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Secondo altre interpretazioni, non sarebbe possibile escludere a priori una responsabilità di impedimento del reato.

Una prima ricostruzione critica l’esclusione della posizione di garanzia in quanto “troppo drastica” ed idonea a creare “falsi affidamenti”414. Non si vuole

409 F.F.MANZILLO, 2012, p. 204. 410 P.SFAMENI, 2002, p. 90 411 A.FIORELLA, 2006, p. 5105. 412 A.ALESSANDRI, 2002, p. 544. 413 A.MEREU, 2006, pp. 95 ss. 414 IANNINI A.ARMONE G.M., 2005, p. 94.

però neppure costruire una sorta di presunzione che induca a rilevare in ogni caso la responsabilità di quest’organo; al contrario, se ne potrebbe ammettere la possibilità in presenza del requisito soggettivo appropriato – un elemento che non manca di suscitare alcuni problemi, soprattutto in relazione alla possibile distanza tra i garanti e gli agenti – e muovendo dalla finalità preventiva del modello di organizzazione e gestione. Il modello è infatti costruito al fine di ostacolare determinate condotte; risulterà determinante “il raffronto tra la procedura prevista nel modello per la prevenzione del reato e la concreta condotta in cui il reato si è concretizzato; quanto più il protocollo organizzativo avrà una sua specifica funzione preventiva di una determinata condotta e quanto più tale condotta si avvicini alla condotta che integra la fattispecie delittuosa, tanto più potrà dirsi che tale condotta è causalmente ricollegabile alla omessa vigilanza sul rispetto del protocollo”.415

Questa interpretazione sembra però viziata da un errore strutturale: l’attribuzione della responsabilità sembra dipendere, tra gli altri fattori, dalla efficacia preventiva (dedotta però dalla semplice descrizione) e dalla corrispondenza tra la condotta menzionata e quella tipica. Si badi: non si tratta di una valutazione dei poteri che i garanti sarebbero in grado di esercitare per impedire il corso dell’azione criminosa, ma piuttosto della completezza del modello stesso, della somiglianza tra la condotta descritta e quella penalmente rilevante (dunque il modello ottimale sarebbe quello che si limitasse a riportare le descrizioni legislative delle fattispecie che sono richiamate nella parte speciale del decreto?). Uno degli elementi su cui si fonda il rimprovero penale è quindi determinato dal contenuto e dall’accuratezza del modello. Come abbiamo appurato, la stesura iniziale del modello è di competenza degli amministratori, mentre per quanto riguarda l’aggiornamento c’è una sorta di azione congiunta tra l’organo esecutivo e l’odv; ne consegue che i soggetti investiti della responsabilità gestoria avrebbero la possibilità di fare o meno ricadere la responsabilità penale sull’odv, configurando un modello più o meno accurato? La formulazione di questa teoria sembra infatti fare riferimento ad una progressione graduale. Ci si chiede se i singoli membri dell’odv siano in grado di decifrare correttamente

quanto il modello sulla base del quale si trovano, in concreto, ad operare, abbia caratteristiche tali da poter essere fonte di responsabilità. Ci sembra, in proposito, che possano essere avanzate alcune perplessità in merito alla determinatezza di un simile requisito, soprattutto ponendo mente all’eventualità di un aggiornamento relativamente frequente, in particolare per le diverse sollecitazioni normative.

Alcuni autori fanno invece risalire l’origine della posizione di garanzia al ruolo stesso che i modelli rivestono nel sistema della responsabilità dell’ente, considerando l’odv come il suo “fulcro”.416 Anche chi è decisamente contrario

all’affermazione della posizione di garanzia riconosce infatti che l’obbligo di vigilanza si lega alla tutela di interessi che travalicano i confini dell’organizzazione, per approdare ad un ambito più generale417. Nel disegno del

d.lgs. 231/2001, “logica della ‘garanzia’ e logica della ‘prevenzione’ si intrecciano funzionalmente, rispecchiando la necessità che l’addebito rivolto all’ente debba essere ancorato al mancato rispetto di standard doverosi, rectius alla mancata adozione”418 dei modelli comportamentali; a conferma di ciò,

l’esclusione della responsabilità dell’ente collettivo discende dalla corretta implementazione di questi piani. La teoria individua una “macro-posizione” di garanzia, un obbligo di impedire l’attività criminosa del quale è formalmente investito l’intero ente; questa, tuttavia, non potrebbe che trasmettersi ai singoli cui siano assegnati compiti direttivi e di controllo (non solamente l’odv)419.

