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L’oggettività della storia come ‘teatro del valore’

La ‘scienza di realtà’ e la tirannia dell’irrazionale tra Weber e Lask

3 L’oggettività della storia come ‘teatro del valore’

Date queste premesse, sarebbe assai arduo separare con nettezza l’inten-zione weberiana di pensare le scienze sociali sotto la fattispecie

Wirklich-keitswissenschaften dal contesto culturale in cui quest’intenzione matura.

L’approccio weberiano specifica sin da subito cosa voglia dire ‘realtà’. Se la realtà si presenta sempre come «molteplicità infinita di processi», quan-do si parla di un’entità composita come la ‘scienza di realtà’, l’interesse dello scienziato sociale va da un lato alla connessione in cui si trovano i fenomeni, dall’altro al loro significato culturale, infine al perché ‘tecnico’ della loro configurazione contingente. La contingenza conoscibile, quindi, è strutturata, culturale, tecnicamente condizionata. La conoscenza è in-vece sempre e necessariamente parziale e tipica.

La scienza sociale, quale noi intendiamo svilupparla, è una scienza di

realtà. Noi vogliamo comprendere la realtà della vita che ci circonda, e

in cui noi siamo collocati, nella sua specificità; vogliamo comprendere cioè da un lato la connessione e il significato culturale dei suoi fenomeni particolari nella loro configurazione presente, dall’altro i motivi del suo essere storicamente divenuto così-e-non-altrimenti

[So-und-nicht-an-ders-Gewordensein]. Allorché facciamo attenzione al modo in cui essa

si presenta immediatamente a noi, la vita ci offre una molteplicità asso-lutamente infinita di processi che sorgono e scompaiono in un rappor-to reciproco di successione e contemporaneità. E l’assoluta infinità di questo molteplice rimane intensivamente nient’affatto diminuita anche quando prendiamo in considerazione un singolo ‘oggetto’ isolatamente. […] Ogni conoscenza concettuale della realtà infinita da parte dello spirito umano finito poggia infatti sul presupposto tacito che soltanto una parte finita di essa debba formare l’oggetto della considerazione scientifica, e perciò risultare ‘essenziale’, nel senso di essere ‘degna di venir conosciuta’ [wissenswert].5

3 Rickert, Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Begriffsbildung, p. 255; trad. it. p. 138.

4 «La scienza è scienza della realtà», in Troeltsch, «Voraussetzungslose Wissenschaft», coll. 1177-1182; riedito in Troeltsch, Gesammelte Schriften, vol. 2, p. 187.

5 Weber, «Die ‘Objektivität’ sozialwissenschaftlicher und sozialpolitiker Erkenntnis», in Weber, Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, pp. 170-171; trad. it., pp. 170-171. Già

Weber enuncia chiaramente la necessità di isolare, in modo arbitrario, ovve-ro, per quanto egli stesso enuncia a più riprese, con riferimento ai valori di chi fa ricerca, porzioni di realtà come degne di esser conosciute, ritaglian-done gli aspetti di causazione adeguata (perché così e non altrimenti) come ‘culturalmente significativi’, ovvero dotati di un senso ravvisabile dallo sto-rico proprio nel momento in cui costruisce l’oggetto stosto-rico – quanto viene espresso dalla complessa nozione di Wertbeziehung, mutuata da Rickert.6

‘Relazione di valore’ rappresenta semplicemente l’interpretazione filoso-fica di quello specifico interesse scientifico che dirige la selezione e la formulazione dell’oggetto di un’indagine empirica. […] Sono gli interessi culturali, e perciò gli interessi di valore, a indicare la direzione anche al lavoro delle scienze empiriche.7

La ‘realtà’ della scienza di realtà si configura come nozione plasmata dallo scienziato in un’infinità che nello stesso saggio sull’Oggettività, con espressione celebre, Weber chiama «priva di senso». L’investimento co-struttivo dello studioso di scienze sociali è di carattere tipologico-proget-tuale e la sua intenzione culturale nasce dalla e nella sfera valoriale per produrre una finzione: l’utopia razionale corretta.

