienze, arti e lingua ...159

2.4. Il testo. Tomo II ... 179

(4)

2.4.2. Capitoli XVI-XVIII. Il gesuita Saverio Bettinelli come bersaglio ... 183

2.4.3. Capitolo XIX. Preoccupazioni “educative” ... 193

2.4.4. Capitolo XX. La barbarie moderna ... 199

3. Considerazioni conclusive ... 202

CAPITOLO V.LA RICEZIONE E LA CONFERMA DELLAPOLOGIA DEI SECOLI BARBARI ……205

1. Stroncature ed accoglienze ... 206

1.1. La ricezione dell’Apologia... 206

1.2. L’Antologia ... 208

1.3. La Lettera sul presente argomento ... 218

1.4. La Biblioteca Italiana ... 233

1.5. Il Giornale Arcadico ... 237

1.6. La Revue encyclopédique... 239

1.7. Il Mémorial Catholique e il Giornale ecclesiastico di Roma ... 241

2. “Non mi hanno capito”. Genesi del Supplemento ... 246

3. La Conferma dell’apologia dei secoli barbari ... 254

4. Voci dai documenti ... 270

5. Considerazioni conclusive ... 274

CONCLUSIONE GENERALE ... 276

(5)

5

I

NTRODUZIONE

Quando iniziai il lavoro di ricerca sull’Apologia dei secoli barbari di Costantino Battini, servita del convento della SS. Annunziata a Firenze, su proposta del prof. Roberto Bizzocchi, a cui avevo chiesto consiglio, avevo un quadro del contesto storico di quel periodo molto approssimativo, in quanto, nel mio percorso di studi, lo avevo approfondito ben poco. Il punto di partenza fu proprio la lettura del testo, così come dei pochi lavori di storiografia sull’argomento.

Iniziando quindi da qui, ho proceduto a ricostruire il più vasto quadro politico e culturale europeo ed italiano focalizzandomi sul periodo della Restaurazione, dal 1815 fino agli anni Trenta dell’Ottocento, sporgendomi cronologicamente a tratti indietro fino alla metà del XVIII secolo e in avanti fino agli anni Quaranta del XIX. Certamente, la grande cesura verificatasi in Francia nel 1789 ha costituito un termine di paragone continuo ed imprescindibile per poter comprendere i processi in atto in questa fase storica.

Nel procedere del lavoro, mi è risultata sempre più chiara l’enorme complessità sociale e culturale di quel periodo, così come, dal punto di vista della storiografia della cultura reazionaria, mi è apparsa altrettanto chiara la carenza di studi, in particolare recenti1.

Il principale motivo che mi ha spinto a dedicarmi a questa ricerca si è legato alla possibilità di approfondire lo sguardo su tale corrente reazionaria. Nello specifico, poi, all’opera di Battini non era ancora stato rivolto un esame analitico. Renderne ragione significava chiarire i rapporti che essa aveva con il contesto in cui era inserita, sperando di poter così contribuire ad allargare il cono di luce attorno al tradizionalismo e all’intransigentismo cattolico.

1 Vengo a conoscenza ora, mentre scrivo l’introduzione di questo lavoro, del libro di N. Del Corno, Italia reazionaria. Uomini e idee

dell’antirisorgimento, Mondadori-Pearson, Milano-Torino 2017, che, a quanto mi risulta, è il lavoro più recente nel panorama

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6

Il lavoro, come dicevo, si è sviluppato a partire dall’opera del frate servita e dai pochi scritti storiografici ad essa relativi: un articolo di Eugenio Garin del 2004 sulla rivista «Rinascimento»2 e alcune pagine dell’introduzione a La civiltà del rinascimento

in Italia del Burckhardt, curata dallo stesso autore3; un capitolo di Rolando Minuti e

Mauro Moretti in un testo francese4; un paragrafo ed un altro breve passaggio della

Storia dell’Università di Pisa (ateneo nel quale Battini aveva insegnato teologia

dogmatica)5; una nota nel libro di Duccio Balestracci, Medioevo e risorgimento.

L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento6; una pagina di Benedetto Croce in

Storia della storiografia italiana nel secolo XIX7; e infine un passaggio di Roberto

Bizzocchi nello scritto La biblioteca italiana e la cultura della restaurazione.

1816-18258.

A partire da questo materiale, ho iniziato la ricerca bibliografica relativa alla cultura reazionaria. A mano a mano che aggiungevo un tassello al quadro, questo automaticamente generava nuove domande, innescando un circolo virtuoso molto stimolante, del quale però realizzavo l’effettiva complessità, in quanto per poter comprendere realmente le dinamiche e i processi coinvolti era necessario scendere sempre più in profondità. Premetto che a tutte queste domande, nel lavoro di tesi, non sono riuscito a rispondere: le fonti disponibili, unitamente alla mia capacità di interrogarle ricavandone le informazioni possibili, e i tempi imposti dal lavoro sono stati, probabilmente, limitanti.

Eppure, credo di essere riuscito a rendere conto di ciò che di importante doveva essere detto relativamente all’opera di Battini e all’ambiente che ruotava attorno a lui.

2 E. Garin, Costantino Battini e l’Apologia dei secoli Barbari, in «Rinascimento», n°44, 2004, pp. 1-14. 3 J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze 1968, pp. XXIX-XXX.

4 R. Minuti, M. Moretti, Aspects de la réflexion sur l’histoire nationale dans la culture italienne post-révolutionnaire, in R. Dopoy, F. Lebrun (a cura di), Les résistances à la révolution, Imago, Paris 1987, pp. 368-375; M. Moretti, Le “lettere”: appunti su insegnanti

ed insegnamenti, in Commissione rettorale per la storia dell’Università di Pisa (a cura di), Storia dell’Università di Pisa. 1737-1861,

Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa 2000, vol. 3, tomo II, pp. 721-722.

5 Commissione rettorale per la storia dell’Università di Pisa (a cura di), Storia dell’Università di Pisa. 1737-1861, vol. 2, Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa 2000, pp. 457-459.

6 D. Balestracci, Medioevo e risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento, Il Mulino, Bologna 2015, nota 23, p. 13. 7 B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Laterza, Bari 1947, p. 113.

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7

Ci sono margini interessanti di approfondimento, in particolare, come vedremo nel capitolo V, in relazione alla ricezione di questa opera, pista che ruota attorno anche ad un non chiarissimo articolo del Giornale ecclesiastico su una sua ipotetica terza edizione, in cui mi sono imbattuto durante le ricerche, mai effettivamente citata nella letteratura secondaria; altri margini di approfondimento potrebbero andare in direzione della cultura, intesa sia come formazione intellettuale sia come visione del mondo, dei membri degli ordini religiosi nell’età della Restaurazione; ancora potrebbero essere prese in considerazione le numerose riviste di impostazione tradizionalista, oltre a quelle già studiate, che fiorirono in Italia tra la Restaurazione e l’Unità.

Parallelamente alla ricerca bibliografica, ho svolto un’indagine archivistica nel convento dell’ordine dei servi di Maria della SS. Annunziata, a Firenze, luogo in cui Battini passò buona parte della sua vita. La presenza di due faldoni, contenenti la corrispondenza privata del frate e le bozze manoscritte delle sue opere, è stata molto preziosa per approfondire la ricezione dei testi e la loro genesi.

Per quanto riguarda l’argomento specifico, all’interno del più vasto obiettivo di far luce sul tradizionalismo italiano di questo periodo, un aspetto in particolare mi è sembrato davvero importante. Esso dopotutto è discriminante nel tentativo di collocare l’opera di Battini nel giusto filone intellettuale, evitando così fuorvianti generalizzazioni. Il recupero del Medioevo nell’Ottocento è argomento che ha goduto di una trattazione vasta in campo storiografico, non ultimo a causa del suo ruolo nel delineare e sviluppare l’idea di nazione. Lo sguardo degli studiosi si è però concentrato (non esclusivamente, ma prevalentemente) sullo studio del recupero del modello medievale così come è stato declinato all’interno della cultura romantica.

