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4. La Chiesa contro L’ideologia di cristianità

4.2. La Rivoluzione e il mito della cristianità medievale

Il paradigma del rapporto tra Chiesa e società che emerse agli inizi dell’Ottocento volle fondamentalmente rispondere alle trasformazioni intercorse a partire dagli eventi del 178947. I principi della Rivoluzione, figli della cultura dei lumi, che avevano

condotto al Terrore giacobino, vennero visti come minanti l’intero edificio della società. All’indomani dagli eventi rivoluzionari, in particolare alla luce del processo radicale di

46 Ivi, p. 22.

115 scristianizzazione messo in atto dai giacobini, temi, elementi ed istanze già emersi in modo sparso all’interno della cultura cattolica iniziarono ad essere radunati e rielaborati in forma più chiara.

Una prima revisione riguardò il rapporto tra protestantesimo e insubordinazione sociale, che in prima accezione prese la forma delle tesi del complotto protestante come causa immediata della Rivoluzione; poi si giunse alla delineazione di una genealogia politico-culturale che aveva come ultimo tassello della catena di degenerazioni, figliate dalla Riforma, la Rivoluzione stessa. Le varianti di queste declinazioni sarebbero state molte. Le tesi proposte da Nikolaus Diessbach nel 1791 si basavano proprio su questa impostazione, così come quelle elaborate dall’ex gesuita Augustin Barruel tra il 1797 e il 1799, il quale vide nella Rivoluzione il prodotto di una cospirazione massonica iniziata con le eresie medievali48.

Lo schema del rapporto tra Riforma e Rivoluzione assunse connotati più nitidi dopo la scristianizzazione dell’anno II. Nell’opinione di un prete emigrato, H. G. Le Sage, la Rivoluzione fu il punto culminante di un processo avente l’obiettivo di distaccare la Francia dalla religione49. Ad un esito simile giunse padre Pierre-Joseph

Picot de Clorivière, il quale sostenne che la degenerazione avrebbe condotto all’apocalittico scontro finale tra bene e male aperto dagli eventi dell’Ottantanove50. La

seduzione satanica era all’origine della catena di errori iniziati con la Riforma. Solo culti riparatori avrebbero potuto placare l’ira divina, i quali avrebbero al contempo favorito il ripristino di una monarchia cattolica51.

In questi autori però non c’era ancora l’appello al ritorno alle relazioni sociali del periodo precedente la Riforma. Dopotutto, il paradigma della cristianità medievale era lo schema di un progetto teologico-politico onnicomprensivo che investiva anche i rapporti tra la Chiesa e la società civile, prospettando il ritorno a relazioni di tal fatta.

48 G. Miccoli, La chiesa cattolica, cit., pp. 24-25. 49 Ibidem.

50 Ibidem. 51 Ivi, p. 26.

116 Tuttavia, a partire proprio dai primi anni della Rivoluzione, parallelamente all’evoluzione del nesso tra di essa e la Riforma, si sviluppò un nuovo schema che sarebbe arrivato a saldarsi con quello, contribuendo alla sua assimilazione di un significato medievalistico: si tratta dall’analogia tra Rivoluzione e invasioni barbariche.

La tesi che le masse in rivolta riproducessero internamente l’assalto alla civiltà effettuato esternamente dai barbari non nacque in ambienti cattolici. Tuttavia, la cultura cattolica controrivoluzionaria assimilò rapidamente questa visione, enfatizzando il fatto che il cristianesimo dovesse assumere il ruolo civilizzatore e direttivo che aveva al tramonto della classicità52. Su questa scia si collocava l’auspicio

alla ricomposizione della società cristiana medievale.

All’altezza del 1793, de Bonald compose il trattato Teoria del potere politico e

religioso nella società civile, in cui sistematizzò questo orientamento e gli fornì una

articolazione più compiuta. Al pensiero di de Bonald aggiungo solo una riflessione sulla concezione della cristianità medievale. Le proposte dell’apologetica cattolica già in età rivoluzionaria approntarono i materiali per la successiva elaborazione e articolazione del pensiero ultramontano e intransigente. In questo testo di de Bonald si evidenziava la brusca interruzione, ai tempi di Lutero e Calvino, del processo di continuo perfezionamento iniziato nel corso del Medioevo. La piaga della Riforma, per il visconte, avrebbe continuato a produrre i suoi effetti disgregatori fino a quando non fosse stata eliminata col ripristino dell’organizzazione gerarchica e sacrale della vita associata nella respublica christiana medievale.

