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Solitamente, nella redazione di una grammatica, i precedenti vengono spesso ignorati o sminuiti, artificio di cui gli autori si servono per sottolineare più o meno implicitamente la novità della propria opera. È nel Compendio riconosciuta l‟esistenza di Tomasi (1779), che doveva avere avuto una discreta circolazione, ma viene considerata insufficiente come strumento didattico. La tradizione grammaticale più solida è invece considerata quella di scuola francese che costituirà, come già accennato e come vedremo più accuratamente in seguito, un modello fondamentale per Bordas; ovviamente si fa riferimento soprattutto alle grammatiche italiane per francofoni:

Algunas gramáticas, y muy buenas, he visto para aprender el idioma italiano; pero todas de ninguna utilidad para quien ignore el francés: y aun para los que lo saben por estudio, me parece es de gran trabajo el aprender una lengua extraña por otra extraña. Despues de haber buscado todas las gramáticas españolas para aprender el italiano, no he encontrado mas que la de Tomasi; y á esta no la he juzgado suficiente para quien desee aprender dicho idioma.

No pretendo censurar ni tampoco minorar el mérito de Tomasi […] (Bordas 1824, pp. 5-6).

I modelli seguiti, ed esplicitamente dichiarati, sono Soave, Soresi (che non sono grammatiche dialogiche), Veneroni, Zanotti, Vergani, Chantreau e il Vocabolario della Crusca. La materia, organizzata in forma dialogica con domande e risposte, come una riproduzione da laboratorio della pratica didattica secondo il metodo tipico delle scuole gesuite, è suddivisa in quattro parti

44 fondamentali che costituiscono lo schema madre seguito poi nelle

successive e più complete grammatiche:

 L‟analogia: analisi della fonetica e delle parti del discorso;

 La sintassi;  L‟ortografia;  La prosodia.

Troviamo anche un Ragionamento sopra la lingua italiana e, per quanto riguarda la parte applicativa, l‟autore si limita ad una breve antologia di testi letterari con traduzione a fronte28 e compone una scelta di prose e poesie italiane che vennero poi successivamente riunite in Scelta di

prose e poesie italiane per uso degli studiosi di questa lingua (Barcellona,

1831).

Nel Compendio non compaiono dialoghi né tavole con nomenclature in quanto queste ultime, secondo l‟autore, non possono sostituire il vocabolario, parte indispensabile dell‟apprendimento di una lingua.

La semplificazione delle regole e delle eccezioni in questo manuale è considerevole e spesso si rimanda, per i casi e gli aspetti più complicati, alla pratica o all‟intervento integrativo del maestro. Questo aspetto è fondamentale per far comprendere come il Compendio sia stato concepito esclusivamente come strumento di appoggio didattico per un primo livello di apprendimento dell‟italiano, e non come più completo testo per un apprendimento autonomo della lingua: molti aspetti anche piuttosto complessi vengono affrontati in modo sbrigativo e con una certa approssimazione (Silvestri 2001, p. 61).

28

I brani riportati sono i seguenti: Gaspare Gozzi, L’amicizia e l’adulazione; Vittorio Alfieri, Metodo da lui tenuto nel comporre le sue tragedie; Ugo Foscolo, Una sera di Maggio; Lorenzo Pignotti, La farfalla e la rosa; Pietro Metastasio, La primavera; Vincenzo Monti, Sopra la

45 Di seguito vorrei illustrare come viene trattata la parte relativa alla pronuncia delle vocali nel Compendio:

De las vocales

P. ¿Cómo se pronuncian las vocales? R. Lo mismo que en castellano (1)

P. ¿Cuando dos ó tres vocales juntas forman una sola sílaba, como se llamarán?

R. Se les da el nombre de diptongo, y la mismas reglas que en español sirve para italiano. De la misma manera pues que se pronuncia en español miel, siete; se pronunciará miei, siete. P. ¿Tiene ecsepcion esta regla?

