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Kant e la ricomprensione finalistica del concetto di accidente

La ‘scienza di realtà’ e la tirannia dell’irrazionale tra Weber e Lask

5 Kant e la ricomprensione finalistica del concetto di accidente

L’attacco che Scheler muove a Weber secondo uno schema che si collau-derà sempre più (nominalismo, antifilosofia, prodromi di pensiero irrazio-nalista-decisionista) è leggibile in più direzioni. Resta significativa, per la direzione che si vuole qui segnalare, tuttavia, la manchevolezza che

Sche-17 Scheler, «Max Webers Ausschaltung der Philosophie», p. 434; trad. it., p. 151 (trad. mo-dificata).

18 Weil, La logique de la philosophie, p. 289; trad. it., p. 398 (categoria della Personalità): «la sua sola guida è il sentimento. Ed è una guida che non parla né tace: indica. […] Indica che l’arrivo è lo smarrimento del cammino, il contento [le contentement] è la distruzione, che il divenire è l’essere e l’essere è il nulla». Sulla categoria resta fondamentale l’analisi di Valentini, Rileggendo la «Logica della filosofia» di Eric Weil, soprattutto pp. 306-310.

ler individua in Weber relativamente a quanto si può chiamare la questione della ‘tecnica’ del ‘tipo’, ovvero il disinteresse weberiano per la ragione oggettiva – al di là dell’interesse valoriale che muove l’investigazione – per cui una certa ‘tipica’ può funzionare meglio di altre, per cui un certo ‘interesse storico’ precipitato nell’indagine può dare frutti migliori (se non frutti in assoluto) rispetto a un’altra ipotesi costruttivo-ricostruttiva di carattere formalmente ‘razionale’. Se ciò che per Scheler è la validità concreta e materiale dei valori in una sfera oggettiva e autonoma, per We-ber è invece ‘realtà’ di un istante di scelta, in ultima analisi imponderabile, al di là della validità della critica di Scheler occorre indagare, sotto un profilo di ricerca trasversale come quello della tecnica ‘tipologica’, quale statuto rivesta la ‘ragione’ in Weber, al di là dell’imperversante criterio della ‘razionalizzazione’ che colora e struttura ogni sua analisi.20

Difatti, se si parla di ‘tecnica’ tipologica di un artefatto quale il costrut-to ‘scostrut-torico’ ricostruicostrut-to da chi la scostrut-toria la scrive, può non esser vano, per chiarire il punto che Weber elude, ricorrere all’analisi d’un elemento che finora non è emerso appieno dalla rapida indagine svolta: l’elemento della causa finale della ricerca storica, per wertbezogen che sia. Quel principio – la finalità – che a fine Settecento Kant, padre nominale della generazione filosofica in cui Weber nasce e prospera, aveva trattato anche in relazione all’oggetto-ambito della storia, come sottolineato in età per nulla neokan-tiana da un originale interprete del Kant filosofo della storia come Gilles Deleuze, che torna al problema, già simmeliano, della distanza tra leggi della natura e leggi della storia.

La storia, così come appare nella natura sensibile, ci mostra esattamente […] puri rapporti di forza, antagonismi di tendenze. […] Il fatto è che la natura sensibile resta sempre sottomessa alle leggi che le sono proprie. Ma anche se è incapace di realizzare il suo fine ultimo, cionondimeno deve rendere possibile la realizzazione di questo fine in conformità con

le proprie leggi.21

La storia, il cui fine ultimo è l’essere umano acculturato, genericamente, la

Kultur che predispone al dominio dell’Endzweck (ossia il soggetto morale),

20 Del problema della trasformazione del concetto di ‘ragione’ in Weber parla con ampi ri-ferimenti al neokantismo (e in parte a Lask) Bianco, Le basi teoriche dell’opera di Max Weber, pp. 27-46.