Ritorno al Medioevo cristiano, controllo della Chiesa sui rapporti sociali, ricostruzione della civiltà degenerata dalla Riforma erano elementi che emergevano uniti in una narrazione coerente, e tali sarebbero proceduti da allora in avanti. Lo stesso Edmund Burke riteneva che ogni aggregazione sociale avesse un fondamento

52 Ibidem.

117 religioso e un’origine teocratica, sottolineando che la civiltà europea era inscindibilmente legata all’impronta lasciata dal Medioevo53.

Questo orientamento si tradusse rapidamente nella volontà politica della riconquista dello Stato e della società, da attuarsi per mezzo del più classico strumento dell’epoca medievale: la crociata. De Maistre, nelle Considerazioni sulla Francia del 1796, già mostrò queste intenzioni controrivoluzionarie, al fine di far tornare la Francia alla teocrazia medievale. Anche le Riflessioni sul protestantesimo, che scrisse in quegli stessi anni (ma che sarebbero state pubblicate postume), lasciano emergere la sua adesione all’idea del rapporto genealogico tra Riforma e giacobinismo.

Giovanni Marchetti, di cui ho già detto, scrisse nel 1797 un opuscolo intitolato Che

importa ai preti, in cui riprendeva l’esortazione papale a lanciare una guerra di

religione finalizzata a ricomporre la società cristiana e a ristabilire “l’ordinatissima repubblica di Gesù Cristo”54. Tale progetto, tuttavia, in questa fase non raccolse molti

consensi. La curia romana si mostrò interessata, ma mancava l’appoggio politico delle corti europee55.

In realtà, anche i fautori di un orientamento radicalmente diverso, quale quello della democrazia cristiana, non uscivano dall’orizzonte di una “società cristiana” in cui la Chiesa, sebbene separata dal potere politico, conservasse il potere di legittimazione dei comportamenti collettivi e continuasse a dirigere la vita del consorzio civile per egemonia (e non per coercizione). In sostanza, l’idea di fondo era quella di una ricostruzione della società cristiana e cattolica declinata, dalla parte dello scontro con la modernità, nel recupero del modello della cristianità medievale, modello che si differenziava dalla proposta della Chiesa precostantiniana56.

53 Ivi, pp. 26-27.

54 G. Marchetti, Che importa ai preti ovvero l’interesse della religione cristiana nei grandi avvenimenti di questi tempi. Riflessioni

politico-morali, Cristianopoli [= Roma] 1797 [1 ed. 1796], p. 185.

55 D. Menozzi, La chiesa cattolica, cit., p. 29; G. Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., p. 27.

56 D. Menozzi La chiesa cattolica, cit., pp. 29-33. Secondo il parere di alcuni ecclesiastici francesi la Rivoluzione aveva infranto il legame antico creatosi a partire da Costantino tra assolutismo e gerarchia ecclesiastica. I principi rivoluzionari erano entrati in collegamento con il messaggio evangelico, il quale avrebbe costituito la legittimazione ultima proprio degli eventi dell’89. La

118 In ogni modo, sul finire del secolo, tese ad affermarsi l’indirizzo conservatore, fatto che portò la corrente precostantiniana, già fortemente minoritaria, ad estinguersi. Inoltre, l’avvento al soglio pontificio di Pio VII vide, come abbiamo detto, il ristabilimento dei rapporti con i governi che riconoscevano l’autorità e il ruolo sociale della Chiesa, i quali, dal canto loro, essendo in cerca di stabilità, si appoggiarono sul potere ecclesiastico. Tuttavia, i tempi erano ormai maturi perché l’opera dei romantici iniziasse l’edificazione del mito della cristianità medievale, mito che rafforzò i sostenitori del ritorno alla respublica christiana57.

Sulla scia dei romantici, a cavallo tra i due secoli, anche l’orizzonte della crociata medievale esaurì la sua carica, cedendo comunque il passo non ad una cristianità medievale, nostalgicamente rievocata e chiusa nel proprio orizzonte, ma ad un rimpianto intellettuale capace di aprirsi al futuro. Il Genio di Chateaubriand è un esempio emblematico di quanto detto. Lo stesso Marchetti, in un discorso tenuto all’Accademia di religione cattolica di Roma nel 1804, intitolato Della socialità della

religione cristiana, abbandonò il riferimento alla guerra santa, invocando piuttosto il

ripristino dell’autorità pontificia. Il già citato Emery, dal canto suo, ripubblicò nel 1803 la sua antologia di testi di Leibniz, apportandovi modifiche fortemente significative, per esempio sopprimendo i testi caratterizzati da un tono di irrimediabilità per ciò che del passato era stato perduto, in particolare l’attribuzione al papa del potere di governo della società civile. La stampa cattolica dette notevole risalto all’opera (in Italia lo fece

L’Ape). Sebbene non tutto il mondo cattolico fosse sintonizzato sulle stesse frequenze,

quando de Bonald nel 1806 intervenne nel dibattito si fece portatore di un’opinione ormai largamente assodata, annunciando che era necessario ricostruire l’unità religiosa dell’Europa58.

chiesa così poteva tornare ad annunciare il messaggio autentico di Cristo, il quale era intriso dei principi democratici, esattamente come aveva fatto nei primi secoli, in epoca precostantiniana.