L’opera in esame, tuttavia, oppone molte resistenze a questo quadro interpretativo: più si procede nella sua lettura, più si fa fatica a collocarla in questo filone della cultura europea. Si apre quindi la porta su di una diversa corrente intellettuale che ha fatto proprio il paradigma medievale. Essa, più che legarsi al romanticismo, sembra

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8

connettersi in modo diretto al tradizionalismo francese, ed in particolare al giovane Lamennais e a de Maistre9. Pochi studi tuttavia hanno preso in esame questa

declinazione dell’invenzione ottocentesca del Medioevo. In particolare, sono stati cruciali, nell’aiutarmi a sbrogliare la matassa, i lavori di Daniele Menozzi e di Giovanni Miccoli.

Il materiale analizzato e rielaborato mi ha portato a strutturare la tesi in cinque capitoli, i quali gettano uno sguardo da prospettive diverse sulle relazioni tra politica, cultura, religione e società tra la Rivoluzione e il 1830.

Il primo capitolo analizza la cultura e la società francese all’indomani della Rivoluzione, prendendo in esame le conseguenze di questa e le reazioni suscitate. In particolare, vengono inquadrati alcuni tratti dei protagonisti della riflessione tradizionalista. Dedicare un capitolo al contesto francese è stato necessario, in quanto gli sviluppi italiani di questo filone intellettuale si legarono in modo diretto al pensiero di tali autori, dal momento che l’Italia non aveva visto emergere una riflessione autonoma.

Nel delineare il quadro francese, ho cercato di restituire la sua articolazione e complessità, le affinità tra le correnti diverse, ma anche i relativi scarti. Ho cercato di rendere conto delle sensibilità e delle ansie che percorrevano la società transalpina, le quali credo possano permetterci di capire le direzioni verso cui si è sviluppata la riflessione dei reazionari. Come dicevo prima, ho cercato di fuggire alle banalizzazioni, pur consapevole che schematizzare resta, in sede storiografica, un’operazione talora inevitabile.

Un’ulteriore breve attenzione, nel medesimo capitolo, l’ho rivolta allo sguardo che questi autori, pur saldamente innestati sul passato, rivolgevano all’avvenire e a ciò che, posti certi modelli di società e di politica, poteva essere in questa prospettiva costruito.

9 Già altri avevano osservato che Battini non fu un apologeta romantico del Medioevo, senza però approfondire ulteriormente l’analisi. Cfr. R. Minuti, M. Moretti, Aspects de la réflexion, cit., p. 371, e Commissione rettorale per la storia dell’Università di Pisa (a cura di), Storia dell’Università di Pisa. 1737-1861, Edizioni Plus Università di Pisa, Pisa 2000, vol. 2, tomo 1, p. 458.

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9

Dall’analisi della cultura francese sono passato poi a delineare, nel capitolo II, gli sviluppi, a cavallo dei secoli XVIII e XIX, riguardanti la Chiesa cattolica. Il Settecento fu un secolo di forte confronto-scontro tra la Chiesa e le istanze riformistiche e illuministiche. Si alternarono periodi di apertura ad altri di chiusura. Mi è interessato qui mostrare come manifestazioni conservatrici di medievalismo abbiano cominciato a manifestarsi proprio in questo secolo in seno alla curia romana, andando ad incontrarsi solo successivamente con i fermenti religiosi romantici europei, provenendo tuttavia da direttrici autonome. La Rivoluzione comportò la sconfitta di tutte le istanze riformiste ed impresse alla Chiesa di Roma un orientamento di difesa rigida e chiusa. Fu in questo contesto che il medievalismo si rivelò sempre più un paradigma capace di proporre una precisa visione dei rapporti tra Chiesa e società.

Il ruolo della Chiesa, in questa crociata antirivoluzionaria e antimoderna, entrò anche in stretto rapporto con i moti di reazione che sconvolsero le campagne italiane nell’ultimo decennio del secolo XVIII.

Fu nel primo trentennio dell’Ottocento che le istanze emerse in seno alla curia romana si saldarono con la riflessione e la reazione ultramontana e tradizionalista d’oltralpe, attraverso l’emergere di un gran numero di riviste orientate in questo senso, facendo della cristianità medievale una vera e propria ideologia. Mi sono così occupato di tre periodici, i più importanti e i più studiati (l’Enciclopedia ecclesiastica di padre Gioacchino Ventura, le Memorie di religione di don Giuseppe Baraldi e l’Amico d’Italia di Cesare Taparelli d’Azeglio), e della ricezione avvenuta in Italia, attraverso di essi, del tradizionalismo francese e delle riflessioni su di esso.

Essendo stato questo trentennio un periodo intenso in relazione ai dibattiti e alle lotte nazionali e patriottiche, ho poi provato a delineare molto brevemente le posizioni interne al cattolicesimo riguardo alla concezione della nazione.

Infine, la mia attenzione si è rivolta, in modo più specifico, alla Toscana tra la Rivoluzione e il primo Ottocento, ed in particolare ad alcuni aspetti della cultura della

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10

Restaurazione presenti nella città di Pisa, a partire dall’analisi condotta da Marco Manfredi, che a tal proposito ha fornito indicazioni estremamente interessanti10.

Nel capitolo III, ho ripreso in esame il medesimo arco temporale del capitolo precedente, ampliandolo leggermente; a cambiare è stato però lo sguardo, che qui si è soffermato in modo analitico sull’idea di Medioevo, studiata nella molteplicità delle sue declinazioni. In particolare, il focus è stato diretto alla questione della costruzione del paradigma medievale e alla sua adozione in seno alla corrente cattolica romana, con le sue specificità e le sue contaminazioni culturali. Abbiamo detto, infatti, che all’interno di essa, più che all’interno della declinazione romantica, devono essere collocate l’opera e la figura di Costantino Battini.

Così, dopo aver delineato e circoscritto il contesto generale, nel capitolo IV ho preso in esame proprio la figura di questo frate servita, il suo orizzonte culturale, e, successivamente, il suo scritto principale, l’Apologia dei secoli barbari, pubblicato nel 1823, provando a rendere ragione della gestazione del testo e indicandone le edizioni. Ho poi analizzato l’opera, seguendo la struttura datane dall’autore, nei due tomi e nei capitoli, raggruppati, all’interno dei paragrafi, secondo l’unità tematica.

Il Medioevo che emerge dalla trattazione di Battini non è un Medioevo unicamente incentrato sulla religione cattolica romana. Questa costituisce il fondamento della sua intera concezione, ma dentro quel Medioevo tanto invocato come terapia dei mali moderni rientra l’intera civiltà dei secoli di mezzo, l’indole e il genio di quegli uomini. L’attualizzazione è così totale: morale, letteratura, forme di governo, economia, scienza. Dell’era moderna nulla si salva, e ciò che potrebbe salvarsi è talmente insignificante da essere destinato al cestino della storia. L’orientamento verso il primato “nazionale” che Battini impartì alla sua analisi ci permette di collocarla entro quel filone intellettuale che avrebbe influenzato la successiva riflessione neoguelfa.

10 M. Manfredi, Devozione, carità e classicismo di antico regime. Cultura della tradizione e forme della politica in una città della

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11

La ricezione dell’opera è affrontata nel capitolo V, insieme alla riposta dell’autore alle polemiche suscitate. L’archivio ci mostra, in ambienti vicini a Battini, una risposta entusiasta e positiva alla pubblicazione del testo. Diversa fu invece la reazione di alcune grandi riviste, di stampo sia progressista sia moderato, le quali recensirono in modo molto duro le pagine del frate.

