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Uno dei problemi che il legislatore delegato si è dovuto porre è quello del nesso di imputazione oggettiva tra il reato – rectius, il fatto di reato – commesso dalla persona fisica e l’ente. Scartata l’iniziale ipotesi di utilizzare la locuzione “reati commessi per conto” – un’espressione formale desunta dall’ambito civilistico – la soluzione migliore è apparsa quella di riprendere il duplice requisito dell’interesse e del vantaggio, anche se nella legge delega si parlava soltanto di interesse: è attraverso questo legame che, allo stesso tempo, si aderisce alla teoria organica e si salvaguarda la conformità con l’art. 27 della Costituzione120. Come affermato dall’art. 5, la responsabilità dell’ente in ogni caso non sussiste qualora gli agenti abbiano commesso l’illecito nell’interesse esclusivo di loro stessi o di terzi, senza coinvolgere, anche in modo non prevalente121, l’ente. Siamo qui in presenza di una clausola di irresponsabilità della persona morale, che riguarda solo il primo degli elementi ed esclude il vantaggio: come spiegato dalla Relazione al decreto, in caso di interesse non esclusivo, il giudicante non dovrà neppure spingersi alla verifica del vantaggio122. Alla regola generale viene posta una rilevante eccezione nel caso dell’art. 25-ter (reati societari), introdotto dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, poi modificato con l. 28 dicembre 2005, n. 262. In questo caso è richiamato solo l’interesse.

La coppia di requisiti ha provocato non poche discussioni interpretative. Una prima lettura li vede disgiunti, forte di motivi tanto letterali (la congiunzione disgiuntiva “o”), quanto sistematici (l’art. 12, comma 1 prevede la possibilità di riduzione delle sanzioni a carico dell’ente se l’interesse della persona fisica è stato prevalente e non vi è stato vantaggio per il soggetto collettivo; è allora palese che il legislatore intende due aspetti separati che sono, semplicemente, accostati l’uno all’altro).123 Anche la giurisprudenza di merito ha affermato che il criterio

oggettivo di responsabilità “esprime due concetti giuridicamente diversi”124. La

120 Cfr. C. DE MAGLIE,2002,pp. 1342 ss. 121 Come puntualizzato da Cass 9 luglio 2009. 122 Così la Relazione al decreto

123 A.PRESUTTI A.BERNASCONI, 2013, p. 62. 124 Cass, 17 marzo 2009.

stessa clausola di esclusione della responsabilità sembra suggerire l’idea che mentre l’interesse dell’ente potrebbe essere da solo sufficiente a giustificare la condanna, il vantaggio (in caso di un interesse esclusivo della persona fisica) non sarebbe sufficiente.

L’interesse viene ricondotto, sulla scorta del modello delle persone fisiche, ad una sfera soggettivo-finalistica e, proprio per questo, si ritiene debba essere valutato ex ante, con uno sforzo del giudice per porsi nel momento dell’azione: ben potrà, in seguito, dimostrarsi inattuato o addirittura irrealizzabile, ma essere comunque presente nella prospettiva dell’agente.

Diversamente, il vantaggio richiede una valutazione sempre ex post125: solo dopo che si sia verificato l’evento del reato presupposto è possibile un controllo circa la sua esistenza ed entità. Si può dunque “distinguere un interesse ‘a monte’ per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante”126. Una parte della

dottrina ritiene inoltre che un segno distintivo del vantaggio sia la sua natura patrimoniale: non sarebbe infatti possibile in alcun modo disancorare da una dimensione materiale questo requisito, mentre è possibile nel caso dell’interesse.

Altri autori hanno invece proposto un’endiadi: i due termini sarebbero espressione di un vero e proprio interesse oggettivo, che non si esaurisce in ciò che i singoli autori materiali si rappresentavano o desideravano, ma, attraverso una connotazione oggettiva, si lega alla condotta127.

I requisiti in parola si applicano con una certa difficoltà ai reati colposi: è possibile che da un elemento di mancato rispetto delle regole cautelari, ovvero da un colpa generica, derivi un vantaggio o un interesse dell’ente? È necessario ricordare che tanto per i reati dolosi quanto per i reati colposi commessi dalla persona fisica, il comportamento dell’ente non può che esprimere una inadeguatezza organizzativa, per non avere reagito al rischio del verificarsi di un’azione criminosa (con indifferenza per gli interessi potenzialmente

125 Come affermato dalla stessa Relazione al decreto e da Cass, 9 luglio 2009. 126 Cass 17 marzo 2009.

pregiudicabili). Se però anche il reato presupposto è colposo, occorre indagare se la colpa del singolo derivi da una carenza della struttura prevenzionistica, alla quale ben potrebbe essere associato un vantaggio in termini patrimoniali per l’organizzazione. L’altro filone tende ad imputare l’ente per il fatto stesso di non aver vigilato opportunamente sulla possibilità che alcuni reati si verificassero; è qui ovvio il rischio di scivolare verso paradigmi di responsabilità oggettiva. In ogni caso – sostiene taluno128 – il parametro dell’interesse e del vantaggio dovrà rapportarsi non all’evento, ma alla condotta tenuta dall’agente. La giurisprudenza si divide: in alcuni casi, si è osservata una tendenziale compatibilità tra il reato colposo e l’interesse o vantaggio, legati alle scelte di minore rigore tenute dall’ente circa i sistemi per tutelare, per esempio, la sicurezza dei lavoratori.129 In

altri casi, i giudici hanno osservato come il collegamento oggettivo tra i due fenomeni criminosi, segnato dal requisito dell’interesse e vantaggio, vada ascritto non all’evento lesivo, ma alla condotta di violazione delle regole cautelari che ha reso possibile la commissione del reato. L’evento viene imputato all’ente in senso, per così dire, mediato, solo in quanto conseguenza della violazione delle regole cautelari.130