57 Ivi, p. 34. 58 Ivi, pp. 37-38.

119 Inoltre, giunsero dagli ambienti romantici ulteriori stimoli. Pochi anni dopo aver rigettato la posizione di Novalis, i fratelli Schlegel la ripresero e la rielaborarono, principalmente Wilhelm, nel Corso di letteratura drammatica59, in cui veniva

prospettata la rinascita dell’Europa cristiana esistita ai tempi di Carlo Magno. La sua successiva conversione al cattolicesimo e il suo insediamento a Vienna, città scelta come luogo da cui lanciare la battaglia culturale per la ricostruzione di uno Stato cristiano, costituirono manifestazioni concrete di questo orientamento ideologico. Il gruppo cattolico di Vienna era collegato alle Amicizie italiane, esercitando su di esse una certa influenza60.

La sconfitta di Napoleone e l’apertura dell’età della Restaurazione sembrarono profilare la vittoria, anche dal punto di vista politico, di coloro che prospettavano il ritorno alla società d’Antico Regime. In seno alla cultura cattolica e alla stessa curia romana, si moltiplicarono i fautori di un ripristino della cristianità medievale. Il clima della Restaurazione fu caratterizzato, come già ampiamente discusso, in particolare per quanto riguarda gli autori francesi, dalla volontà di avviare un simile processo di ricostituzione che guardava all’età di mezzo. Questa apologetica cattolica fu prevalentemente un’apologetica sociale, mirante a mostrare l’essenzialità del nesso tra Chiesa e società61. Lamennais, con il Saggio del 1817, e De Maistre, con Sul papa (1819)

e con Le serate di Pietroburgo (1821), mostrarono l’orientamento verso questa riedificazione, mossi anche dall’insoddisfazione per i governi restaurati62.

L’Italia non fu da meno, come abbiamo già avuto modo di vedere. Marchetti ribadì, nella voluminosa opera Della chiesa quanto allo stato civile, i temi già abbozzati all’Accademia di religione cattolica, sostenendo che solo gli ordinamenti civili che si lasciassero plasmare dalle direttive della gerarchia ecclesiastica e che riconoscessero

59 Cfr. W.A. von Schlegel, Corso di letteratura drammatica, Melangolo, Genova 1977; Schlegel tenne a Berlino nel 1801 le prime lezioni che ripeté rivisitate nel 1808 a Vienna. L’opera fu pubblicata ad Heidelberg nel 1809.

60 Cfr. Replica di G. Verucci in Chiesa e società, in La Restaurazione in Italia. Strutture e ideologie, Atti del XLVII congresso di storia del risorgimento italiano, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1976, p. 211 e supra cap. II.

61 G. Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., p. 28. 62 D. Menozzi, La chiesa cattolica, cit., p. 44.

120 nel pontefice la suprema autorità, esattamente come era avvenuto nell’età di mezzo, potevano raggiungere la costituzione perfetta. La stessa posizione emerse dalle

Amicizie.

Contribuivano poi ad un clima culturale favorevole alla riedificazione della cristianità medievale, come risposta alle trasformazioni moderne, i convertiti, in particolare quelli che dal protestantesimo stavano passando al cattolicesimo, tra i quali uno dei più influenti fu certamente von Haller63.

Negli anni Venti, questa ideologia sembrò capace di una effettiva egemonia culturale64. In Italia era l’epoca delle riviste di impostazione cattolica intransigente. Tra

le riviste francesi più rigidamente tradizionaliste è da segnalare Le mémorial

catholique, che alla metà degli anni Venti costituiva la punta di diamante della battaglia

per la Restaurazione integrale di una società cristiana medievale65. In questi anni il

gruppo attorno a tale rivista si spostò dall’attesa di uno spontaneo volgersi verso Roma da parte degli stati alla visione di un processo che doveva essere tradotto in realtà da un soggetto storico preciso, cioè l’insieme dei cattolici66. Era però necessario che anche la

curia romana facesse proprio il mito.