Relativamente alla recensione dell’Antologia di Firenze, scritta da Antonio Renzi, abbiamo una lunga Lettera anonima, posta al termine del secondo tomo della seconda edizione dell’Apologia, che esamina gli argomenti del recensore e si proietta tutta a sostegno delle posizioni di Battini, specificandole ulteriormente. Gli altri articoli fortemente critici, oltre a questo dell’Antologia, furono quelli della Biblioteca italiana, del Giornale arcadico e della Revue encyclopédique di Parigi. A sostegno dell’opera del frate si registrano invece due articoli, uno sul Mémorial catholique e l’altro sul

Giornale ecclesiastico di Roma, il secondo dei quali riporta la traduzione italiana del

primo, accompagnata da un breve commento introduttivo.

Ciò che è interessante è che gli ultimi due articoli sono del 1825, ossia risalgono a ben due anni dopo la pubblicazione del testo. Ho individuato la ragione, in prima accezione, nel fatto che essi si riferirebbero ad una terza edizione dell’Apologia, proprio del 1825, della quale porta testimonianza solo il Giornale ecclesiastico. Il testo, secondo l’autore dell’articolo, sarebbe stato accresciuto di un ulteriore tomo contenete le risposte di Battini ad alcuni critici. Tuttavia questa terza edizione si è rivelata irreperibile, così come irreperibili sono altre notizie relative ad essa. Queste ragioni mi hanno portato a sollevare dei dubbi sulla effettiva esistenza di una edizione del tutto nuova. Ci sono infatti delle ambiguità che saranno esaminate nel capitolo V.

Infine, ho proceduto all’analisi della Conferma dell’apologia dei secoli barbari, che rappresentò la risposta di Costantino Battini ai suoi critici e detrattori, in cui comunque non fu detto nulla di nuovo rispetto all’Apologia. Vi fu solo un più marcato accento sulla dimensione morale della superiorità dell’indole degli antichi rispetto a quella dei moderni.

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La scelta del 1830 come limite cronologico finale di questo lavoro di ricerca è innanzitutto legata al fatto che Costantino Battini morì due anni dopo. Lo scopo di questa tesi non è quello di delineare una storia generale dell’intransigentismo medievalista cattolico nell’età della Restaurazione, bensì quello di studiare l’opera apologetica di questo frate servita, all’interno del proprio contesto culturale, al fine di ampliare lo sguardo sull’intero filone, del quale la riflessione di Battini costituì un tassello ed una prospettiva particolare.

Gli anni ‘30 costituirono il periodo di maggiore fioritura, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, della pubblicistica controrivoluzionaria, grazie prevalentemente all’entusiasmo seguito alla repressione dei moti del 1831. Emersero giornali importanti (La voce della ragione e La voce della verità), aventi l’obiettivo di sistematizzare le idee antirivoluzionarie e divulgarle, così da poter plasmare un’opinione pubblica politicamente attiva. Tuttavia, pur essendo anni fertili di discussioni e dibattiti, le invettive che occuparono le pagine di questi quotidiani non aggiunsero nulla a quanto elaborato nel primo quindicennio dell’età della Restaurazione, durante il quale erano emersi, con urgenza quasi drammatica, tutti quei problemi che la Rivoluzione aveva catalizzato e fatto deflagrare11.

La stessa ideologia di cristianità medievale restò viva e tese semmai a rafforzarsi proprio dal 1830, in particolare in seno alla gerarchia cattolica. In quel quindicennio che precedette i moti del ’48, però, iniziarono a manifestarsi delle istanze di riforma in seno al cattolicesimo, istanze più mature di quelle settecentesche, che videro l’abbandono delle nostalgie medievaliste. Rosmini e Gioberti rientrarono in questo orizzonte. Eppure, il nucleo fondante la visione intransigente che era stato elaborato nella prima fase della Restaurazione, secondo cui una società o era cristiana oppure non poteva esistere, trapassò nel pensiero di questi intellettuali. In tal senso possiamo

11 N. Del Corno, Reazione, in A. M. Banti., A. Chiavistelli, L. Mannori, M. Meriggi (a cura di), Atlante culturale del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 168-169; cfr. anche S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830), Morcelliana, Brescia 1968, p. 10.

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13

dire che, anche in queste prospettive, in particolare in quella giobertiana con la sua declinazione moderata, sopravvisse il fondo di una concezione tradizionalista12.

A partire dal 1848, col fallimento della proposta neoguelfa, si affermarono definitivamente in seno alla Chiesa cattolica le istanze intransigenti nelle forme del mito della cristianità medievale.

L’idea è stata quindi quella di prendere in esame il contesto di quelle prime ed urgenti formulazioni della riflessione tradizionalista, ed in particolare di rendere conto dell’apporto fornito in tal senso da Costantino Battini.

Le sigle utilizzate nei riferimenti in nota sono le seguenti: ASAF, relativamente ai documenti d’archivio, sta per Archivio della SS. Annunziata di Firenze, seguito poi dal numero della filza (n. 239, biografia e corrispondenza; n. 242, manoscritti sui secoli barbari e alcune opere di teologia); DBI sta invece per Dizionario Biografico degli

italiani, che ho consultato sempre online.

12 D. Menozzi, Tra riforma e restaurazione. Dalla crisi della società cristiana al mito della cristianità medievale (1758-1848), in G. Chittolini, G. Miccoli (a cura di), Storia d’Italia. Annali 9. La chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Einaudi, Torino 1986, pp. 802 e seg.; cfr. anche S. Fontana, La controrivoluzione, cit., p. 8.

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14

C

APITOLO

I.

O

MNIS

P

OTESTAS A

D

EO

1. L’eredità della Grande Rivoluzione

Il periodo storico della Restaurazione coincide con quell’intervallo di tempo che

intercorre tra la sistemazione dell’Europa uscita dal Congresso di Vienna e la rimessa in discussione di quegli stessi ordinamenti, avvenuta in momenti diversi nei singoli stati1.

Il ripristino degli antichi assetti si era reso necessario in seguito alla epocale frattura apertasi nel 1789, alla sua degenerazione nel Terrore giacobino e alla successiva epopea napoleonica. La Grande Rivoluzione aveva lasciato dietro di sé le rovine di un sistema economico, politico, sociale e culturale. L’età che seguì il 1815 divenne un contesto privilegiato per il confronto tra quei filoni che costituivano l’eredità dell’Ottantanove.

Tentare di rendere conto di questa eredità è però materia complessa. Le energie liberate dalla Rivoluzione vennero momentaneamente messe in sordina negli anni dell’Impero, per poi riaffiorare rigogliose a partire dalla sconfitta di Napoleone a Waterloo il 18 giugno 1815 e dal successivo esilio a Sant’Elena. Di fatto l’avventura napoleonica ebbe un impatto fondamentale sul continente, in quanto catalizzò la diffusione dei venti culturali e politici francesi ovunque si muovessero le sue armate.

Per queste vie l’idea di nazione divenne il paradigma centrale delle diverse rivendicazioni politiche sia per chi reagì all’occupazione napoleonica sia per chi invece la accolse, caratterizzando di fatto il linguaggio politico dell’Ottocento. La nazione in Italia divenne il tema principale della narrazione sia democratica sia moderata (in senso lato dei “patrioti”: tra di loro differenze maggiormente marcate inizieranno ad emergere a partire dagli anni Trenta, quando inizieranno a delinearsi le alterità tra moderati e democratici, alterità che diventeranno spaccature politiche profonde in

1 Vedi C. Cassina, Premessa, in L’età della Restaurazione in Italia. Interventi a cura di Cristina Cassina, «Contemporanea», vol. 4, n. 3, 2001, p. 529.

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15 seguito al biennio 1848-18492), entro una prospettiva che tuttavia divergeva sugli

assetti istituzionali e sull’estensione della sovranità politica3.