21 Deleuze, La philosophie critique de Kant; trad. it. pp. 123-124. Riportiamo la necessaria premessa teorica di questo discorso: «La natura sensibile in quanto fenomeno ha come so-strato il soprasensibile. In questo soso-strato si conciliano il meccanismo e la finalità della natura sensibile, l’uno concernente ciò che in essa è necessario in quanto oggetto dei sensi, l’altra ciò che in essa è contingente in quanto oggetto della ragione. Ciò che vi è di contingente nell’ac-cordo della natura sensibile con le facoltà dell’uomo è una suprema apparenza trascendentale, che nasconde un’astuzia del soprasensibile» (p. 122).

deve esser pensabile come rapporto produttivo-generativo di artefatti che concretizzano tale finalità in accordo sempre contingente (eppure, sotto un profilo critico, necessario) con le leggi della natura, senza cui non è pensabile l’attuazione di un fine. Questo discorso concerne il giudizio che si dà su qualsiasi materiale fenomenico, il giudizio di qualsiasi ‘scienza di realtà’.

Quando consideriamo il giudizio teleologico […] si tratta ora di una finalità oggettiva, materiale, che implica dei fini. Ciò che domina è l’e-sistenza di un concetto di fine naturale, che esprime empiricamente l’unità finale delle cose in funzione della loro diversità.22

Nel commento di Deleuze, il concetto kantiano di Naturzweck trova diritto di cittadinanza nel momento in cui si pronuncia un giudizio teleologico e alla sua espressione individuale si accorda riflessivamente un concetto di totalità-unità delle cose in una ‘natura’ pensata secondo leggi. Ma quest’u-nità è pensata appunto, secondo la nitida espressione deleuziana, «in fun-zione della loro diversità». Di conseguenza, proprio in quanto eterogeneo, il molteplice empirico esprime nella sua contingente legalità l’ambito di validità oggettiva del principio di finalità che la ragione le consegna in funzione regolativa. L’empiria organizzata è giudicata in chiave finalistica, ma sulla base di una cogenza necessitante di specie del tutto peculiare, non fondata nell’oggetto, ma nella ragione.

Questa corretta sottolineatura di uno dei passaggi capitali del discorso kantiano concernente la Urteilskraft e del suo principio teleologico non è affatto estranea all’orizzonte neokantiano tedesco di mezzo secolo prima, ma è singolare la risoluzione che viene data, e la piega ermeneutica presa, all’interno della trattazione di uno degli studiosi più oscuramente influenti, nonché tra gli interlocutori più apprezzati di Weber, il più giovane – e già citato – Emil Lask.

Quando Lask, nel suo libro Fichtes Idealismus und die Geschichte del 1902, cerca i prodromi di quanto sta per reperire in Fichte, li va a scovare nei paragrafi più densi della seconda parte della Critica della facoltà di

giu-dizio, segnatamente quelli in cui si dimostra l’impossibilità di un intelletto

intuitivo umano. Si sofferma in particolare sul §76, dove Kant smonta tale ipotesi facendo agio sulla dicotomia necessità-contingenza, che andrebbe a svanire qualora si desse un intelletto intuitivo.

Il concetto di un essere assolutamente necessario è sì un’idea indispen-sabile della ragione, ma è un concetto problematico, irraggiungibile per l’intelletto umano. Esso ha però un valore per l’uso delle nostre facoltà conoscitive, secondo la loro peculiare costituzione, tuttavia non riguardo

all’oggetto e dunque non per ogni essere che conosce: infatti non posso presupporre in ogni essere il pensiero e l’intuizione come due diverse condizioni dell’esercizio delle sue facoltà conoscitive, di conseguenza del-la possibilità e realtà delle cose. Per un intelletto in cui non intervenisse tale distinzione ciò significherebbe questo: «tutti gli oggetti che conosco

sono (esistono)»; e la possibilità di alcuni oggetti che tuttavia non esistono,

cioè la loro contingenza (Zufälligkeit) qualora esistano, e dunque anche la necessità che va distinta dalla contingenza, non potrebbero affatto entrare nella rappresentazione di un tale essere.23