R. Solamente debe advertirse que cuando u forma diptongo con la o debe ser tal su pronuncia que casi no se perciba la u como

tuoi, buono&c.; pero se le dará su sonido claro cuando no forme

diptongo como en virtuoso.

(1) Los piamonteses pronuncian la u como los franceses , pero esta no es su pronuncia. La e y la o , algunas veces se pronuncian abiertas y otras cerradas; pero la verdadera regla es la practica. (Bordas 1824: p.3)

Rispetto a come viene approfondita e curata nella Gramática del 1830:

De las vocales

Las vocales a, i, u se pronuncian como en castellano […] De la e y de la o

Seria muy dificil el determinar la pronunciacion de estas dos vocales, porque no estando los italianos acordes en esta parte, hay por consiguente muchos casos en que el uso no es constante. Sin embargo podrán servirnos las reglas siguientes, copiadas al

46 pie de la letra de la gramática de la gramática del célebre

Barberi (3)

(3)Se han omitido las reglas que hablan de aquellas voces que provenidas dal latin han cambiado la i en e; y la u en o; que en este caso las dos vocales se pronunciarán siempre cerradas (Bordas, 1830, p.17).

De la e

La e tiene dos sonidos el de e cerrada y el de e abierta: el primero es el mas usado entre los toscanos.

La e es cerrada en las palabras de dos silabas […] La e final cuando tiene acento es cerrada […]

La e conjugación es cerrada […] (Bordas 1830, pp.17-18) De la o

La o tiene tambien dos sonidos: uno de o cerrada y uno de o abierta.

La o es cerrada en todas las personas del pretérito indefinido […]

Lo es tambien en las terminaciones en ore […] La o de adoro, adori, adora es abierta […]

La o es cerrada en las terminaciones one, ona, ono […]» (Bordas 1830, pp. 18-20).

E cerrada E abierta

Accetta…hacha […] Accetta.. fem de

accetto agradable […] O abierta O cerrada Accorre…per accogliere […] Accorre.. él corre […] (Bordas 1830, pp.20-23)

47 Di seguito possiamo notare come nel Compendio si rinuncia quasi sempre ad appesantire il testo con notazioni teoriche o precisazioni terminologiche, salvo una breve definizione, all‟inizio di ogni capitolo e di ogni paragrafo, riguardante il relativo oggetto d‟analisi:

48 (Bordas 1824, p. 10).

A differenza della Grámatica le regole, gli schemi e i quadri sinottici vengono elencati in modo essenziale, si elimina l‟esemplificazione e solo in alcuni casi si riporta qualche considerazione di tipo contrastivo, sorvolando però in generale sulle differenze ed insistendo sulle equivalenze fra i due sistemi linguistici:

P: ¿Con el caso de ablativo pueden juntarse las preposiciones con, sin, en, sobre, &c. como en castellano?

R: Si señor, pero no es necesario notar el modo con que deben invertirse en italiano los siguientes cuando les sigue articulo ó pronombre posesivo (Bordas 1824, p. 17).

Nella versione del 1830, invece, vengono curati nei minimi dettagli gli esempi contrastivi e le relative traduzioni, in modo da far notare la vicinanza o lontananza delle due lingue e le diverse accezioni che una pronuncia (come si nota nel quadro sinottico contrastivo sopra illustrato – Bordas 1830, pp. 20-23 – la differenza di significato che può acquisire una parola omografa ma non omofona) o che una costruzione grammaticale assume nella strana e disomogenea situazione diatopica italiana.

La parte relativa al verbo29, per esempio, è la più ampia, anche se per molti aspetti incompleta: contiamo infatti un numero complessivo di 75 pagine (Bordas 1824, pp. 49-123) riguardanti questa sezione.

Il capitolo V, Del verbo, è così strutturato:

I. Definicion y division del verbo all‟interno del

quale possiamo conoscere la definizione di verbo come

29

Insieme ad articolo, nome, pronome, participio, avverbio, preposizione, congiunzione e interiezione costituisce una delle nove parti del discorso che Bordas isola.

