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Il filosofo e la tirannia in Eric Voegelin

3 Il filosofo e l’ordine politico

La filosofia della storia voegeliana si concentra in modo particolare sugli «eventi di differenziazione»: nel corso delle epoche, l’uomo esperisce e simbolizza la realtà secondo gradi qualitativamente diversi di articolazio-ne intellettuale e spirituale. Quest’opera ermearticolazio-neutica – che si esprime in simboli mitici, gnostici, teologici, ideologici ecc. – è alla base di ogni ordine umano. Una società politica si legittima e si struttura come rappresenta-zione storica di una verità trascendente:

Essa è resa trasparente grazie ad un elaborato simbolismo, che presenta vari gradi di compattezza e di differenziazione – dal rito, attraverso il mito, alla teoria – e questo simbolismo le conferisce significato nella misura in cui i simboli rendono trasparenti, per il mistero dell’umana esistenza, la struttura interna di codesto cosmion, le relazioni tra i suoi membri e fra i gruppi dei suoi membri, come pure la sua esistenza come un tutto. L’autoilluminazione della società attraverso i suoi simboli è parte integrante della realtà sociale – si può anzi dire parte essenzia-le – perché, attraverso taessenzia-le simbolizzazione, i membri di una società la esperimentano di più che un disagio o una comodità: la esperimentano come parte della loro stessa essenza umana.24

20 Voegelin, «Popular Education, Science and Politics», p. 88.

21 Voegelin, «Fragment zu Max Weber», 1936, inedito largamente citato in Sigwart, Das

Politische und die Wissenschaft, p. 127

22 «Per restaurazione della scienza politica intendiamo un ritorno alla consapevolezza dei principi, non un puro e semplice ritorno al contenuto specifico di soluzioni del passato» (Voe-gelin, La nuova scienza politica, p. 35).

23 Voegelin, La nuova scienza politica, pp. 226 sgg.

Compito della filosofia della storia è analizzare criticamente le diverse articolazioni simboliche tra immanenza e trascendenza. I passaggi a for-me nuove di differenziazione si legano sempre a una krisis: la fondazione della episteme politikè da parte di Platone e Aristotele ai tempi della crisi ellenica; la Civitas Dei di Agostino alla fine dell’Impero romano e all’av-vento del cristianesimo; la filosofia del diritto di Hegel durante la crisi dello Stato moderno.

Una crisi esplode quando diverse verità entrano in competizione tra lo-ro per il monopolio della rappresentazione politica. È la «fondamentale esperienza»25 messa in scena nell’Apologia platonica: Socrate è costretto da Atene all’esodo ‘infracittadino’ e poi al suicidio.26 La ‘verità antropologica’ emersa dalla meditazione filosofica mette infatti in discussione l’interpre-tazione cosmologica degli antichi imperi: all’ordine compatto del cosmo, Socrate contrappone l’ordine ‘differenziato’ della psiche e del nous.27 Al principio di questa svolta si trova l’esperienza trascendentale del divino che viene sperimentato dall’anima come una realtà esterna al cosmo. Si com-prende la radicalità di questo passaggio se si considera come per Voegelin la società si organizza in relazione alla risposta che essa di volta in volta offre al problema della partecipazione dell’uomo all’ordine dell’essere.28

Il filosofo è il custode della differenziazione: richiamandosi non più al racconto mitico, ma al theorein dei principi, egli frena un eventuale rovi-noso passo indietro della storia. La filosofia rappresenta un codice di verità che è in competizione con quello ufficiale difeso dalla retorica politica. Il confronto di Socrate con Callicle nel Gorgia riassume in modo esemplare questa polarità tra filosofia e politica, verità e retorica:

I poli della tensione dell’anima si confrontano separandosi nel campo storico, fra uomini che sono caduti nel tempo e gli altri, che vivono per l’eternità; tra i viventi che attraverso lo splendore del tempo vanno alla morte, e i morti che, attraverso la loro vita nella tensione del giudizio, vanno verso l’eternità.29

25 Lettera a L. Strauss del 9 dicembre 1942 in Voegelin, Selected Correspondence, 1924-1949, p. 338; si veda la postfazione di Gebhardt, «Die Ordnungserfahrung der Philosophen und die bürgerschaftliche Welt der Polis», pp. 291-306.

26 Sul rapporto tra filosofia e polis si veda anche Chignola, Pratica del limite, pp. 157 sgg.

27 Sul rapporto con la filosofia greca si veda: Ruggiu, «Voegelin e la filosofia greca classica», pp. 25 sgg.

28 Nell’opuscolo Politische Religionen (1938) questa svolta veniva ancora descritta in termini generici, distinguendo tra quelle religioni che concepiscono il divino come fondamento tra-scendente del mondo e quelle, invece, che lo trovano in parti stesse del mondo: le «religioni intramondane». Sul concetto di religione politica: Herz, «Die politischen Religionen im Eric Voegelin»; per una storia di questo testo si veda: Opitz, Eric Voegelins Politische Religionen.

