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Il confronto fra vita teoretica e politica

Il filosofo e la tirannia in Eric Voegelin

2 Il confronto fra vita teoretica e politica

Voegelin raggiunge la maturità intellettuale in quella «marea di linguaggio ideologico» che avvolge l’Europa dopo la prima guerra mondiale.2 Sono soprattutto le precoci letture weberiane a introdurlo all’ideologia come concetto polare a quello di scienza e di etica.3 Dopo gli studi di diritto a Vienna, diventa allievo e assistente del giurista Hans Kelsen. Ottenuta l’abilitazione come Privatdozent nella stessa università, pubblica alcune importanti monografie: in Rasse und Staat (1933) e Die Rassenidee in

der Geistesgeschichte von Ray bis Carus (1933) mette radicalmente in

discussione la dottrina razziale dei nazionalsocialisti.4 Nonostante la sua diffidenza verso ogni partecipazione politica, nel 1936 pubblica Der

Auto-ritäre Staat, un’implicita legittimazione del corso autoritario dell’Austria

dopo il colpo di stato di Dollfuss.5 Nel lacerante conflitto tra comunisti e fascisti, era infatti convinto che solo «uno stato autoritario che tenesse in scacco gli ideologi radicali sarebbe stato la miglior difesa possibile per la democrazia».6 D’altronde, nel 1929 aveva già denunciato il malfunziona-mento di un sistema parlamentare che in Austria non aveva alle spalle né un sufficiente senso civico né una solida identità nazionale.7 Arriva però presto la delusione, quando constata l’inadeguatezza del regime corpora-tivista di fronte all’invasione tedesca (1938):

Fino al 1936 la mia riluttanza [a prendere parte alla politica austriaca] era basata su una profonda diffidenza verso i partiti politici che avevo avuto l’opportunità di osservare in modo attento. Ho confermato questa diffidenza quando, all’inizio del 1936, sono stato nelle condizioni di

os-2 Nel 1919, in occasione della Rivoluzione d’Ottobre, ha una breve infatuazione per il mar-xismo da cui prende le distanze dopo pochi mesi (Sandoz, The Voegelinian Revolution, p. 39).

3 Voegelin, «Riflessioni autobiografiche», p. 83; sul rapporto con Weber si veda la «Postfa-zione» di Opitz a Voegelin, Die Größe Max Webers; e Sigwart, Eric Voegelin und Max Weber.

4 Nello stesso anno, esce una recensione malevola di Norbert Gürke, giurista in ascesa nell’élite nazista, circostanza che illumina Voegelin sulla vera natura del regime tedesco (Gürke, «Rasse und Staat in der Staatslehre», pp. 781 sgg.).

5 Qui citato da The Authoritarian State; si veda su questi aspetti: Gebhardt, «Voegelin on Austria, Hitler and the Germans».

6 Voegelin, «Riflessioni autobiografiche», p. 111.

servare con più profondità gli eventi della politica e di familiarizzare più strettamente con le personalità politiche. La fine dell’Austria – davanti ai segretari dell’unione cristiano-sociale e social-democratica presi a negoziare i posti nei comitati comuni quando i nazisti preparavano la loro marcia sul Paese; e di fronte all’orribile incompetenza nelle que-stioni personali e tecniche che ho potuto constatare nelle ultime setti-mane presso i dirigenti della politica estera austriaca – mi ha convinto dell’impossibilità di una politica costruttiva o di una qualsiasi forma di resistenza.8

In questo senso, introduce il libro indicando come lettore ideale non è l’uomo d’azione, ma la «testa teoretica» consapevole del «confronto dram-matico tra il teoreta e la realtà».9 Negli anni successivi, Voegelin rimane lontano dal dibattito pubblico e accademico. Anche durante l’esilio ame-ricano, mentre l’Austria si trovava nella fase di ricostruzione democratica, all’amico Hermann Broch ribadisce il suo pessimismo circa la possibilità «di agire in un modo tale che non sia futile».10 Un’eccezione è forse rappre-sentata dal temporaneo ritorno in Europa quando nel 1958 viene chiamato a prendere la cattedra che fu di Max Weber a Monaco di Baviera, dove fonda la Hochschule für Politik.11 Qui tiene un corso su Hitler und die

Deut-schen (1964) nel contesto dell’acceso dibattito che divideva la Germania

sulla questione della colpa collettiva.12

La prima parte del volume del ’36 è dedicato allo studio dei concetti di ‘totale’ e ‘autoritario’: termini con cui intende descrivere gli sviluppi, da un lato, della Germania hitleriana e, dall’altro, dello Stato corporativo austria-co.13 Già in queste pagine inizia quel lavoro sui «simboli linguistici» che impegnerà Voegelin in tutta la sua ricerca filosofica. Molti concetti teorici usati dai vari movimenti politici si rivelano infatti essere delle credenze irriflesse, origine di un «quadro falso» della vita: «Questo è esattamente il fenomeno pneumopatologico: l’interruzione del contatto con la realtà; il contatto con la prima realtà cioè manca totalmente ed egli si muove

8 Lettera a W. Plöchl del 2 ottobre 1941, in Voegelin, Selected Correspondence, 1924-1949, p. 297.

9 Voegelin, The Authoritarian State, p. 48.

10 Lettera a H. Broch del 30 marzo 1954, in Voegelin, Selected Correspondence, 1924-1949, p. 425.

11 Un impegno che gli causa molte seccature e incomprensioni. Testimonianze su Voegelin e la fondazione dell’Istituto di scienze politiche si trovano in Cooper, Bruhn (eds.), Voegelin

Recollected, pp. 60 sgg.