49 «aquella parte de la oracion que espresa una accion hecha ó recibida por el sugeto»; la sua divisione in attivo, passivo, neutro, neutro, riflessivo, impersonale; i modi (indicativo, congiuntivo, congiuntivo, imperativo e infinito); i tempi, definiti per indicativo e congiuntivo; le coniugazioni, annotando il caso dei verbi ausiliari (Bordas 1824, pp.49-51).

II. Conjugacion del verbo avere; Conjugacion del verbo essere: dove troviamo, secondo lo schema che andrò a

illustrare e che verrà riproposto per qualsiasi verbo, la coniugazione degli ausiliari avere e essere:

- Modo indicativo - Modo imperativo - Modo subjuntivo

- Modo infinitivo (Participio e gerundio presente) A fine paragrafo incontriamo una breve illustrazione sull‟uso degli ausiliari in italiano, confrontando l‟uso degli stessi nella lingua castigliana (Bordas 1824, pp. 51-62):

Uso de los auxiliares

P: ¿Los verbos auxiliares del idioma italiano sirven para los tiempos compuestos de todos los verbos como en el castellano? R: En cuanto á los verbos activos se sigue el mismo uso; pero para los demás es preciso observar las reglas siguientes:

1ª […]

III. Questo è il paragrafo dedicato alle coniugazioni dei verbi regolari –are, -ere, -ire analizzando i verbi amare, temere,

50 Vengono anche analizzati gli usi dei verbi ausiliari chiedendo se

sono i medesimi del castigliano. Bordas spiega quindi le analogie e le differenze che si incontrano nelle due lingue (Ibidem, pp. 61-62).

Nell‟opera del 1830 Bordas approfondisce la spiegazione sull‟utilizzo degli ausiliari, evidenziando che i verbi coniugati con essere sono i neutri, quelli che indicano movimento, i riflessivi e gli impersonali impropri. Successivamente stila una lista con i verbi e «quizá algunos

51 otros» (p. 142 e ss.) che, eccezionalmente, si coniugano con l‟ausiliare avere.

L‟autore annota anche varie eccezioni, soprattutto quelle possibili con l‟utilizzo degli ausiliari con verbi che necessitano del pronome:

52 (Bordas 1830, pp. 143-144).

La questione sugli ausiliari è molto interessante. Partiamo dall‟illustrare cosa sono i verbi ausiliari “propriamente detti”:

I verbi ausiliari “propriamente detti” sono essere e avere. Essi hanno anzitutto significati autonomi:

(a) Il verbo essere, se usato in unione con un nome o con un aggettivo, ha valore copulativo: «è il più alto e il più forte della classe, alza un banco con una mano, mangia sempre, è buono» (Edmondo De Amicis). Adoperato da solo, ha il significato di stare, trovarsi: «Chi dava a voi tanta gioia è per tutto» (Alessandro Manzoni, Promessi sposi) (Cimaglia 2010).

(b) Il verbo avere ha il significato di possedere: «Oltre a questo, ch‟era l‟ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d‟una modesta bellezza» (Alessandro Manzoni, Promessi

sposi); e, inoltre, si trova in alcune locuzioni esprimenti uno stato fisico o

emotivo (ho fame, ho sonno, ho paura, ecc.) che, forse, hanno potuto concorrere allo sviluppo della sua funzione di ausiliare (Telve 2007, pp. 313-325).

Sia essere sia avere hanno però anche un ruolo fondamentale nella coniugazione verbale. Entrambi i verbi, infatti, possono essere impiegati per formare i tempi composti. L‟uso degli ausiliari coi verbi transitivi non pone problemi. Infatti, di regola, si usa avere nei tempi composti della diatesi attiva (ho amato, avevo amato, ecc.), mentre si usa essere nella diatesi passiva (sono amato, sono stato amato, ecc.).