In effetti la stessa idea di nazione si evolse a cavallo del 1815. I patrioti che si muovevano prima del congresso di Vienna non possedevano ancora un’idea chiara di cosa fosse quell’entità chiamata “nazione”. Tra fine Settecento e inizio Ottocento la loro opera, nell’immaginare una comunità dai tratti ancora non ben definiti, conviveva con forme varie di appartenenza territoriale. Inizialmente il dibattito si declinò tramite

pamphlet politici, in quanto l’occupazione napoleonica sotto il Direttorio lasciava

ampio margine alla discussione.

A partire dai primi anni dell’Ottocento la censura si fece però più stringente. La discussione politico-costituzionale fu così costretta ad abbandonare il terreno del saggio e a far suo il linguaggio delle opere d’arte (romanzi, drammi, poesie), approfondendo anche il tema delle origini storiche della nazione italiana. Era questo il canale tramite cui gli intellettuali parlavano alle emozioni e al cuore delle persone più che alla loro mente4.

A partire dal 1815 (e fino al 1848), pur restando aperte le divergenze sugli assetti istituzionali tra i patrioti, l’opera degli intellettuali, sulla scia degli sviluppi paralleli dell’Europa romantica, riuscì ad elaborare una narrazione coerente di cosa denotasse il concetto di nazione. In questo modo, il passato venne ricostruito come mito in cui collocare i legami di parentela che cementavano una comunità. Esso fu però concepito attraverso il paradigma della decadenza, in quanto presentato come un passato di oppressione, da riscattare nel presente. Furono così i miti del nazionalismo romantico a veicolare il messaggio politico nazionale.

Tuttavia, la complessità di questo periodo non si riduce a coloro i quali, alcuni più marcatamente ed altri in modo più sfumato e depurato dagli eccessi, accolsero

2 A. M. Banti, Il Risorgimento italiano, Laterza, Bari 2008, p. 90. 3 Ivi, p. 62.

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16 l’eredità della Rivoluzione. Ci furono anche gruppi che reagirono ad essa. In particolare, si trattò dei gruppi maggiormente legati ad una prospettiva religiosa e al vecchio sistema politico e sociale, stravolti dall’Illuminismo prima e dalla Rivoluzione poi, soprattutto la gente delle campagne, gli ecclesiastici e gli esponenti dell’aristocrazia. I fautori di questa corrente di opposizione, nata subito dopo il 1789, sono chiamati controrivoluzionari.

Ci furono però forme di critica, che possiamo definire antirivoluzionaria, le quali precedettero lo scoppio della Rivoluzione francese. Eppure, il fenomeno si manifestò in tutta la sua evidenza solo a partire dalla cesura dell’Ottantanove. Se le prime immediate reazioni alla Rivoluzione furono rivolte ad un fenomeno che si riteneva circoscritto e isolato, per quanto sconvolgente, sul finire del secolo fu presa piena coscienza della sua portata mondiale.

Questo dette impulso ad una riflessione derivante dalla mobilitazione totale delle energie conservatrici del mondo occidentale, non per arginare questa Rivoluzione, ma per arginare ogni Rivoluzione5. Le lacerazioni aperte in seno alla concezione della

società e del potere dallo strappo rivoluzionario erano di tre ordini: il disaccordo sul fondamento dell’autorità politica; il contrasto interno alla gerarchia dei poteri; il problema del rapporto tra potere temporale e spirituale6.

Qui è però opportuno tentare una distinzione terminologica tra vera e propria cultura reazionaria e conservatorismo. Di fatto, per cultura reazionaria si intende quella corrente di pensiero che, partendo dal legittimismo cattolico di De Maistre, procede contro democrazia, liberalismo e illuminismo, e quindi in opposizione totale alla Rivoluzione francese. In Germania il principale portavoce fu Karl Ludwig von Haller, mentre in Francia, oltre a De Maistre, dominarono la scena, in questo senso, il giovane Félicité de Lamennais e il visconte Louis de Bonald. In Italia questa corrente fu

5 L. Marino, Filosofia della Restaurazione, Loescher, Torino 1978, p. 12.

6 M. Battini, L’ordine della gerarchia. I contributi reazionari e progressisti alle crisi della democrazia in Francia. 1789-1914, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 45.

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17 presente con numerose voci legate alla cultura francese. Il conservatorismo, invece, secondo una certa declinazione, accetta un liberalismo moderato. Esso, in sede politica, opera una scissione tra liberalismo e democrazia e fa riferimento al modello costituzionale inglese. Edmund Burke, ad esempio, può essere annoverato in questo senso tra i conservatori. In Italia le due concezioni andarono compenetrandosi, essendo la riflessione teorica reazionaria limitata a pochi polemisti che non fecero scuola e non svilupparono una riflessione autonoma7.

Dal punto di vista cattolico, le reazioni a Rivoluzione e periodo napoleonico furono molteplici. Si ebbe un risveglio spirituale ed ideologico, non promosso da Roma, sia in Francia sia nei paesi germanici. Emerse una cultura che si proponeva di superare i principi dell’Ottantanove, riaffermando una concezione storico-corporativa dello stato e l’alleanza tra trono ed altare8.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino aveva messo in crisi profonda il principio d’autorità, e l’uguaglianza politica aveva operato una frattura epocale con le concezioni tradizionali del potere e della società. Dalla Rivoluzione era nata una civiltà fondata sull’individualismo egualitario, ossia sul valore universale attribuito alla persona. Codici astratti, strappati dal processo storico. La reazione tradizionalista si scagliò contro questi strappi, cercando di ancorare nuovamente politica e società a quella realtà che era figlia della storia, da cui non era consentito prescindere. Vedremo meglio più avanti l’evoluzione delle posizioni all’interno della Chiesa italiana. Ora ci limitiamo a dire che la maggior parte degli scrittori controrivoluzionari in Italia erano ecclesiastici, e che questa corrente di pensiero non sviluppò una propria proposta autonoma e originale ma subì fortemente l’influsso francese (e in misura minore tedesco). I moti degli anni Venti saranno il catalizzatore

7 Cfr. l’intervento di Giuseppe Parlato alla relazione di Anna Maria Battista in La Restaurazione in Italia. Strutture e ideologie, atti del XLVII congresso di storia del risorgimento italiano, Cosenza, 15-19 settembre 1974, Istituto storico per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1976, pp. 416-417.

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18 della diffusione più vasta di questi filoni di pensiero presso l’opinione pubblica9. Sarà

sempre in questi anni che inizierà ad emergere una stampa cattolica orientata verso queste posizioni.

Nel caso italiano questo variegato e complesso movimento di opposizione può essere definito reazionario, anti-risorgimentalista o ultra-conservatore10; esso fu

preannunciato sia dalle insurrezioni antinapoleoniche e antigiacobine, sia dalla pubblicistica legata a queste istanze. Si tratta di una lunga fase di atteggiamento sociale, morale e politico, oltre che di pensiero.

Il movimento reazionario italiano fu caratterizzato da una duplice anima: una confessionale, cattolica, portavoce di un assoluto intransigentismo, la quale fu certamente più viva, incisiva e motivata, oltre che culturalmente meglio preparata, e di fatto preluse a posizioni successive assunte dal cattolicesimo italiano (ancora intransigenti, ma anche neoguelfe e liberali); l’altra laica, della quale è interessante notare la complessità e la diffusione in misura diversa in ognuno degli stati dell’Italia preunitaria11.

Per seguire gli sviluppi della cultura di questo periodo e comprenderne le dinamiche è quindi necessario guardare dapprima a cosa accade in Francia all’indomani dei fatti del 1789.

