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Il Codice della proprietà industriale

CAPITOLO I. Gli strumenti giuridici

B) Strumenti dell’Unione Europea

IV. Strumenti nazionali

20. Il Codice della proprietà industriale

Il Codice della Proprietà Industriale, ossia il D.lg. 10 febbraio 2005 n.30275, ha per oggetto la proprietà industriale (e i relativi diritti), identificata, secondo quanto elencato all’art.1 dello strumento, nei seguenti elementi: “marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche,

quanto, invece, disposto dal Codice della Proprietà Industriale in materia, si rimanda a: A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit., pp. 9-10

274 Viene altresì messo in luce che “poiché tutte e tre le menzionate fattispecie debbono, per essere considerate concorrenzialmente illecite, produrre confondibilità con i prodotti o con l’attività di un determinato concorrente, loro presupposto comune è che consistano nella riproduzione più o meno puntuale di uno o più elementi idonei ad individuare quei prodotti o quella attività, vale a dire uno o più segni distintivi di essi […]. Infatti, senza la presenza dei segni distintivi imitati, la possibilità stessa che si dia luogo la confondibilità nel senso sopra precisato viene meno; poiché confondersi con una specifica entità (nella specie: prodotto o attività di un concorrente determinato) significa riprodurre connotazioni appunto specifiche, idonee a renderla identificabile fra le altre entità dello stesso genere presenti sul mercato.” Ibid. p. 37

275 Il Decreto è stato emanato in base alla Legge 12 dicembre 2002, n. 273. Nello specifico, ciò è previsto

dall’art.15 che al comma 1 così recita: “1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) ripartizione della materia per settori omogenei e coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni

vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica;

b) adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta;

c) revisione e armonizzazione della protezione del diritto d'autore sui disegni e modelli con la tutela della proprietà industriale, con particolare riferimento alle condizioni alle quali essa è concessa, alla sua estensione

e alle procedure per il riconoscimento della sussistenza dei requisiti;

d) adeguamento della disciplina alle moderne tecnologie informatiche;

e) riordino e potenziamento della struttura istituzionale preposta alla gestione della normativa, con previsione dell'estensione della competenza anche alla tutela del diritto d'autore sui disegni e modelli, anche con

attribuzione di autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale;

f) introduzione di appositi strumenti di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi; g) delegificazione e rinvio alla normazione regolamentare della disciplina dei procedimenti amministrativi

secondo i criteri di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59;

h) previsione che la rivelazione o l'impiego di conoscenze ed esperienze tecnico-industriali, generalmente note e facilmente accessibili agli esperti e operatori del settore, non costituiscono violazioni di segreto aziendale. Il testo della legge è disponibile al sito web: http://www.camera.it/parlam/leggi/02273l.htm.

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denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”.

Il decreto, nello specifico, si configura come un tentativo di semplificazione legislativa e di armonizzazione della materia con quanto già disposto in merito a livello comunitario e internazionale, nonché di “unificazione dei diversi istituti che in essa sono stati radunati,

mediante la riconduzione di essi alla categoria della proprietà industriale”276. Il Codice è strutturato per capi ed suddiviso nel modo seguente:

Capo I (artt. 1-6): Disposizioni generali e principi fondamentali;

Capo II (artt. 7-116): Norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei diritti di proprietà industriale;

Capo III (artt. 117-146): Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale;

Capo IV (artt. 147-193): Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure;

Capo V (artt. 194-200): Procedure speciali;

Capo VI (artt. 201-222): Ordinamento professionale; Capo VII (artt. 223-230): Gestione dei servizi e dei diritti; Capo VIII (art. 231-246): Disposizioni transitorie e finali.

Al capo II un articolo in particolare rileva ai nostri fini: l’undicesimo, dedicato, così come l’art. 2570 del Codice Civile, ai marchi collettivi277.

Il marchio collettivo, stando a quanto affermato al par.1 (che riprende sostanzialmente alla lettera quanto dichiarato all’art. 2570 del Codice Civile), può essere utilizzato da produttori e commercianti, previa richiesta di registrazione di quest’ultimo da parte dei “soggetti che