Coi verbi riflessivi diretti (in cui soggetto e oggetto coincidono: mi

lavo), coi verbi riflessivi indiretti o apparenti (in cui l‟azione verbale non

si „riflette‟ direttamente sul soggetto: mi chiedo se ho agito bene), coi verbi reciproci (Paolo e Ilaria si amano tanto), si avrà sempre essere:

53 (1) mi sono lavato

(2) mi sono chiesto se ho agito bene (3) Paolo e Ilaria si sono amati tanto

Tuttavia, come avvertiva già Fornaciari (1974, p. 159), con tutti e tre i gruppi di verbi, nell‟italiano antico e nella lingua poetica, è possibile avere: «la donna che tanto pietosa s‟hae mostrata» (Dante); «s‟aveva messe alcune pietruzze in bocca» (Giovanni Boccaccio).

I problemi nell‟impiego degli ausiliari si incontrano soprattutto in tre casi: coi verbi intransitivi, coi verbi impersonali, coi verbi che reggono un infinito30. Riguardo ai verbi intransitivi «non esiste una regola che permetta di stabilire quale ausiliare debba essere usato con ciascun verbo» (Dardano - Trifone 1997, p. 287). Come suggerisce Leone (1970, p. 24) si possono fare alcune generalizzazioni, che sono però solo linee di tendenza. Si può dire che l‟ausiliare avere coi verbi intransitivi «atteggia l‟azione verbale in dipendenza del soggetto» o, più semplicemente, che avere implica un soggetto “attivo” (ha marciato). Con l‟ausiliare essere, invece, «ci si limita a cogliere lo stato in cui il soggetto viene a trovarsi» (è cresciuto). Tuttavia rimangono aperte alcune questioni31 (Telve 2007, pp. 313-325).

Si dice, allora, che un verbo intransitivo ha l‟ausiliare essere quando il suo participio passato può adoperarsi come attributo32: ieri è accaduta una disgrazia /

la disgrazia accaduta ieri; ha l‟ausiliare avere quando non è possibile l‟uso

attributivo: Marco ha viaggiato molto / *Marco è viaggiato molto. Inoltre, come aggiunge Serianni, l‟ausiliare avere «si adopera con verbi quali esagerare, navigare, riposare, sbandare, nonostante la possibilità di un participio con valore attributivo (severità esagerata, politico navigato, ecc.), poiché tali participi sono ormai avvertiti come aggettivi autonomi e l‟ausiliare avere è necessario quando si

30 Detti anche modali o fraseologici. 31

Perché, ad es., si hanno le forme sei partito e ha sbandato?.

54 voglia sottolinearne l‟uso verbale: sei esagerato (aggettivo) con tuo figlio /

hai esagerato (verbo) con tuo figlio» (Serianni 1988, p. 332).

Con taluni verbi, i due ausiliari comportano significati diversi: (4) ho corso molto

(5) sono corso via subito

Proprio per rimediare a tali problemi, invece di considerare ciascun verbo, caso per caso, dal punto di vista semantico per stabilire i criteri di distribuzione degli ausiliari, alcuni (per es., Salvi & Vanelli 2004 pp. 49- 53) preferiscono partire dagli ausiliari richiesti da ciascun verbo per suggerire una nuova classificazione dei verbi non-transitivi33, suddividendoli in due gruppi:

(a) verbi intransitivi, che vogliono l‟ausiliare avere: sorridere → ho

sorriso;

(b) verbi inaccusativi, semplici o pronominali, che vogliono l‟ausiliare essere: partire → sono partito, arrabbiarsi → si è arrabbiato.

Coi verbi impersonali si usa essere (mi è sembrato giusto

avvertirlo), ma nel caso dei verbi atmosferici si ha un‟oscillazione: «aveva

nevicato tutta la mattina» (Alberto Moravia) / «la mattina era piovuto» (Carlo Cassola). L‟uso di avere coi verbi atmosferici è forse marcato diatopicamente (D‟Achille 2003, p. 116).

Coi verbi modali e fraseologici che reggono un infinito, l‟ausiliare tende ad essere quello del verbo retto:

(6) ho letto → ho dovuto leggere (7) sono uscito → sono dovuto uscire

55 Tuttavia, qualora l‟infinito retto sia un intransitivo, il verbo reggente può anche essere costruito con l‟ausiliare avere: non ha potuto venire.