Ai fini dell’imputazione causale di processi empirici noi abbiamo bisogno appunto di costruzioni razionali, tecnico-empiriche o anche logiche. […] Considerata dal punto di vista logico, la costruzione di una siffatta utopia razionalmente ‘corretta’ è però soltanto una delle diverse formazioni possibili di un ‘tipo ideale’.8

nel primo saggio metodologico, «Roscher und Knies und die logische Probleme der histori-schen Nationalökonomie» (in Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, p. 3; trad. it. p. 9), Weber parla della «distinzione, oggi usuale, tra scienze di leggi [Gesetzeswissenschaften] e scienze di realtà», richiamando oltre a Windelband, Simmel e Rickert, anche Carl Menger. In questo saggio, come rileva assai correttamente Petrella, La ‘silenziosa esplosione del

neo-kantismo’, pp. 48-49, Weber impiega «in primo luogo la medesima terminologia e, in secondo luogo, la medesima scansione argomentativa di Lask circa l’identità e la differenza della

dottrina emanatistica rispetto alla costruzione matematica».

6 Sull’eredità di Rickert in Weber, nel nesso tra significatività e valore come riferimento al valore, si veda ancora il classico Aron, La philosophie critique de l’histoire, pp. 131-135. Sulla metodologia weberiana, le sue fonti (da Jellinek a Kries) e le sue conseguenze (da Popper a Von Hayek) cfr. la recente disamina di Oliverio, Metodo e scienze sociali, pp. 27-62. Per una ricostruzione compiuta del dibattito su scienza e valori nell’immediato seguito della conferenza weberiana su La scienza come professione, cfr. infine l’indispensabile volume di Massimilla,

Intorno a Weber.

7 Weber, «Der Sinn der ‘Wertfreiheit’ der soziologischen und ökonomischen Wissenschaf-ten», in: Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, pp. 473-474; trad. it., p. 568.

8 Weber, «Der Sinn der ‘Wertfreiheit’ der soziologischen und ökonomischen Wissenschaf-ten», in: Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, p. 497; trad. it., p. 591.

Costruzione utopica, ma tecnicamente funzionante nello spiegare i nessi causa-effetto che producono un effetto comprensibile attraverso il nome

scelto per via delle opzioni culturali, il tipo ideale è appunto quanto deve

esser costruito dallo scienziato nel ravvisare nessi tra i fenomeni, e nel determinarne i tratti salienti con una dose più o meno ampia di astrazione, ma anche – tutto il Nachlaß di Economia e società sta a testimoniarlo – con un’ampia messe di esempi, di cui Weber non si stanca di rimarcare la distanza rispetto al modello ideale, ma che culturalmente e

significativa-mente vi rimandano. Questo nesso plasmante inevitabile tra realtà storica

e modello ideale riferito al valore era stato opportunamente definito da un filosofo cui si ritornerà a più riprese, Emil Lask, nella sua

Rechtsphi-losophie del 1905.

Se il suo maestro Rickert aveva ha sottolineato che la presa in consi-derazione dei significati culturali non dev’essere intesa come un diretto giudizio di valore, ma unicamente come relazione puramente teoretica ai valori, dunque come mezzo della mera plasmazione della realtà

(Wirklich-keitsumformung), secondo Lask, piuttosto, il compito delle scienze della

cultura non consiste nel determinare la validità assoluta (absolute Geltung) dei significati culturali, ma nel dare rilievo alla effettività

(Thatsächlich-keit) puramente empirica e temporale della loro apparizione (Auftreten).