1.1. Vita storica e ribollire delle idee in Francia

La Rivoluzione era stata un rivolgimento colossale, che aveva travolto istituzioni, mentalità, costumi. Essa aveva aperto una breccia nella vita di ogni singolo abitante della Francia, scuotendola in profondità. Aveva abbattuto i pilastri su cui si fondavano

9 È interessante osservare, a conferma di questo, che gli stessi moti degli anni Venti costituirono una cesura, in quanto le modalità partecipative, così come le finalità sul piano sociale e politico-istituzionale, segnarono in un certo qual modo l’inizio del Risorgimento. Con questi movimenti rivoluzionari sarebbe terminata la Restaurazione, sia perché avrebbe visto la luce l’“opinione pubblica” (con annessa una grande fioritura di giornali e opuscoli), sia perché sarebbe mutato il modello istituzionale patrocinato dai patrioti. Cfr. M. S. Corciulo, La Restaurazione: una definizione da ripensare? in L’età della Restaurazione in Italia. Interventi a

cura di Cristina Cassina, pp. 537-540.

10 Per l’uso di questi termini cfr. N. del Corno, Gli “scritti sani”. Dottrina e propaganda della reazione italiana dalla Restaurazione

all’unità, Franco Angeli, Milano 1992, p. 7.

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19 le esistenze: ognuno aveva un conto aperto con la grande Rivoluzione. Napoleone, da parte sua, aveva rimandato il saldo di questi conti, in quanto era riuscito a prospettare un mito di tipo imperialistico che riuscì in qualche modo a imporre una tregua, un assopimento delle polemiche12.

Col ritorno dei Borbone, le forze rimaste assopite riemersero in modo energico, grazie al clima di libertà garantito della Charte13. Il fermento sociale di questa fase fu

fortemente spontaneo. I francesi avevano fatto esperienza di qualcosa che aveva scosso gli schemi elaborati nel Settecento. Adolfo Omodeo ha affermato che “la vita [aveva] rotto l’equilibrio un po’ pigro del mondo settecentesco”, lasciando così emergere le più svariate voci14. Gli uomini erano stati sradicati dall’uragano rivoluzionario e non c’era

consolazione per il mondo perduto.

Gli interessi che riaffiorarono o tentarono di consolidarsi furono molteplici: uomini di ritorno dall’esilio, quelli che erano scesi a compromessi con le istituzioni napoleoniche, i vecchi giacobini, i bonapartisti, la massa enorme dei proprietari delle terre distribuite dalla Rivoluzione, i nobili ed il clero usurpati di beni e privilegi, gli antichi notabili esautorati dai funzionari napoleonici, gli “uomini nuovi”, ossia i borghesi che volevano difendere le conquistate posizioni sociali, i giovani, con il loro spirito moderno e lo sguardo rivolto verso il futuro, i quali volevano conservare alcune libertà conquistate dalla Rivoluzione. Questo ribollire della società permette di farsi un’idea della quantità strabordante di giornali, opuscoli, polemiche e dibattiti che inondarono lo spazio culturale pubblico in Francia.

L’analisi condotta da Omodeo sul mutamento di sensibilità che si manifestò in quei decenni è illuminante. Gli uomini si portarono dietro un’esperienza vissuta e arricchita che lasciava la visuale intellettualistica del Settecento: “Nel mondo si

12 S. Fontana, La controrivoluzione in Italia (1820-1830), Morcelliana, Brescia 1968, p. 15.

13 La carta costituzionale octroyée fu una forma di carta costituzionale di cui la Francia dispose dal 1814. Il nome lascia ben intendere che fu “concessa” dal sovrano, Luigi XVIII, dal quale fu anche scritta con l’aiuto dei suoi più stretti collaboratori, quindi senza l’intervento di un’assemblea costituente.

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20 sperimenta un palpito della propria spiritualità, senza bisogno ancora dell’esplicazione della sintesi a priori kantiana”15. Questa esperienza si espresse in un primo momento

nell’arte e nella letteratura: in Italia, per esempio, con Ugo Foscolo; in Francia, soprattutto, con François-René de Chateaubriand16. Erano stati scossi gli schemi

dottrinali nati nei salotti dell’Antico Regime e l’equilibrio del mondo settecentesco si era rotto.

Chateaubriand “sapeva rievocare con la tristezza infinita della nostalgia forme di vita che s’erano spente nella cruda luce dell’intellettualismo rivoluzionario, fantasmi di monastero e di cattedrali gotiche […].”17 Per Omodeo non si trattava soltanto di uno

sviluppo sentimentale, di proto-romanticismo, ma di un movimento vitale più vasto (che comunque, aggiungerei io, includeva le radici di una sensibilità romantica).

L’esperienza storica dei turbolenti anni rivoluzionari era stata feconda di una nuova visione del mondo, visione che non poteva essere ottenuta dall’astratta dialettica delle filosofie universitarie, ma da una grande esperienza di vita storica: il motivo delle passioni quali sorgive della vita procedeva da Shaftesbury passando per Rousseau.

Ne nacquero svariati atteggiamenti non unidirezionalmente legati al sentimentalismo, nei quali Omodeo ha collocato, ad esempio, lo spregiudicato realismo politico di Napoleone e il ricco sentimento storico di Sismondi (ossia il saper cogliere, oltre l’antimedievalismo prevenuto, la libertà politica manifestatasi nella vicenda delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo)18. Questa visione, figlia della Rivoluzione e

schiacciata durante l’Impero, ora si liberava. La fecondità del dibattito aveva come conseguenza lo stabilirsi di “affinità intellettuali oltre i dissensi politici: c’era una grande unità di consorzio pur nel dissenso delle idee”19. Rapidamente però emerse la

necessità di creare ordine e definirsi.

15 Ibidem. 16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 Ivi, p. 30. 19 Ivi, p. 31.

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21 La cultura francese della Restaurazione, quindi, nella sua prima fase emerse a partire da idee sviluppate dal basso, mantenendo strettamente unite politica e cultura. Essa, in questi anni, procedette cercando risposte alle varie questioni impellenti, sperimentando vie diverse entro la realtà dell’esperienza storica. I dibattiti infiammavano i salotti, i giornali e gli opuscoli. La vivacità del dibattito politico permise di cogliere problemi nuovi e adottare soluzioni nuove. La visione storica si trasformò a contatto con la dimensione politica, aprendosi a spunti che avranno sviluppo compiuto con la storiografia romantica.

1.2. La società francese fra convergenze e divergenze

La società che emergeva dalla Rivoluzione e dall’esperienza imperiale rivendicava nel dibattito e nelle discussioni esigenze che venivano patrocinate e riorganizzate da autori e pensatori radicati in orizzonti ideali diversi.

Ora, dal punto di vista politico, questi motivi tesero, dopo la caduta di Napoleone, a delinearsi e a contrapporsi prevalentemente lungo quattro filoni, mostrando tuttavia, a livello di riflessione intellettuale, non pochi elementi di contatto. Una corrente liberale, tutt’altro che omogenea, si affermò in modo progressivo, rifugiandosi fino al 1816 si nell’alveo dei “costituzionali”. All’interno di essa troviamo Benjamin Constant e Gilbert de La Fayette. Furono essi avversari dell’Antico Regime, delle sue norme e dei suoi principi, ma furono altresì liberali in senso politico ed economico. Tendevano quindi a difendere gli interessi materiali, figli della Rivoluzione, e insieme ad essi quelli morali: sicurezza, uguaglianza civile, libertà di coscienza e di culto, libertà di stampa ecc. Il loro modello era la costituzione del 1791, che permetteva di stemperare la “sovranità popolare”; erano inoltre ostili all’influenza politica della Chiesa (per esempio, criticavano i gesuiti). Rappresentavano la borghesia degli affari e l’aristocrazia moderna, contrapposta a quella antica di matrice feudale. Erano fautori della libertà sotto tutte le forme.