Il sapiente, che a differenza del sofista si lascia guidare dal logos, giudica la città alla luce dei principi universali. Questo act of judgment svuota in sostanza la polis della sua pretesa assoluta di sovranità.30 Il giudizio del foro politico è ormai relativo a quella norma del bene e del male che è al di là del potere politico. Anche il successo di una vita, secondo Platone, non è più misurabile nel tempo da un tribunale umano, ma solo dai morti, quando l’anima è libera dal corpo: «La vita dunque dev’essere vissuta in attesa di questa trasparenza finale, sub specie mortis, invece che sotto gli impulsi della volontà di potenza e di status sociale».31 Nel dialogo col sofista Cal-licle – espressione della città corrotta e votata alla tirannia – Socrate loda la figura dell’uomo politico in grado di rappresentare l’ordine dell’essere in accordo coi principi morali colti dall’intelletto. L’anima aperta al tra-scendente diventa insomma strumento di critica sociale: «Questa nuova misura per giudicare la società non è affatto l’uomo in quanto tale, ma l’uomo in quanto è diventato rappresentante della verità divina attraverso la differenziazione della sua anima».32 Così la tragedia antica tramonta col sorgere del dialogo socratico: avviene «la translatio della verità dal popolo di Atene a Socrate».33

La fondazione mitica della polis viene superata da una nuova pratica del pensiero che ha il suo cardine nel concetto di verità. L’interpretazione ‘non-noetica’, cioè dogmatica, dell’ordine lascia il passo – anche se mai in modo completo – a quella ‘noetica’. È l’esperienza dell’eros descritta da Socrate:

la filosofia nel senso classico non è un corpo di idee o di opinioni intorno alla divina causa, dispensate da una persona che si definisce filosofo, ma una ricerca effettiva dell’uomo sul suo angoscioso porsi la questione della fonte divina che lo ha generato.34

Questo mettere in questione le convinzioni tradizionali possiede un carat-tere eversivo per la città: «ogni pensare sullo Stato è una forma latente di tradimento».35 Ne segue un tentativo continuo di delegittimazione pubbli-ca: «dal punto di vista della polis il filosofo diviene un ateo; per la teologia della rivelazione egli diviene un eretico; per l’ideologia rivoluzionaria egli è un reazionario che rappresenta un’ideologia civile».36 Per Voegelin,

que-30 Voegelin, Plato and Aristotle, p. 68.

31 Voegelin, «I movimenti gnostici di massa nel nostro tempo».

32 Voegelin, Plato and Aristotle, p. 101.

33 Voegelin, Plato and Aristotle, p. 107.

34 Voegelin, «L’esperienza classica della ragione», p. 60.

35 Voegelin, «Fragment zu Max Weber», p. 125.

sto conflitto con la città non deve però portare il filosofo a sacrificare la propria vita. La morte di Socrate non è un modello per tutti:

Platone non si abbandona alla imitatio Socratis; rifiuta il dovere di mo-rire in obbedienza alla legge di Atene sia per lui stesso che per i mem-bri dell’Accademia. […] Dobbiamo immaginare questa situazione per comprendere la rabbia fredda di Platone che era costretto a vivere in obbedienza a un governo di bestie che faceva uccidere i migliore dalle bestie e per le bestie.37

Ciò non significa fuga, ma distacco: Platone rifiuta sia la via impolitica dei cinici, indifferenti alla polis, che la prospettiva cospirativa che congiura con lo straniero. Si mantiene invece sostanzialmente fedele alle autorità costituite. Lo stesso vale, secondo Voegelin, anche oggi. Non si tratta di fomentare il disordine o di creare nuovi partiti: «La tirannia della plebe non può essere trasformata in libertà contrapponendo una tirannia del-lo spirito».38 Più che calarsi nel conflitto amico-nemico, la filosofia ha il compito di testimoniare lo spirito come il totalmente altro. Il politico, nel modello platonico, non è né il filosofo-re della Repubblica – cioè colui che governa seguendo le idee –; né il dux, che sul modello di Gioacchino da Fiore, ha ispirato Comte, Marx o Hitler; ma è colui che «realizza un incre-mento di ordine spirituale in un mondo disordinato».39

È interessante confrontare questa lettura voegeliana, per molti versi

unpolitisch, con quella di Hannah Arendt che invece interpreta la morte di

Socrate in una prospettiva eminentemente politica.40 Il filosofo di Atene rappresenta infatti un modello per coloro che preferiscono subire un torto, piuttosto che commetterlo. Una scelta che alcuni avevano fatto durante il regime nazista, sapendo che non avrebbero potuto convivere con se stessi se avessero agito contro i più alti valori morali.41

37 Voegelin, Plato and Aristotle, p. 197; qui Voegelin sta commentando il Teeteto.

38 Voegelin, Plato and Aristotle, pp. 197-198.

39 Voegelin, Plato and Aristotle, pp. 211-212.

40 Henningsen, «The Arendt-Voegelin Controversy on Totalitarism».

41 Il processo di Atene è assunto anche come chiave del processo Eichmann, dove la Arendt assiste all’abisso di un uomo che ha perduto la capacità di pensare nel senso socratico di dialogo della coscienza con se stessa. In merito si veda Vallée, Hannah Arendt, Socrate e la