• Non ci sono risultati.

3. Il Romanticismo e il Medioevo Tra nazione e mito della cristianità

3.1. Il mito romantico della Christianitas medievale

Johann Gottfried Herder24 (1744-1803) ebbe un’influenza enorme nella fase di

passaggio tra Illuminismo e Romanticismo in Germania. Due opere di questo autore permettono di comprenderne il ruolo cruciale: Ancora una filosofia della storia per

l’educazione dell’umanità, del 1774, e Idee sulla filosofia della storia, del 1784. In

questi scritti traspare il suo interesse per lo scontro tra popoli romani e germanici, per l’avvento del cristianesimo, per la creazione delle nazioni e degli stati, per le grandi letterature, per l’espansione dell’Europa a partire dalle crociate.

Il Medioevo tutto fu, per Herder, una grande epoca dell’umanità, legata in modo essenziale alla sua storia. In quest’ottica, gli invasori del Nord abbattutisi sulle terre civilizzate dell’impero romano persero la connotazione di barbari invasori e si trasfigurarono in uomini liberi e incontaminati, capaci di rivitalizzare l’esaurita civiltà latina e di rinnovare la società25. Lo stesso cristianesimo, non esente da critiche a causa

delle esagerazioni, abusi ed intolleranze perpetrate nel corso della sua storia, è guardato non a partire da questa prospettiva, ma a partire dal buono e dal positivo che ha disseminato fin dal momento della sua nascita.

24 Herder fu filosofo e teologo, formatosi nell’illuminismo, nel pietismo e nel platonismo, sul quale ebbero un forte effetto i temi e le atmosfere dell’ossianesimo e del preromanticismo inglese. Cfr. E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo, cit., p. 187.

25 E. Occhipinti, Gli storici e il medioevo. Da Muratori a Duby, in E. Castelnuovo e G. Sergi (a cura di), Arti e storia nel medioevo, vol. IV, Il medioevo al passato e al presente, Einaudi, Torino 2004, p. 254.

105 Dice Herder: “[…] come infatti il rimedio può diventare veleno, il veleno può diventare rimedio, e ciò che è puro e buono nel suo principio, deve, alla fine, certamente trionfare”26. Il Medioevo scaturì da questo incontro, tra l’uomo del Nord e il

cristianesimo, costituendo nuova linfa per l’organismo esangue dell’Europa27. Gli

uomini del Nord insediatisi entro i confini dell’impero “dovevano farsi nuova natura e produrre grandi messi per il destino del mondo”28. L’età di mezzo, in questa ottica,

diventa quindi momento fondante dell’Europa moderna. Tale riformulazione generale dell’idea di Medioevo sta alla base della formazione dello storicismo romantico, seme che avrebbe definitivamente prodotto i suoi frutti con Ranke. La Rivoluzione, di lì a pochi anni, avrebbe messo l’accento in modo esasperato sulle contraddizioni insite nelle esigenze e nei desideri dell’Illuminismo.

Nonostante la centralità di Herder, la figura più importante di queste prime manifestazioni del romanticismo tedesco in relazione al rapporto tra cristianità e Medioevo fu però Friedrich von Hardenberg, detto Novalis (1772-1801), il quale nel 1799 scrisse un breve testo intitolato La cristianità ovvero l’Europa, che, presentato agli amici del gruppo di Jena (tra cui i fratelli Schlegel), venne accolto con imbarazzo e vide la luce pubblicamente solo nel 1826, in un periodo in cui, sulla scia tradizionalista di autori come de Maistre o de Bonald, potette essere letto in un’ottica ideologica restauratrice29.

Questo testo capovolgeva del tutto il giudizio sul Medioevo, a tal punto da poter essere considerato il vero manifesto per la storiografia romantica in Germania30. È

l’Europa che si collocava al centro della riflessione di Novalis, e questo in un periodo come quello di fine Settecento, in cui si avvicendarono dinamiche complesse e grandi drammi. Novalis volle mettere in comunicazione passato e presente, ricomprendendoli

26 Cit. in R. Manselli, Il medioevo come “Christianitas”, cit., p. 50. 27 Cfr. E. Artifoni, Il medioevo nel Romanticismo, cit., p. 189. 28 Ivi, p. 189.

29 Ivi, p. 192.

106 in un’unica visione d’insieme che potesse spiegarli e fornire ad essi un senso. La crisi dell’Europa interrogava il giovane poeta così da portarlo a chiedersi quali fossero state le ragioni della grandezza passata e se queste ragioni, nel presente, avessero mantenuto intatto il loro valore e vigore.