276 L’accordo TRIPS, da cui il Codice della Proprietà industriale riprende l’impostazione di base e si ispira,

utilizza invece il termine “proprietà intellettuale”, riconducendo allo stesso sia gli elementi di cui all’art.1 del Codice della Proprietà Industriale sia la materia del diritto d’autore. A tal proposito entra nel merito la Relazione illustrativa del Codice della Proprietà Industriale elaborata dal Ministero delle Attività Produttive, ove, alle pp. 15-16 si rileva che: “La delega parlamentare, nel disporre il riassetto delle disposizioni vigenti, si riferisce alla materia della proprietà industriale volendo, con tale espressione, escludere la materia del diritto d'autore. Questa esclusione è giustificata unicamente da ragioni inerenti alla ripartizione delle competenze ministeriali, essendo il diritto di autore compreso nelle attribuzioni del Ministero dei Beni Culturali ed essendo, per contro, tutti i rimanenti istituti facenti parte dell'universo della proprietà immateriale ricompresi nelle attribuzioni del Ministero delle Attività Produttive. Purtroppo, al di fuori delle indicata giustificazione organizzativa, la distinzione tra la proprietà industriale e la proprietà intellettuale, comprensiva – quest'ultima – del diritto d'autore, è del tutto superata da quando le opere dell'ingegno protette appunto dal diritto d'autore non sono più soltanto quelle frutto dell'esperienza artistica (opere della letteratura, della musica, delle arti figurative ecc. ecc.) ma sono anche quelle cosiddette "utilitaristiche […]". Parte di quanto disciplinato all’art.1, prima che lo strumento venisse elaborato ed entrasse in vigore, era tutelato dal Codice Civile italiano, agli artt. 2598 e ss inerenti la concorrenza sleale: i due strumenti, pertanto, si trovano in un rapporto di coesistenza e danno luogo ad una tutela duplice. Si rimanda a: A. VANZETTI (a cura di), op. cit., pp.4-10.

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svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”278: la domanda di registrazione deve essere accompagnata dal relativo regolamento, che reca le modalità d’utilizzo, di controllo e sanzionatorie del marchio in questione279. Il par. 4 rappresenta una deroga a quanto previsto dall’art. 13 par. 1 comma b) del testo giuridico in esame, il quale dichiara che:

“Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di

carattere distintivo e in particolare […]:

b) quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio”280.

L’eccezione prevista dall’art. 11 par. 4 consiste tuttavia nella previsione che: “[…]Un

marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l'Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione […]”281.

278 Art. 11 par.1. In merito alla differenza del marchio collettivo rispetto a quello individuale si rimanda al par.

precedente del presente capitolo. È inoltre necessario mettere in luce quanto rileva VANZETTI (a cura di), op. cit., p. 164, ossia “da un lato è escluso per il marchio collettivo qualunque suo utilizzo come segno distintivo di prodotti o servizi del titolare e, dall’altro lato, ciò che è essenziale per il marchio collettivo è che l’utilizzatore se ne serva per prodotti o servizi aventi una certa origine, natura o qualità, oggetto di verifica e di controlli, a pena di decadenza del marchio […]”. Importante risulta altresì cosa si debba intendere con la parola origine presente al par. 1 dell’art. in questione. Viene infatti precisato che tale termine “debba essere inteso come riferito non all’origine imprenditoriale del prodotto, bensì alla sua provenienza geografica, ed in particolare ad una provenienza geografica che qualifichi il prodotto attribuendogli determinate caratteristiche, come tipicamente avviene nel settore agroalimentare” (ibid. p. 164); in tal senso si veda anche A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit., pp. 297-298. In merito alla titolarità del marchio collettivo vale anche per l’art. 11 C.P.I. quanto detto a proposito dell’art.2570 del Codice Civile ossia che, dopo la riforma del 1992 dell’art. 2 della legge marchi, può agire al fine della registrazione di un marchio collettivo “qualunque soggetto, a condizione che egli svolga la funzione di garantire l’origine, la natura e la qualità dei prodotti o servizi per i quali il marchio sarà utilizzato”. Si veda A. VANZETTI (a cura di), op. cit., pp. 165-166.

279 L’art. 11 par. 2 riporta infatti che: “I regolamenti concernenti l’uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione; le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all’Ufficio italiano brevetti e marchi per essere incluse tra i documenti allegati alla domanda“. In merito al regolamento che deve accompagnare la domanda di registrazione di un marchio collettivo e dedicato al suo utilizzo, ai relativi controlli e sanzioni si rimanda a: A. VANZETTI (a cura di), op. cit., pp. 168-169; A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit., pp. 298-299.

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281 Il paragrafo continua nel modo seguente: “L'Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L'avvenuta

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Gli stessi sono soggetti, oltre che alle disposizioni dell’art.11, a tutte le norme previste dal Codice della Proprietà Industriale a patto che queste “non contrastino con la natura di

essi”282.