In gioco, attraverso la classica distinzione giusfilosofica effettività-vali-dità riportata all’epifania empirica, storicamente collocata, dei significati culturali, sembra esserci per lo scienziato della cultura quella che può definirsi come una sorta di storicizzazione del valore, che non implica però l’esprimere giudizi di valore. Lo scienziato sociale rinviene solo il farsi storico di qualcosa che egli, per interessarsene, valuta come riferito ai ‘suoi’ valori, ma questo reperto non cagiona di per sé l’esplicitazione d’un giudizio sul fenomeno storico che da questi valori risulti condizionato. Non rileva né interessa una determinazione totale del ‘significato cultura-le’ che si esprime nel dire il valore dell’oggetto formato attraverso il tipo, che è inevitabilmente pertinente alla cultura ma anche alla sua storicità. Quel che rileva, nota Lask, è altro: è l’effettività peculiare che ha ospitato la realizzazione del valore. Dato che il reale nella sua effettività è sempre uguale, identico a sé nel suo divenire, quel che viene circoscritto è invece l’essere del divenire – in questa uguaglianza a se stesso l’evento è ciò che avviene in scena, certo non la scena stessa.

Chi volesse ricavare criteri di valore dalla storia dovrebbe nel modo più conseguente considerare pieno di valore tutto ciò che allo stori-co in quanto scienziato appare significativo per l’esposizione dei nessi storici. […] Dovrebbe – se vogliamo metterla in termini metodologici – semplicemente assolutizzare il prodotto della tendenza empiristica di una singola scienza. […] L’effettività storica, essendo sempre racchiusa nella mera temporalità e, in questa sua formale struttura fatticistica,

restando ovunque uguale a se stessa, non garantisce alcun principio di

rilevazione del valore assoluto, ma si limita a dare un teatro al valore [bietet dem Werte lediglich einen Schauplatz dar].9

Ecco quindi, con espressione elegante, ma non meno cruda, il precipitato del pensiero di Lask per il nostro tema. La Wirklichkeit di cui ragiona il neokantismo al volger del secolo nella sua struttura di fatto è sempre uguale a se stessa, ovvero costituisce la ‘scena’ del valore e ne attende l’ingresso per dare legittimità al proprio esistere: come una scena attende le sticomitie tra attori, così l’empiria si presta al conflitto tra i valori.

Le discipline sistematizzanti estraggono dalla complessità del dato mo-menti culturali tipici, non per, come fa la storia, rappresentarli

(darstel-len) come significatività incomparabili e inscindibili dell’individuale che si

succedono in un unico sviluppo temporale, ma per elevarli proprio nella loro struttura formale espressamente isolata a concetti-guida delle singole discipline della cultura.10

Con grande acume, la storia come disciplina viene qui identificata da Lask come scienza che estrae da un dato non semplice (come indicato da Simmel, per cui incapace di porre leggi) delle «significatività incompara-bili e inscindiincompara-bili». L’aggettivazione resta curiosa: le discipline sistema-tizzanti hanno il compito di riformare elementi semplici – atomi storici – attraverso una tipologia arbitraria che individua il valore in scena e nel collegare i due diversi istanti temporali (presente e passato) crea dei nessi semantici isolati. L’unicità non è più quella del fenomeno, ma del nesso costruito.

Non solo, il confronto tra le versioni dello scritto laskiano mostra un’in-decisione di Lask tra due diverse concezioni del ruolo della storia: se nel 1907 la storia darstellt, espone e rappresenta, i momenti tipici della cultura, nel 1905, in una chiave radicalmente più nietzscheana, Lask scriveva che la storia «fa svanire nuovamente»11 tali momenti. Scrivere storia nel 1905 voleva dire replicare il divenire, e il dionisiaco momento di sparizione. Due anni dopo, nell’edizione finale dello scritto, vuol dire, con maggiore ade-sione al movimento di pensiero weberiano, ‘rappresentare’.

9 Lask, «Rechtsphilosophie», in Gesammelte Schriften, vol. 1, p. 290; poi in Sämtliche

Werke, vol. 1, pp. 246-247; trad. it. in: Lask, Filosofia giuridica, pp. 11-75; poi in: Lask et al., Metodologia della scienza giuridica, pp. 27-28 (trad. modificata).

10 Lask, «Rechtsphilosophie», in Gesammelte Schriften, p. 307; poi in Sämtliche Werke, p. 263; trad. it. p. 50.