Herder lo influenzò nel rivolgersi al cristianesimo come valore più significativo per l’individuo e per la società. Esso non era solo la religione del passato, ma anche quella del futuro, l’unico fondamento che potesse ricomporre le fratture generate dalla Rivoluzione. Questo cristianesimo non era un concetto astratto che galleggiava in un mondo utopico, ma aveva una sua concretezza storica ed un’epoca di riferimento: il Medioevo, appunto. Quest’ultimo fu infatti il periodo in cui il cristianesimo meglio era riuscito nella sua opera di coordinamento e conciliazione degli egoismi degli uomini, nell’infondere loro speranza e consolazione, nel realizzare una civile convivenza fondata sui suoi valori. La stessa catastrofe europea generata dallo sconvolgimento rivoluzionario era derivata, nell’opinione di Novalis, dalla fine della coincidenza identitaria tra Europa e cristianesimo. Tutto era cambiato a partire dalla Riforma, la quale aveva introdotto il pericolosissimo principio dell’individualismo, rendendo possibile l’esplosione di forze che fino ad allora erano state tenute sotto controllo. È rilevante notare, sulla scia di Manselli, che Novalis era luterano31.

Da tali dinamiche Novalis faceva discendere la tendenza ad un approccio alla cultura e alla scienza in cui il passato veniva rigettato. L’iniziale odio per il cristianesimo si sarebbe evoluto in odio per la religione in generale. La fede però, per Novalis, aveva migliorato gli uomini e li aveva condotti sulla via della civiltà. La credibilità della sua opera doveva essere riabilitata, e parimenti gli entusiasmi illuministici dovevano essere sopiti, in quanto illusori. Per Novalis, erano il clero ed il papato ad aver sempre costituito un elemento fondamentale di coesione sociale. L’Europa medievale aveva avuto in essi e nella comune fede cristiana il proprio valore

107 più essenziale. L’accento del poeta era comunque posto sulla religione in sé più che sulla gerarchia ecclesiastica, in quanto egli riteneva la prima il vero punto di riferimento per gli uomini.

Tra gli iniziali detrattori del testo ci fu Friedrich Schlegel (1772-1829), membro del gruppo di Jena e redattore con il fratello Wilhelm della rivista Athenäum, organo del primo Romanticismo germanico. Se il cristianesimo di Novalis germogliò in un ambiente non caratterizzato da una scelta confessionale definitiva32, Schlegel, dopo la

sua conversione al cattolicesimo nel 1808, risolse le istanze che facevano capo a Herder e Novalis stesso nella Chiesa cattolica romana, la quale per lui aveva trovato il proprio apogeo nell’impero di Carlo Magno, in cui cattolicesimo, latinità e germanesimo si erano fusi insieme.

Schlegel così individuò il momento d’inizio della degenerazione nei conflitti tra guelfi e ghibellini, germe di un dissidio che aprì la strada ad una nuova forma perniciosa di cultura “pagano-antiquaria” portata in occidente dai greci: il Rinascimento. Come ha notato Manselli, la sua evoluzione spirituale è indice dell’importanza del saggio di Novalis. Non era uno sguardo verso il passato, ma il recupero di una fede capace di trascinare gli uomini verso la ricostruzione dell’Europa attraverso la comprensione del presente33.

All’interno della trattazione sulla rivalutazione del Medioevo cristiano entro la cornice romantica, un’ultima parola voglio spenderla su Chateaubriand e sul ruolo da lui attribuito al Medioevo nel suo Genio del cristianesimo. In quest’opera, come abbiamo già visto, muta il giudizio sulla religione cristiana, che era strettamente connesso a quello sul Medioevo. Si ha infatti l’emergere del valore cristiano di questa età, considerata quella in cui la religione di Cristo si era dispiegata in tutta la sua pienezza.

32 G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell’età contemporanea, Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 27.

108 Le pagine sugli ordini cavallereschi, a questo proposito, sono centrali. Essi erano apparsi agli illuministi come la negazione stessa della ragione, portanti con sé un contrasto indissolubile tra carità cristiana e violenza delle armi. Nel Genio tale giudizio viene ribaltato. Essi vi diventano, infatti, il paradigma dell’esaltazione del Medioevo stesso, in quanto la dimensione della fede era stata centrale nella cavalleria, che si era impegnata strenuamente e con spirito di sacrificio nella sua difesa. Gli antichi cavalieri così si erano assunti la responsabilità di diffondere la civiltà nel suo senso più pieno. Il cristianesimo, per Chateaubriand, aveva reso alla civiltà enormi servigi in particolare nell’Età medievale, grazie alla Chiesa come istituzione organizzata gerarchicamente. Diversa è qui la posizione rispetto a Novalis, secondo il quale la gerarchia ecclesiastica era subordinata all’opera dell’insieme dei credenti34.

Il Genio, nella parte finale, cerca di effettuare un bilancio della religione cristiana come creatrice di civiltà lungo tutta la storia umana. Il momento delicatissimo delle invasioni barbariche diventa la chiave di volta, in quanto senza l’opera civilizzatrice del cristianesimo, per Chateaubriand, avremmo avuto la distruzione totale dell’eredità imperiale35. La religione di Cristo invece ne ha salvato e in un certo senso trasfigurato la

tradizione. Fu la fede, unificando le differenze tra barbari e romani, a creare una civiltà nuova. Oltre a questa attenzione alla dimensione della civilizzazione, anche le atmosfere del Genio rievocano la grandezza della cristianità medievale, sia nell’arte sia nella letteratura.