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22 Vi erano poi i cosiddetti dottrinari, maggiormente orientati verso il centro, detti anche “costituzionali”, perché accettavano sì la charte, ma volevano farla evolvere in senso liberale. Erano pochi, essenzialmente intellettuali prestati alla politica. Non era loro desiderio fondare il potere sui diritti degli individui, in quanto le degenerazioni della Rivoluzione ne avevano mostrato i limiti. Volevano piuttosto ricostruire una società avente in sé i propri freni. Per loro, il potere doveva essere frazionato al fine di garantire alle libertà pubbliche di sbocciare e di essere preservate, così da formare una sorta di “monarchia mista”. Questo gruppo tenterà di realizzare il proprio progetto politico tra il 1816 e il 1820. François Guizot ha riassunto il loro arduo intento dicendo che essi volevano “separare la causa della monarchia da quella dell’Antico Regime e la causa della libertà politica da quella delle teorie e delle passioni rivoluzionarie”.

Importanti poi, ai fini del nostro discorso, furono gli ultrarealisti, influenzati dal pensiero di de Maistre e di de Bonald, i quali odiavano appassionatamente la Rivoluzione nei principi, negli atti e negli effetti. Ai loro occhi l’ordine della società e il potere politico avevano derivazione divina ed erano concessi dalla Provvidenza. La Chiesa cattolica era il loro punto di riferimento imprescindibile. Vi era infine un ultimo gruppo, che restò un po’ ai margini della scena intellettuale e politica francese, almeno fino al 1830, quello dei bonapartisti e dei repubblicani20.

Le tematiche affrontate nel fermento culturale della prima fase post-rivoluzionaria francese ebbero importanti zone di contatto: un continuo richiamo alla stabilità, all’ordine e alla pace dopo anni di guerre, così come alla necessità di una profonda rigenerazione morale e religiosa (non necessariamente cattolica), come già osservato da Omodeo: Jouffroy fece appello ad una nuova fede, lo stesso Constant si fece promotore di una sorta di teismo mistico, mentre madame de Staël pensò che si fosse alla vigilia di uno sviluppo del cristianesimo21.

20 D. Barjot, J-P. Chaline, A. Encrevé, Storia della Francia nell’Ottocento, il Mulino, Bologna 2003, pp. 136-138. 21 S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia, p. 53.

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23 Madame de Staël e Benjamin Constant furono profondamente legati agli

idéologues22, ai quali propriamente appartenne invece Théodore Jouffroy. La de Staël e

Constant condivisero con questa corrente intellettuale la fede nella perfettibilità dell’uomo in società, una prospettiva politica liberale-moderata orientata allo stato costituzionale e possibilmente repubblicano, l’entusiasmo prima e l’avversione poi per il regime napoleonico.23 Questi autori formarono un resistente baluardo verso

l’ultramontanismo e il cattolicesimo reazionario. Contro la nuova apologetica prese posizione proprio Jouffroy (Come muoiono i dogmi, 1823). La sua critica consistette nel rinunciare all’astrattezza e alla separatezza della religione e nel trasferire questa dentro la vita storica dell’umanità. Furono rigettate, anche in queste manifestazioni dello spirito religioso, le filosofie e teologie astratte, tipiche delle università tedesche. In questa prospettiva il dogma divenne una posizione spirituale sempre sorpassabile, mai definitiva24. Per Jouffroy la reazione si configurava come “brutale difesa di interessi

egoistici e materiali”25. Nella sua ottica sarebbe dovuta emergere una nuova

generazione, “libera dai pregiudizi e dagli egoismi conservativi e dallo scetticismo inaridente della cultura rivoluzionaria”26. Per questa generazione, dice Jouffroy, il

vecchio dogma era senza autorità, “[…] il nuovo scetticismo ha ragione contro quel dogma, ma ha torto in sé stesso: quando ha distrutto non resta nulla. E di già questi figli han sorpassato i loro padri [lo scetticismo rivoluzionario e imperiale], e han sentito il vuoto delle loro dottrine; una fede nuova si presenta in essi: […]. In loro è la speranza di giorni nuovi.”27 Qui ribolle il pathos di una fede nella virtù e nella verità, in una

22 Idéologues è un termine dispregiativo con cui Napoleone definiva coloro che per lui sostenevano idee astratte, non connesse con la vita concreta. In realtà questi intellettuali, eredi dei philosophes e della cultura illuministica, miravano ad un riformismo laico ed antiautoritario. Cfr. G. Cambiano, M. Mori, L. Fonnesu (a cura di), Storia della filosofia occidentale. Dal moderno al

contemporaneo, vol. 5, il Mulino, Bologna 2014, p. 190 e S. Moravia, Il tramonto dell’illuminismo. Filosofia e politica nella società francese (1770-1810), Laterza, Bari 1968, cit., p. 14.

23 S. Moravia, Il tramonto dell’illuminismo, cit., p. 13. 24 Omodeo, Studi, cit., pp. 166-167.

25 Ivi, cit., p. 168 26 Ivi, cit., p. 169. 27 Ivi, cit., p. 170.

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24 provvidenza “che si chiama anche forza delle cose”28 e non abita fuori del consorzio del

mondo.

Vicino a Jouffroy fu Benjamin Constant. Anche la sua fu una polemica contro l’autoritarismo e contro l’imperante ultramontanismo, manifestando l’atteggiamento tipico del liberalismo ginevrino e di un protestantesimo che si risolveva nella libertà, tratti caratteristici del circolo radunatosi attorno a Madame de Staël a Coppet. La religione, per lui, svolgeva la sua funzione vitale nel riconnettere l’individuo col mondo. Era qui riabilitato l’antropocentrismo al posto dell’intellettualismo settecentesco:

Nella credenza antica soggiogata dalla filosofia l’uomo era abbassato al livello di atomo impercettibile nell’immensità dell’universo. La forma nuova [il cristianesimo] gli rende il posto di centro di un mondo che è stato creato per lui solo per lui: è insieme l’opera e il fine di Dio. […] Se si colloca la grandezza in ciò che veramente la costituisce, ve n’è di più in un pensiero fiero, in una commozione profonda, in un atto di devozione, che in tutto il meccanismo delle sfere celesti.29

Il cristianesimo per lui “oscillava incerto dinanzi agli uomini dell’età nuova”, e tendeva a formularsi nelle forme della religione della libertà30. Quest’ultima era il grido

dell’anima verso l’ignoto e verso l’infinito, mai domabile del tutto. I lumi potevano estinguere le sue forme particolari, ma mai la religione in sé, la quale era vista dallo scrittore francese come “una specie di sopra natura della stirpe umana che oltrepassa[va] i bisogni degli altri esseri”31. Essa trapassava perennemente da forma a

forma.

Anche Madame de Staël fu una figura centrale della cultura europea di questo scorcio di secolo. Omodeo, in poche magistrali righe, dice di lei:

[…] dietro la caligine sanguinosa in cui la tragedia rivoluzionaria appariva agli uomini della Restaurazione, [Madame de Staël] disvelò alle nuove generazioni l’ideale grande di una civiltà liberatrice, un arcano che i

28 Ibidem.

29 Ivi, cit., p. 176. 30 Ivi, cit., p. 178. 31 Ivi, cit., p. 181.

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superstiti dell’89 eran ritrosi, dopo tante vicende e sofferenze, a comunicare per accendere di nuovo i cuori. La libertà risorgeva non solo come ordinamento costituzionale, ma come entusiasmo.32

Insieme a Constant, si rivolse anch’essa verso forme di consolazione mistica, accogliendo a Coppet i rappresentanti del quietismo valdese e ginevrino33.

Esisteva quindi in questa fase storica una certa predisposizione ad accogliere il messaggio di rigenerazione religiosa, morale e sociale. Si avvertiva un impellente bisogno di ricostruzione della nuova società su basi più solide da parte di tutte le forze politiche e culturali della Restaurazione.