Si ricordi che, con un verbo pronominale all‟infinito retto da un verbo verbo modale o da un verbo fraseologico, si potrà avere l‟uno o l‟altro ausiliare a seconda della posizione del clitico: si avrà essere, se il pronome sarà in posizione proclitica: mi sono dovuto accorgere; avere, se il pronome è in posizione enclitica: ho dovuto accorgermi.

Con l‟infinito essere, l‟ausiliare del verbo reggente sarà sempre avere:

avrei voluto essere lì. Se l‟infinito è passivo, l‟ausiliare del verbo reggente è avere: avrei voluto essere avvisato (Telve 2007, pp. 313-325).

Il verbo essere, in unione con il participio passato dei verbi transitivi, costituisce «un segnale della passività e non comporta [...] nessuna sfumatura o componente semantica aggiuntiva» (Salvi 1988, p 101).

Tuttavia la costruzione passiva con essere può comportare ambiguità interpretative. Ad es., alla frase la finestra è aperta possono essere date due interpretazioni: una passiva “aprono la finestra”, una stativa “la finestra si trova

in uno stato di apertura”. Solo l‟aggiunta di altri elementi può fornire un sostegno

all‟una o all‟altra interpretazione. La presenza di un complemento d‟agente o quella di un avverbio di modo indirizzano sicuramente verso il significato passivo: la finestra è aperta da Luigi; la finestra è aperta improvvisamente; la presenza di un avverbiale indicante durata, al contrario, porta ad attribuire alla frase un valore stativo: la finestra è aperta da due ore. Se il verbo è al passato remoto, invece, è possibile solo l‟interpretazione passiva: la finestra fu aperta (Telve 20017, pp. 313-325).

Passiamo adesso alla distribuzione degli ausiliari nelle lingue romanze. In francese, come in italiano, si hanno gli ausiliari être e avoir. Il primo viene adoperato con il participio passato, sempre accordato, dei verbi pronominali e riflessivi: elles se sont proménées dans la ville; elle s‟est lavée; e dei verbi intransitivi, ils sont venus. Il secondo ausiliare viene adoperato col participio

56 passato dei verbi transitivi con soggetto agentivo: j‟ai écrit la lettre, e coi

verbi atmosferici: il a plu (Harris 1988, p. 225).

Solo in spagnolo e in portoghese antico si registrava ancora l‟alternanza tra ser “essere” coi verbi intransitivi34

e haber / haver (rispettivamente spagnolo e portoghese) con gli altri verbi e col participio accordato con l‟oggetto diretto. Alla fine del XV secolo sia haber che

haver vengono estesi a tutti i verbi, con il participio passato non più

accordato (Green 1988, pp. 101-102). Sin dai tempi antichi, poi, sia lo spagnolo che il portoghese presentavano una costruzione con il latino

tenere + participio passato: tengo preparada la cena (lat. habeo coenam paratam); tenho o libro leido, “ho letto il libro”. Lo spagnolo ha

conservato in questa costruzione l‟accordo del participio passato e la forma perifrastica aggiunge, come avveniva in latino, un‟informazione sull‟aspetto35

. Il portoghese, invece, è andato oltre: il verbo ter ha sostituito haver36, mentre haver è avvertito come letterario (Parkinson

1988, p. 150). In ciò le lingue dell‟area iberica possono essere confrontate coi nostri dialetti meridionali.

Infatti nell‟Italia meridionale continentale si tende ad adoperare, in alternanza con l‟ausiliare avere, il verbo tenere: «saccio ca tienə lu

fuoc‟allumato» “so che hai acceso il fuoco”. Questa costruzione

perifrastica c‟è anche in italiano, ma viene ad assumere il significato di

persistere, mantenere: «il marito teneva detto che allumasse il fuoco»

(Telve 2007, pp. 313-325).

Osservando le oscillazioni sulla distribuzione degli ausiliari, non solo nell‟italiano, ma anche nei dialetti d‟Italia, si può affermare che «nella questione della scelta degli ausiliari si avvertono ancora segni di instabilità» (Simone 1993, p. 82). È sicuramente anche questo un motivo

34 Participio sempre accordato. 35

Nell’esempio sopra: “ho la cena già preparata”.