Gli artt. 29-30 trattano, nello specifico, delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine283. L’art. 29, infatti, dispone quanto segue: “Sono protette le indicazioni geografiche

e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione”284.

L’art. 30, invece, tratta della tutela delle stesse: “Salva la disciplina della concorrenza sleale,

salve le convenzioni internazionali in materia e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, è vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico o quando

registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale”. In merito all’art. 11 par. 4 del C.P.I. si rimanda a: A. VANZETTI (a cura di), op. cit., pp. 170-173; A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit., pp. 299-300; L. C. UBERTAZZI, P.G. MARCHETTI, op. cit., pp. 73-74. È tuttavia importante delineare brevemente le differenze tra marchi collettivi costituiti da nomi geografici da un lato e denominazioni d’origine e indicazioni geografiche dall’altro (alle quali sono trattati gli art. 29-30 del C.P.I., sempre in questo paragrafo). I primi, che devono soddisfare l’esigenza di costituire una garanzia sia per quanto concerne la provenienza del prodotto o del servizio (dal momento che molto spesso e specie per i prodotti agroalimentari la qualità dello stesso è strettamente collegata alla sua origine geografica) sia della qualità e delle caratteristiche ad essa attribuibili, sono segni distintivi sottoposti a registrazione (a patto che questa non pregiudichi gli altri produttori o imprenditori di una data zona geografica cui non è stato concesso l’utilizzo del marchio collettivo geografico in questione, pena il rifiuto di registrazione da parte dell’UIBM) a richiesta del soggetto incaricato di svolgere le funzioni di cui al par. 1. Tale ente o associazione può concedere, a seguito della registrazione e con la quale ne diviene titolare, l’utilizzo del marchio a produttori e commercianti che rispettino quanto previsto dal regolamento, rimanendone essa stessa, tuttavia, esclusa. Tornando alle differenze tra marchi collettivi geografici e le denominazioni d’origine e indicazioni geografiche, le seconde si differenziano per il fatto che “la loro tutela deriva da una situazione di fatto creatasi nella zona tipica, cui può seguire un riconoscimento mediante un apposito atto legislativo o amministrativo”, per l’assenza di un soggetto che ne sia titolare e per il fatto che ogni produttore che operi all’interno della zona geografica individuata e che rispetti le condizioni, i requisiti e gli standard fissati dal disciplinare possa utilizzarla. Si rimanda ad A. VANZETTI (a cura di), op. cit., p. 172.

In tal senso si pronuncia anche L. C. UBERTAZZI, op. cit., p. 74, affermando che: “[…] le denominazioni d’origine riguardano i prodotti aventi determinate qualità e sono tutelate da leggi appositamente emanate; non hanno la funzione di costituire un collegamento fra un prodotto e un’impresa, ma di caratterizzare il prodotto come proveniente da una determinata zona o regione e si distinguono dai marchi collettivi perché questi sono oggetto di un diritto assoluto che sorge con atto statuale, la registrazione, determinata dall’iniziativa di un gruppo privato o di un ente pubblico”. Si rimanda agli stessi anche per quanto riguarda le diverse interpretazioni in merito alla coesistenza tra marchi collettivi geografici e denominazioni d’origine e indicazioni geografiche.

282 Art. 11 par. 5.

283L’antecedente degli articoli in esame è costituito dall’art. 31 dal d.lgs. 19 marzo 1966 n°198, successivamente

abrogato. Per un’analisi dello stesso e delle differenze con gli artt. 29-30 del Codice della Proprietà Industriale si rimanda a: A. VANZETTI (a cura di), op. cit., pp. 563-564; L. C. UBERTAZZI, P. G. MARCHETTI, op. cit., p. 214-215.

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comporti uno sfruttamento indebito della reputazione della denominazione protetta285, l'uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l'uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un’indicazione geografica”286.

Al par. 2, infine, viene precisato che: “La tutela di cui al comma 1 non permette di vietare ai

terzi l'uso nell'attività economica del proprio nome o del nome del proprio dante causa nell'attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da ingannare il pubblico”287. Entrambi gli articoli si riferiscono sia alle denominazioni d’origine che alle indicazioni geografiche, senza chiarire nello specifico le differenze tra le due288; entrambe, infatti, sono considerate, così come rileva l’art.2 dello strumento, diritti di proprietà industriale non titolati, non soggette quindi né alla brevettazione né alla registrazione ma i cui diritti si “acquistano

negli altri modi previsti dal presente codice”289, sebbene nel testo il discorso non venga oltre approfondito.