2. Il cattolicesimo francese e le missioni

La situazione della Chiesa cattolica in Francia dopo la Rivoluzione era quella di un istituzione martoriata dal grande rivolgimento. La cultura cattolica si mosse all’interno di questo contesto, cercando soluzioni e strade per ripristinare il ruolo di preminenza che aveva posseduto nel periodo prerivoluzionario. Di fatto essa incontrò sempre una favorevole disposizione d’animo da parte degli uomini di governo della Restaurazione. Essa era riconosciuta quale cardine istituzionale e morale su cui poggiavano l’ordine e la stabilità dei governi, fatto che le offriva grandi possibilità di ripresa organizzativa e penetrazione nei contesti decisionali. La stessa opinione pubblica, dopo i traumi vissuti, come abbiamo detto, aveva sviluppato un diffuso desiderio di tranquillità e una sensibilità spirituale vicina alla fede religiosa.

Critiche erano invece le condizioni concrete dell’organizzazione della Chiesa sul territorio. La Costituzione civile del clero34 aveva smantellato le tradizionali strutture

32 Ivi, cit., p. 210.

33 Cfr. AA.VV., Storia della letteratura francese, Vol. II, Garzanti, Milano 1991, p. 141.

34 Fu approvata dall’Assemblea Nazionale della Francia rivoluzionaria nel luglio 1790: la legge modificò la geografia delle diocesi che vennero fatte corrispondere ai dipartimenti; parroci e vescovi dovevano essere eletti dalle assemblee elettorali locali; la conferma dei vescovi doveva provenire dagli arcivescovi e non più dal papa. Nel novembre 1790 si impose a tutti gli ecclesiastici di giurare fedeltà alla costituzione, pena la sospensione delle loro funzioni. Questo tentativo di trasformare gli ecclesiastici in funzionari statali causerà una spaccatura profonda fra la chiesa e lo stato rivoluzionario.

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26 organizzative e spaccato lo stesso clero. Il concordato napoleonico35 permise una

ripresa organizzativa, in particolare ripristinando l’autorità del Papa nell’istituzione dei vescovi. Tuttavia, la Chiesa sotto Napoleone era diventata instrumentum regni, con la conseguenza che la religione aveva diminuito il proprio raggio di azione e teso a ritirarsi. Questo processo, nota lo storico Sandro Fontana citando Omodeo, conobbe valutazioni critiche anche da parte di uomini lontani dal cattolicesimo intransigente, come Constant36.

La caduta di Napoleone aveva messo a nudo le condizioni della Chiesa francese come istituzione ma anche come comunità di credenti. Essa si ritrovava in una situazione di miseria spirituale molto forte: giovani cresciuti come pagani, matrimoni irregolari a causa delle unioni civili, divorzio e concubinato, famiglie smembrate, assenza di vocazioni, seminari chiusi, ignoranza del clero, inclinazione alla superstizione più grossolana. Tutto questo mostrava la necessità di agire in fretta, con mezzi tuttavia poveri e inadeguati.

Di fronte alle impellenti esigenze evidenziate da questa crisi, la prima iniziativa che prese corpo fu quella delle missioni. Si trattò di una risposta immediata, quasi istintiva. Il loro obiettivo di fondo era la riconquista della Francia al cattolicesimo. Il nemico era tutto ciò che era stato contaminato dalla Rivoluzione. Si trattava di un’impostazione che rifiutava il tradizionale giansenismo e gallicanesimo37 della Chiesa di Francia e

rigettava ogni compromesso col secolo precedente.

35 Cfr. infra, p. 54.

36 S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia, p. 22.

37 Il giansenismo è una corrente teologica che fa capo ad un agostiniano, Giansenio (1585-1638). Essa si sviluppa in Belgio e Olanda in seguito al testo scritto dal suo iniziatore e pubblicato postumo, intitolato Augustinus, il quale fu condannato dall’Inquisizione nel 1641, dal papa Urbano VII nel 1642 e da Innocenzo X nel 1653. I temi sotto accusa furono la questione della grazia, il libero arbitrio, il peccato universale e la redenzione. Altri aspetti rilevanti del giansenismo furono il rigorismo morale, l’episcopalismo (contro il primato papale), la centralità della Bibbia e dei padri della chiesa. Il centro più importante fu l’abbazia di Port-Royal. In Italia il giansenismo si diffuse in particolare in Lombardia e Toscana.

Il gallicanesimo fu un insieme di tendenze dottrinali e di atteggiamenti politici propri della Francia sotto la monarchia, sostanzialmente relativi a: 1) estensione in Francia dell’autorità del capo della chiesa cattolica; 2) relazioni di questa autorità con l’autorità politica francese. Viene contestato il potere assoluto del papa, in favore dei consigli generali della chiesa e del sovrano. Tendenze autonomiste nel cattolicesimo francese iniziarono a manifestarsi già nel medioevo, ai tempi del conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII. Tra Cinque e Seicento questa tendenza si rafforzò e gli venne data una forma sistematica.

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27 La lotta che questi missionari furono costretti a condurre condizionò la loro religiosità: di fronte al tentativo di negare alla religione cattolica ogni diritto come corpo sociale, messo in atto da Napoleone (il quale concepiva l’attività ecclesiastica come servizio pubblico supplementare, che non doveva agire come corpo: vescovi e sacerdoti dovevano rimanere isolati nelle loro diocesi o parrocchie), essi cercarono di riportare la Chiesa in mezzo alla società, e in particolare cercarono di farne il pilastro fondamentale, evidenziandone l’utilità sociale prima ancora che la missione salvifica.

Il nemico principale venne individuato nell’incredulità e nell’indifferenza religiosa, punto di partenza di un filone di riflessione che sarebbe stato sviluppato ampiamente e con enorme influenza da Lamennais. Grande attenzione, allora, sarebbe stata rivolta alle manifestazioni esteriori e alle opere esterne, tali da ri-sacralizzare la realtà e ogni manifestazione umana. Al tempo stesso, emerse anche la necessità di espandersi all’interno delle leggi, dei corpi sociali e tra le élites di potere, lottando contro le diverse forme di agnosticismo e laicismo. Tutto questo avrebbe portato alla scomparsa delle vecchie dispute teologiche e aperto la strada a nuove forme di apostolato.

3.

I protagonisti

I tentativi di fornire risposte al fine di far fronte ad una situazione a dir poco drammatica vennero recepiti, riorganizzati e riproposti in modo organico da alcune figure che tentarono di fornire un’ossatura speculativa a questo magma sociale. Il mio interesse si soffermerà sulle figure più importanti dell’ultramontanismo38, così come su

figure appartenenti al cosiddetto filone neocattolico.

Sicuramente le polemiche degli intellettuali intransigenti, se da una parte si innestavano sul fluido contesto culturale, dall’altra ereditavano la riflessione di colui che fu uno tra i primi a sviluppare una critica serrata della Rivoluzione già negli anni

38 È definita in questo modo la tendenza che riconosceva alla Santa Sede la giurisdizione su tutta la Chiesa e una funzione accentratrice della vita di essa. Questa visione della supremazia papale andava a toccare anche la società e la vita politica degli stati.

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28 Novanta del Settecento: Edmund Burke. Dalle sue osservazioni emersero, a mano a mano, i presupposti ideologici della reazione.

Tali personalità furono espressione di una cultura dialetticamente legata al fenomeno cui si tentava di reagire, ossia la Rivoluzione. Questa, secondo Fontana, fu parimenti la loro forza e la loro debolezza39 (così come di tutta la corrente reazionaria).