Letta sotto questa prospettiva, l’impossibilità di un intelletto intuitivo potrebbe dirsi la ragione per la ‘salvezza dei fenomeni’ in Kant. Se il ‘fina-lismo’ dell’oggetto non può dirsi interno all’oggetto stesso, la contingenza di oggetti in generale viene determinata proprio dall’esser potuta esser altrimenti (e dall’esser così), grazie all’impossibilità per il nostro intelletto di pensare se non in questi termini il profilo del fenomeno, perché discor-sivo. Nel fissare l’insufficienza dell’intelletto umano e la sua ineludibile discorsività, Kant fissa anche la ‘regolatività’ della ragione in riferimento all’irrazionale contingente. Se l’intelletto, con le sue leggi, non è affatto in grado di calcolare nella loro completezza gli effetti della causalità della ragione una volta che essa si esplichi – come necessariamente accade nella libertà ‘esterna’ – in natura, e quindi quando è soggetta a tutt’altre leggi rispetto alla determinazione causale della ragione pura pratica, resta però l’oggettiva ed efficace azione pratico-regolativa dei principî della ragione, e quindi della finalità stessa, all’interno di questa sfera: «i giudizi dati in questo modo […] non possono essere principî costitutivi che determinano l’oggetto per come esso è fatto, rimarranno però, commisurati all’intento umano, principî regolativi, immanenti e sicuri nell’esercizio».24

Eppure l’ineludibile ‘regolatività’ di tali principî è al contempo quanto vi è di necessario per pensare il nesso che si dà tra leggi particolari e tra tali leggi e i fenomeni contingenti, e che non può non essere all’opera nel determinare come la Urteilskraft affronti il materiale fenomenico a sua disposizione, vale a dire, dalla nostra prospettiva, quanto vi è di storico. Nell’operare tecnicamente sul patrimonio empirico, non si lavora solo in base a una funzione di sintesi, ma su una presunzione ipotetica di ‘unità’ all’interno dell’intreccio di contingenze, che è dettata da un interesse della ragione ed è quanto configura il suo ‘tipo’-ricostruttivo secondo una determinata modalità.

Dato che il particolare in quanto tale contiene riguardo all’universale qualcosa di contingente, e tuttavia la ragione richiede nel legame delle

23 Kant, Kritik der Urteilskraft, §76, B 341-342; trad. it., p. 235.

leggi particolari della natura anche unità e quindi legalità (la quale le-galità del contingente si chiama finalità [welche Gesetzlichkeit des

Zu-fälligen Zweckmäßigkeit heißt]), e la derivazione delle leggi particolari

da quelle universali, riguardo a ciò che esse contengono di contingen-te, è impossibile a priori mediante determinazione del concetto degli oggetti, allora il concetto della finalità della natura nei suoi prodotti sarà un concetto necessario per la facoltà umana di giudizio riguardo alla natura, che però non interessa la determinazione degli oggetti stessi, e dunque un principio soggettivo della ragione per la facoltà di giudizio, che in quanto regolativo (non costitutivo) vale altrettanto necessariamente per la nostra facoltà umana di giudizio, come se fosse un principio oggettivo.25

È proprio in questa nozione di validità come se fosse principio oggettivo che si fissa il principio di finalità, dato che ad esso viene assegnata una cogenza necessaria per la facoltà-ponte tra teorico e pratico, l’ineffabile facoltà-forza-capacità governata dalla necessità che quel principio si og-gettivi, benché «principio soggettivo della ragione». Si tratta di un’ogget-tività interna al soggetto che tuttavia si dà come «legalità del contingente» in ogni ente organizzato e che si appalesa nel più complesso aggregato atto a presentarsi come sistema, la ‘storia’. Ciò nulla toglie, a seguire l’analisi kantiana del ‘kantiano post-hegeliano’ Eric Weil, autore come Lask di una

Logica della filosofia,26 al «carattere non-necessario, non deducibile della presenza del senso», ma permette altresì di dare corpo alla necessità pra-tica che «la natura, in quanto natura, debba essere concepita in modo tale che possa prestarsi al pensiero di un fine, di una finalità, di un senso».27