12 Henningsen, Voegelins Hitler.

13 Per una contestualizzazione sul tema della totalità con riferimenti a Schmitt, Jünger, Ziegler, Forsthoff, Voegelin: Galli, «Strategie della totalità».

all’interno della seconda realtà».14 Questa alienazione ideologica richiede anzitutto una purificazione del linguaggio attraverso un «ritorno alle espe-rienze» generatrici dei simboli linguistici della vita collettiva.

Una delle radici principali della crisi occidentale è la distorsione del rapporto classico tra teoria e pratica: al contemptus mundi si sostituisce la moderna libido dominandi.15 Il «sogno immaginario» del superuomo – che da Comte, Marx e Nietzsche approda alla «violenza negli stati totalitari» – nasce proprio dalla «tendenza a restringere il campo dell’esperienza umana all’area della ragione, della scienza e dell’azione pragmatica», dalla sopravvalutazione di «quest’area in relazione al bios theoretikos e alla vita dello spirito», nonché dal tentativo di «fare di tutto ciò l’unica preoccu-pazione dell’uomo».16 L’esclusione della trascendenza restringe la realtà all’immanenza e la ragione alla mera funzionalità, creando lo spazio per le ideologie. Perciò la filosofia deve tornare alla consapevolezza dell’espe-rienza spirituale da cui ha preso le mosse nell’antichità.

Una delle intuizioni fondamentali dei grandi profeti israeliti e cristiani è che il tempo si muove verso un superamento della sua attuale struttu-ra. Nessuna filosofia della storia è pensabile senza questa esperienza del processo storico come tempo a termine aperto al suo trascendimento.17 I pensatori classici hanno inteso l’uomo non come un essere ‘per la morte’ (Hobbes e Heidegger), ma come un essere ‘per l’eternità’. Il bios

theore-tikos, nel senso aristotelico di vita teoretica, è l’avvio di questo processo

del farsi eterno da parte del mortale. Voegelin terrà sempre ferma questa attitudine propria del mondo classico: la teoria è una disposizione esisten-ziale di «radicale contemplazione».18 La scienza – compresa quella politica – non può fondarsi sul mero riferimento all’oggetto o ai metodi di analisi,

ma deve ricorrere «a una specifica modalità di azione umana, alla theoria, alla contemplatio».19 La fruitio Dei, sorgente di ogni vera attitudine teore-tica, crea però una contraddizione, mai del tutto conciliabile, tra il lavoro

14 Voegelin, Hitler e i tedeschi, p. 126. Il concetto di ‘seconda realtà’ è tratto da Robert Musil. Cfr. Parotto, «Pneuma e pneumopatologia nel pensiero di Eric Voegelin».

15 Weiss, Libido Dominandi - Dominatio Libidinis.

16 Voegelin, Dall’illuminismo alla rivoluzione, p. 329.

17 Sulla filosofia della storia si veda Parotto, Il simbolo della storia.

18 Lettera di Voegelin a M. Mintz dell’11 aprile 1940, in Voegelin, Selected Correspondence,

1924-1949, p. 244; cfr. Opitz, «Philosophieren aus kontemplativer Distanz».

19 Voegelin, «Popular Education, Science and Politics», p. 86; questa dimensione mistica la ritrova anche in due grandi spiritualisti francesi: Bodin e Bergson che subentrano a Max Weber come riferimenti intellettuali. Come riferisce in Voegelin, «Riflessioni autobiografiche», p. 177, Voegelin approfondisce Bodin in occasione di un soggiorno a Parigi nel 1934: cfr. Voegelin,

intellettuale e quello politico.20 Il perenne conflitto tra scienza e politica rappresenta infatti la differenza tra due modalità differenti dell’agire: la contemplazione non è un’assenza di azione, ma è sottratta alla politica intesa come «lotta di potere tra uomini».21

Voegelin intende ricostruire una «nuova scienza politica» proprio a par-tire dalla riscoperta dei principi metascientifici intuiti dal pensiero classico-cristiano.22 L’ordine umano non è infatti il mero risultato di una tecnica o di un accordo tra individui, come vuole Hobbes il quale alla ricerca dell’eter-nità sostituisce la paura della morte; all’ordine naturale il contratto sociale e alla partecipazione mistica la sottomissione al Dio mortale.23