Si è già accennato, relativamente a questo filone di pensiero, a come fosse preponderante la volontà di ridurre la religione alle sue funzioni sociali e alle sue manifestazioni esteriori, in modo da ricreare l’unità infranta su basi prettamente organizzative. Tutto questo avrebbe comportato il venir meno della dimensione privata dell’esperienza religiosa, il contatto tra Dio e l’uomo. Si era infatti eccessivamente preoccupati di frapporre fra i poli della relazione una serie di mediazioni ideologiche, organizzative, disciplinari e politiche estremamente rigide, offerte quali verità inappellabili40. È necessario sforzarsi di capire le ragioni che resero questa cultura così

impermeabile ai valori che la coscienza moderna aveva acquistato con l’Illuminismo e la Rivoluzione. Essa nasceva in contrapposizione alla frattura rivoluzionaria, risentiva dello choc causato da essa e si nutriva dialetticamente del rifiuto di ogni sottoprodotto della Rivoluzione, della quale, contrariamente a quello liberale, il pensiero reazionario fu incapace di cogliere ed assimilare i valori autentici. Questo limite caratterizzerà buona parte della cultura cattolica francese e italiana nel corso dell’Ottocento.

Tuttavia, l’incapacità di cogliere questo potenziale non significò totale chiusura all’avvenire. È interessante notare, sulla scia di Teresa Serra, che la polemica controrivoluzionaria, nascente dal “terrore del Terrore”, riuscì a gettare uno sguardo attento sull’ordine da instaurare. Se l’Illuminismo aveva assunto il ruolo di pensiero critico dissolvente, la fase successiva alla Rivoluzione assunse il ruolo di autocritica di questo pensiero, tendendo a ricondurre la ragione entro più giusti limiti, ancorandola a

39 S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia, p. 57. 40 Ivi, p. 59.

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29 quella storia di cui era figlia41. Il XIX secolo, al suo nascere, si guardava alle spalle, e

attraverso il sangue del Terrore raggiunse la consapevolezza della necessità di superare l’astrattismo rivoluzionario in direzione di una più vasta riorganizzazione culturale, morale e politica. Nelle parole di Louis de Bonald, “solo la morte” ebbe “pieno successo”42. Anche Michele Battini ritiene che l’orizzonte di questi autori non si sia

risolto in una nostalgica restaurazione, ma nel “superamento positivo” del mondo destrutturato dall’individualismo della ragione astratta43.

Tutto questo mostra, da una parte, la capacità di reagire alle sollecitazioni dei tempi, dall’altra le lacune nel decifrare le trasformazioni in corso, delle quali questi uomini non riuscirono a comprendere il senso e nemmeno le aspirazioni e i valori più genuini.

In questo senso, in seno ai controrivoluzionari, possiamo iniziare a intravedere lo spirito che li sosteneva. La necessità di rinnovamento, la volontà di superamento della disorganizzazione individualistica della ragione illuminista e della Rivoluzione, e ancora il desiderio di rifondare la società su basi più sicure44 dimostrano che questi

autori avevano colto le contraddizioni e le debolezze del processo storico in atto, ma non gli elementi potenziali. La tradizione forniva un grande universo da cui attingere le risposte. Se è vero che lo slancio di rigenerazione raccoglieva consensi e convergenze sui temi di fondo, in quanto capace di mobilitare aspettative e sensibilità diffuse, la spaccatura appariva incolmabile nel momento in cui alla critica seguivano le proposte per attuare questa riorganizzazione.

È sul piano di queste proposte che le strade dei diversi apologeti si divaricarono: alcuni rigettarono la modernità in blocco; altri seppero cogliere le novità che non

41 T. Serra, L’utopia controrivoluzionaria. Aspetti del cattolicesimo “antirivoluzionario” in Francia (1796-1830), Guida Editori, Napoli 1977, p. 15.

42 Ivi, p. 16.

43 M. Battini, L’ordine della gerarchia, cit., p. 72. 44 T. Serra, L’utopia, cit., pp. 17-18.

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30 potevano essere banalmente eclissate, proponendo una sintesi. Vediamo in dettaglio le varie posizioni.

3.1. Edmund Burke

Edmund Burke (1729-1797) non fu un cattolico francese, ma un anglicano irlandese. Eppure, la sua influenza sulla corrente tradizionalista cattolica fu tale che non possiamo esimerci dal richiamarlo. La sua opera, le Riflessioni sulla Rivoluzione

francese, fu pubblicata nel 1790. Il suo pensiero si presentò inizialmente come liberale,

in quanto legato alla vitalità e allo sviluppo delle idee tipiche dell’Inghilterra, distante dall’universalismo e dall’astrattismo che emerse dal pensiero francese dei Lumi. Eppure, già dai suoi primi scritti emerse una spiccata originalità, che per certi aspetti anticipò le sue più mature riflessioni sul conservatorismo politico. Caratteristica di questi primi lavori è la necessità di valorizzare l’esperienza storica e parimenti quella di non sovvertire, tramite esperimenti nuovi, i principi consolidati sulla base del passato.

In questa sua concezione, Burke si dimostra essenzialmente uno scrittore politico, e la storia stessa è ingrediente delle sue inclinazioni politiche45.

Non intendo addentrarmi nel pensiero di Burke, perché esula dal mio oggetto. È però importante mostrare in che senso egli sia stato forse il primo a cogliere gli aspetti contraddittori del moto rivoluzionario. La Rivoluzione aveva dato sostanza politica a una serie di principi teorici (i diritti dell’uomo e la stessa opera legislativa della costituente) che non erano applicabili praticamente. Ogni riforma politica che non fosse il risultato dell’esperienza storica e sociale di un dato popolo era fallace. Profetizzò che l’esperimento francese avrebbe condotto ad una dittatura militare e mise in evidenza la situazione disastrosa, a livello economico, prodotta dai fatti dell’Ottantanove46.

45 Furio Diaz, Rivoluzione e Controrivoluzione, in L. Firpo (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali. L’età

moderna, vol. IV, tomo II, Unione tipografico-editrice torinese, Torino 1975, p. 684.

(31)

31 La critica più importante che Burke mosse alla Rivoluzione fu però quella che toccava il linguaggio politico dei capi di questa: ogni questione riguardante la cosa pubblica veniva coperta col concetto di libertà. “Che cos’è la libertà – si chiedeva Burke – senza saggezza e senza virtù? È il più grande di tutti i mali possibili perché è follia, vizio e pazzia senza ritegno e senza freno.”47

Dalle sue osservazioni critiche, tra le più obiettive ed intelligenti, a mano a mano che si dispiegavano le conseguenze da esso previste, emergevano i presupposti ideologici della reazione.

3.2. Joseph de Maistre

Joseph de Maistre (1753-1821) fu una figura di primo piano della cultura europea del tempo. Il suo percorso di vita in brevi cenni può aiutarci a comprendere lo sviluppo del suo pensiero. Fu nativo di famiglia borghese, entrata a far parte dell’aristocrazia per meriti acquisiti al servizio dello Stato sabaudo (il padre ottenne il titolo di conte). Una vita semplice ed austera (non intaccata dalla alterigia aristocratica), la profonda religiosità della madre e l’educazione presso i gesuiti plasmarono in lui una coscienza cristiana molto forte.

Si formò in gioventù sui testi della tradizione classica e cristiana, da Platone a Origene, da Plutarco a Tommaso d’Aquino, ma anche su quelli dei mistici e degli scrittori esoterici. Questi interessi lo portarono ad aderire alla massoneria48. Molti

affiliati alla massoneria (pure essendo questa giudicata negativamente da due papi, Clemente XII e Benedetto XIV) ritenevano che attraverso un approfondimento esoterico dei dogmi fosse possibile riunire le chiese cristiane.

La Rivoluzione lo spinse a scrivere nel momento in cui, dalla sua prospettiva, emerse la coscienza che essa non si limitava ad attaccare l’assolutismo in quanto tale,

47 E. Burke, Scritti politici, a cura di A. Martelloni, UTET, Torino 1963, p. 440 (cfr. F. Leoni, Storia della controrivoluzione, cit., p. 14).

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