Fu a partire dalla Restaurazione che questo divenne un paradigma capace di orientare la visione papale in materia politica e sociale. Se il pontificato di Pio VII restò parco di tali orientamenti, la confluenza dei voti degli zelanti nel collegio cardinalizio su Della Genga e la conseguente salita di quest’ultimo alla cattedra di Pietro col nome di Leone XII, nel 1823, cambiò tuttavia le cose. Il nuovo pontefice denunciò tutte le conseguenze della Rivoluzione e della cultura dei lumi e invitò i principi cristiani a tradurre in norme le condanne papali. Fu ribadito il nesso tra autorità ecclesiastica ed autorità civile, proprio della società medievale, e questo risultò evidente dalle encicliche (Ubi primum del 1824 e Quo graviora del 1825). Ci fu inoltre un altro aspetto: in una

63 Cfr. G. Miccoli, Fra mito della cristianità, cit., p. 27; D. Menozzi, cit., p. 46. 64 D. Menozzi, La chiesa cattolica, cit., p. 47.

65 Il Mémorial riportò nel 1825 una recensione dell’Apologia di frate Battini. 66 D. Menozzi, La chiesa cattolica, cit., p. 51.

121 lettera al re Luigi XVIII, il papa lo esortò a far sì che la Francia si facesse portatrice di un nuovo ordine mondiale fondato sull’autorità del papato e della gerarchia anche nelle questioni temporali.

Leone XIII morì nel 1829 e il successore, Pio VIII, nel 1830. A lui seguì Gregorio XVI, il quale nel 1799 aveva già mostrato adesione piena alle idee di uomini del calibro di Giovanni Marchetti. Come papa, egli promulgò l’enciclica Mirari vos del 1832, in cui ricondusse le origini infernali delle cospirazioni liberali, finalizzate a sconvolgere la Chiesa e lo Stato, alla lunga catena di eresie medievali culminata nella riforma luterana. Fu lui nel 1830 a condannare le posizioni a cui era approdato Lamennais. Con Gregorio XVI non si ebbe una semplice volontà di ritorno all’Antico Regime. La prospettiva, infatti, stava mutando. Il disordine sociale indotto dalla seduzione satanica, fatta iniziare con la Riforma, richiedeva ormai il ripristino della società e del potere propri della cristianità medievale. Solo con Pio IX, comunque, si sarebbe esplicitata la piena assunzione di questo mito all’interno degli orientamenti papali67. A partire dal 1848,

infatti, il moderatismo neoguelfo (diventato tra 1843 e 1847, vista la crisi dell’iniziativa mazziniana, la proposta più credibile per la costruzione di una compagine nazionale italiana) sembrò vicina al trionfo, forte anche delle iniziali aperture di Pio IX. La prospettiva di questo papa consentiva l’incontro tra innovatori e tradizionalisti, come abbiamo notato alla fine del capitolo precedente, in particolare attorno alla questione secondo cui solo alla chiesa spettava la funzione di guida della società. La sconfitta di queste speranze ed esperienze, soprattutto in ragione dello scivolare dei toni politici, nel biennio rivoluzionario 1848-1849, verso posizioni marcatamente liberali e dell’emergere di orientamenti socialisti68, sciolse le ambiguità papali. Con l’enciclica

Nostis et nobiscum, il pontefice portava la Chiesa ad assumere quella concezione

relativa al rapporto con la società che avrebbe mantenuto per un secolo. Nel 1849 ruppe anche con le istanze riformatrici che provenivano dal mondo cattolico. Oltre a

67 Ivi, pp. 54-55; cfr. anche G. Miccoli, Fra mito della cristianità, pp. 36-37. 68 D. Menozzi, Tra riforma e restaurazione, p. 806.

122 valutazioni reazionarie, il papa faceva proprio, aggiornandolo, lo schema degli errori moderni elaborato dal tradizionalismo. Il mito della cristianità medievale diventava la via attraverso cui la Chiesa cattolica partecipava alla costruzione del mondo moderno.

Questo è il contesto in cui venne ad inserirsi l’opera del Battini. Il quadro ora è completo. Credo sia tempo di entrare nel merito della sua apologetica.

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CAPITOLO IV.L’APOLOGIA DEI SECOLI BARBARI

Dopo aver sviluppato l’analisi dell’apologetica francese, delle evoluzioni della Chiesa e del cattolicesimo italiano tra i secoli XVIII e XIX, nonché dei contatti tra queste due realtà, dopo aver reso conto del Medioevo come modello culturale, e nello specifico del mito della cristianità nato a cavallo di quei secoli, è opportuno ora prendere in esame la figura che in ultima analisi mi interessa esplorare, legata sì a queste influenze culturali ma recante al tempo stesso alcune peculiarità1.

Si tratta di Costantino Battini, frate dei Servi di Maria, autore nel 1823 del discusso testo Apologia dei secoli barbari, seguito l’anno successivo, dopo una vivace polemica sulle riviste moderate dell’epoca, dalla Conferma dell’apologia dei secoli barbari. Se il mio obiettivo riguarda queste specifiche opere del Battini, tuttavia, per riuscire a rendere conto di esse in modo esauriente, è necessario cercare di collocare l’autore entro il contesto precedentemente delineato.