Come precedentemente osservato, manca una precisa tipizzazione delle posizioni di garanzia all’interno degli enti collettivi, e ciò, unitamente alla ampiezza della figura dei reati omissivi impropri, costituisce il presupposto fondamentale per la “dilatazione degli strumenti esistenti, facendo sì che i requisiti e le condizioni d’immunizzazione dell’ente dalla responsabilità si traducano in fattori di moltiplicazione e amplificazione della responsabilità per omesso impedimento, in capo ad amministratori, dirigenti, consigli di

416 L’espressione ricorre in F.LEDDA P.GHINI, 2008, p. 215 417 P.SFAMENI, 2007, p. 180.

418 A.GARGANI, 2002, p. 1064.

amministrazione, preposti, ecc”420. È, in altre parole, il ruolo centrale affidato ai modelli ad implicare questa espansione dell’obbligo di impedimento dei reati. Questi comportano infatti l’individuazione di una serie di figure di controllo per la gestione del rischio di commissione del reato. Pertanto, si può affermare che il fondamento, pur indiretto, del potere e dell’obbligo giuridico di impedimento dei reati risieda in quella previsione legislativa che dispone l’adozione dei modelli, e non nei protocolli stessi.

Se si ammette che la predisposizione dei modelli rimanga per l’ente un semplice onere, una volta che questi siano adottati, grava sulle persone fisiche titolari di funzioni di direzione e vigilanza un vero e proprio obbligo di attuarli, giuridicamente rilevante ex art. 40, comma 2 c.p.. Il gruppo di soggetti così individuato è particolarmente vasto, potendo in astratto comprendere tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo nella predisposizione, nella redazione, nella applicazioni dei modelli. “Nel prescrivere determinate forme di controllo e vigilanza, l’ente eserciterebbe una funzione precettiva direttamente attribuita ‘in bianco’ dalla fonte legislativa”421: il gruppo può quindi comprendere tanto gli

amministratori, quanto i membri dell’odv. È poi il singolo modello a declinare, in concreto, la distribuzione delle singole posizioni di garanzia. In proposito, occorre notare che, a differenza di altre ricostruzioni, l’obbligo di impedimento sorge dalla normativa, e abbisogna soltanto di una specificazione attraverso il modello. Se un regolamento è fonte idonea a fondare la responsabilità per omesso impedimento, a patto che sia richiamato dalla legge ordinaria, non pare che possano sorgere obiezioni in questo caso: è infatti la normativa a costituire la base formale per la costruzione della posizione di garanzia. I modelli dovrebbero inoltre assegnare ai vari soggetti poteri e risorse adeguate, in modo che questi divengano affidatari della tutela del bene contro cui si sviluppa la dinamica criminosa. Attraverso l’assegnazione dei poteri, si integra il fondamentale requisito che, secondo gran parte della dottrina, deve accompagnare la posizione di garanzia. La causalità va apprezzata invece in relazione alle condotte umane, e non esclusivamente al verificarsi di un evento naturalistico, dal momento che

420 A.GARGANI, 2002, p. 1065. 421 A.GARGANI, 2002, p. 1066.

l’evento dell’omissione è il completamento della dinamica criminosa che avrebbe dovuto essere impedita, ovvero del reato che si è realizzato.

La peculiarità di tale teoria è che sarà l’ente stesso a costruire quel reticolo in base al quale individuare correttamente i titolari degli obblighi impeditivi. In quest’ottica, la condotta dei singoli garanti ha una rilevanza subordinata, in un certo senso, alla loro posizione all’interno della struttura dell’ente. Si distingue tra garanti orizzontali (chiamati a verificare che altri soggetti incaricati della vigilanza e del controllo adempiano al loro dovere) e verticali (che sorvegliano sulla commissione dei reati). Naturalmente, non tutti questi soggetti sono investiti del medesimo compito, ma è proprio in virtù di questa varietà di posizioni che non è possibile escludere a priori i profili di responsabilità per l’odv.

È ovvio che, a seconda di come vengono calibrati i presupposti soggettivi della responsabilità dell’organizzazione, cambiano – rectius, devono essere adeguati – i criteri di individuazione dell’obbligo di impedimento degli illeciti gravanti sui singoli. L’autorità pubblica, trovandosi nell’impossibilità di conoscere l’esatto assetto degli enti e la distribuzione dei rischi all’interno della loro struttura, ammonisce le organizzazioni stesse, incentivandole a dotarsi dei modelli di organizzazione più consoni. Il rischio è però che, attraverso l’individuazione delle responsabilità, “l’idea della colpevolezza dell’ente, densa di significati simbolici [si riveli] una finzione, che finisce per innescare virtualità espansive della responsabilità degli individui.”422 Vi è, in altre parole, la possibilità che l’ente adotti una rete organizzativa per così dire di facciata, lasciando che il rimprovero cada su singoli che, in virtù di una posizione loro attribuita dai modelli organizzativi, si trovino ad essere una sorta di “capri espiatori”.

Merita un cenno un orientamento giurisprudenziale minoritario che prospetta la possibilità di un concorso colposo del garante anche nel delitto doloso altrui, tanto in caso di concorso di cause indipendenti, quanto di cooperazione colposa tout court. Senza considerare le poderose obiezioni della dottrina per questa costruzione, le pronunce sostengono che sarebbe importante accertare la presenza di ogni elemento della colpa nella condotta, oltre ovviamente alla

previsione del reato del partecipe anche in forma colposa. La regola cautelare deve in tali casi tendere ad evitare il rischio dell’altrui reato doloso, il quale deve quindi risultare prevedibile, proprio al fine di essere oggetto della colpa.423