57 per cui la trattazione degli ausiliari nelle opere di Bordas da me prese in esame, è insufficiente e approssimativa.

IV. Passiamo alla formazione de los pasivos: viene viene spiegato che i verbi passivi si formano con l‟ausiliare essere e il participio del verbo; viene presa come esempio da seguire e come schema più o meno fisso la coniugazione al passivo del verbo

amare (Bordas 1824, pp.72-77).

V. Si passa alla trattazione dei verbi irregolari. Per la prima coniugazione si esemplificano i verbi andare, dare, fare e

stare ponendoli solamente ai tempi irregolari; per la seconda,

invece, si prendono a modello i verbi cadere, giacere, parere,

sapere, sedere, solere, tenere, valere, vedere, volere.

Successivamente vengono indicati i verbi in –ere breve stilando una lista di quindici verbi regolari: tutti gli altri avranno il tratto specifico dell‟irregolarità nella coniugazione del preterito simple e del participio e si spiega nel dettaglio la formazione dei due tempi appena indicati; si illustrano i verbi irregolari divenuti tali poiché persero qualche sillaba originale, per esempio il verbo dire (decir) < dicere e, in ultima istanza, si esaminano i verbi irregolari della terza coniugazione, secondo lo schema seguito finora (Bordas 1824, pp. 77-120).

VI. In questo paragrafo l‟autore analizza la classe dei tempi impersonali dividendoli in impersonali per propria natura, come i verbi nevicare e piovere, e in impersonali impropri, ovvero il verbo essere preceduto dalle particelle ci, vi (c‟era, vi erano), tutti i verbi dove la particella si indica impersonalità (si credeva) ed altri simili come pare, mi dispiace, mi sovviene (Bordas 1824, pp. 121-122).

58 VII. Al settimo posto si spiega la coniugazione

dei verbi riflessivi (Bordas 1824, pp. 122-123).

Vale la pena soffermarsi sul Ragionamento sopra la lingua italiana che viene riportato in appendice e riveste un certo interesse, poiché costituisce un sintetico panorama della storia della lingua e della grammatica.

Il volgare italiano, si afferma, nasce come corruzione del latino e deriva dalla mescolanza di lingue che fu conseguenza della mescolanza di persone; i grandi trecentisti lo seppero nobilitare rendendolo degno di essere usato come lingua letteraria, e contribuirono a definire la superiorità del modello toscano sugli altri volgari: «Questi dunque col loro studio e diligenza diedero alla volgar lingua nobiltà e splendore, e sì perché i più di loro, e certamente i migliori, furono Fiorentini» (Bordas 1824, p. 187).

La superiorità del toscano letterario venne sancita nel Cinquecento e da questo momento in poi nacque l‟esigenza di una normazione grammaticale cui contribuirono in modo decisivo figure come Bembo, Castelvetro, Varchi, Muzio, Dolce, Ruscelli, Salviati, Mambelli, Buonmattei anche se spesso in disaccordo fra loro. Bordas passa a considerare le cause delle incertezze e delle alternanze negli usi linguistici e individua la causa principale nell‟ “usanza” (Bordas 1824, p. 191). Secondo l‟autore non ci possiamo limitare a seguire rigidamente i modelli antichi, ma sono necessarie aperture verso l‟uso moderno: in questo senso è stata fondamentale la mediazione dell‟Accademia della Crusca e del suo vocabolario (1612), che pure non deve essere seguito troppo rigidamente:

Egli è vero che all‟incomodo d‟una tale incertezza hanno in qualche parte provveduto, e tuttavia provvedono i valenti Accademici della Crusca […] Ma per quanto io abbia in sommo pregio quel vocabolario, e lo stimi degno, com‟è, d‟infinita laude, io non vorrei già che una voce sia bella perché è nel vocabolario; ma credo più tosto, che sia nel vocabolario, perché