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Il definitivo abbandono dell’impostazione proposta nel Corpus juris

6. La proposta di regolamento per l’istituzione della Procura europea

6.2 La competenza materiale della Procura europea

6.2.1 Il definitivo abbandono dell’impostazione proposta nel Corpus juris

Già da una prima analisi delle disposizioni del Trattato sull’istituzione di una magistratura inquirente europea, emerge un’evidente differenza d’impostazione rispetto alla sua configurazione originaria: da un modello che potrebbe definirsi “sistemico”, quale previsto dal Corpus juris, ad uno essenzialmente “istituzionale”, che vede le norme introdotte a livello comunitario limitate alla definizione dello status giuridico e dell’esercizio dei relativi poteri d’indagine. Se nel 2000 il progetto per la creazione del PME procedeva in parallelo e in stretta connessione con la definizione di un diritto penale comune, da intendersi come una serie di precetti sovranazionali di diritto sostanziale e processuale, ciò che si prevede con l’art. 86 del TFUE è la sua sola componente istituzionale e, cioè, l’istituzione di un organo d’indagine competente ad impiegare i propri poteri negli Stati aderenti, rispetto al quale l’adozione di disposizioni penali comuni risulterebbe circoscritta alla disciplina del loro concreto esercizio.

La vera inversione di rotta rispetto al Corpus juris è da individuare nel paragrafo terzo dell’art. 86 TFUE che, nell’indicare i contenuti necessari del regolamento istitutivo, atto di legislazione secondaria demandato a disciplinare nel dettaglio la struttura, l’organizzazione e l’esercizio delle funzioni del nuovo organo, fa esclusivo riferimento allo «statuto della Procura europea», alle «condizioni di esercizio delle sue funzioni», alle «regole procedurali applicabili alla sua attività», alle «regole di ammissibilità delle prove» e alle «regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell’esercizio delle sue funzioni». Nulla è disposto circa le fattispecie di competenza della Procura, lasciando cadere nel vuoto il richiamo del secondo paragrafo ai «reati che ledono gli interessi dell’Unione quali definiti dal regolamento previsto nel paragrafo 1» (lo stesso di cui il paragrafo terzo definisce il contenuto) e frustrando ogni aspettativa, riposta

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da parte della dottrina302, verso la creazione di un mini codice sostanziale- processuale per la tutela degli interessi finanziari, in mancanza di un’espressa disposizione che attribuisca all’Unione il potere di adottare fattispecie penali direttamente applicabili ai singoli Stati.

Tale dato risulta ancora più evidente se messo a confronto con il Contributo complementare presentato dalla Commissione europea alla Conferenza intergovernativa di Nizza303. La base giuridica proposta, l’art. 280 bis che avrebbe dovuto sostituire l’allora vigente art. 280 TCE, disponeva l’istituzione “diretta” (e quindi non come mera facoltà dell’Unione, demandata ad una futura decisione del Consiglio), accompagnata dall’esplicito rinvio ad un successivo atto di legislazione derivata, la cui adozione si presentava comunque obbligatoria, indicante «gli elementi costitutivi delle fattispecie e delle pene» che avrebbero rappresentato i confini di competenza materiale del nuovo organo.

Da qui l’ulteriore conferma della riluttanza da parte dei redattori del Trattato ad abbracciare il modello sistemico del Corpus juris, con la conseguenza che la definizione del diritto applicabile dalla Procura europea risulterebbe demandato a fonti diverse dal regolamento istitutivo304, rette da regole differenti in tema di

302Da ultimo, cfr. R.S

ICURELLA, Il diritto penale applicabile dalla Procura europea: diritto penale sovrannazionale o diritto nazionale armonizzato? Le questioni in gioco, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 dicembre 2013, p. 2 ss. L’Autrice propone un’interpretazione sistemica e teleologia dell’art. 86, par. 3, avvalorata dalla vaghezza della disposizione e dall’altrimenti inspiegabile richiamo del secondo paragrafo (dispositivo del potere di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori ed i complici dei reati che ledono gli interessi finanziari) al regolamento istitutivo che il primo paragrafo chiama proprio a definire tali illeciti. Deve essere rilevato, tuttavia, come tale soluzione sollevi non poche perplessità sul piano della legittimazione democratica, in ragione del carattere derogatorio (rispetto alla c.d. procedura legislativa ordinaria) della procedura normativa richiamata dall’art. 86 TFUE, che, come noto, prevede l’adozione del regolamento all’unanimità del Consiglio, previa semplice approvazione del Parlamento europeo. Sebbene l’ormai consolidata dialettica istituzionale tra i due organi abbia condotto a prassi virtuose secondo le quali in nessun caso è sostanzialmente preclusa la piena partecipazione del Parlamento europeo alla definizione dei contenuti dell’atto normativo, la situazione paradossale di un possibile deficit democratico (da anni denunciato e faticosamente in via di superamento con la generalizzazione a Lisbona della procedura di co-decisione) proprio con riguardo al primo atto costitutivo di una vera e propria normativa penale europea.

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Contributo complementare della Commissione alla conferenza intergovernativa sulle riforme istituzionali, la tutela penale degli interessi finanziari comunitari: un procuratore europeo, Comunicazione del 29 settembre 2000 (COM(2000) 608 (pubblicato anche in allegato 1 al Libro verde).

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obbligatorietà ed applicabilità, in virtù di una costruzione fondata su due livelli: sovranazionale per quanto concerne i profili istituzionali, nazionale-armonizzato per quelli squisitamente normativi.

Va peraltro osservato che tale impostazione era già riscontrabile nel Libro verde per la creazione di una Procura europea, dove l’introduzione di fattispecie sovranazionali era semplicemente una delle opzioni perseguibili, accompagnata da altre, su cui spesso si registrava la preferenza della Commissione, basate su una più o meno incisiva armonizzazione delle norme nazionali305.

305 Il paragrafo 3 dell’art. 280 bis, proposto dalla Commissione alla CIG di Nizza quale base

giuridica per la creazione del PME, prevedeva che il Consiglio, in codecisione con il Parlamento europeo, adottasse un regolamento indicante gli elementi costitutivi delle infrazioni penali per frode e per qualsiasi attività illegale lesiva degli interessi finanziari della Comunità, nonché le pene previste per ciascuna di esse. Dando seguito a tale proposta d’integrazione normativa del TCE, il Libro verde proponeva una serie di indicazioni volte alla definizione dei reati e delle sanzioni corrispondenti. A giudizio della Commissione, la creazione di uno spazio comune di attività investigativa e di azione penale nel settore specifico degli interessi finanziari della Comunità, non richiedeva «una codificazione generale del diritto penale fra gli Stati Membri»305. Per funzionare, osserva la Commissione, la Procura europea avrebbe avuto bisogno di un complesso di regole di diritto sostanziale (Su tale argomento, cfr. E.MEZZETTI, Quale giustizia penale per l’Europa? Il Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di un pubblico ministero europeo, in Cassazione Penale, 2002, p. 3962 ss; cfr. L.PICOTTI, Prospettive e presupposti di un sistema di un diritto penale: aspetti sostanziali, op. cit., p. 126 ss.), sulla falsariga di quelle applicate dalle autorità nazionali responsabili della azione penale, la cui definizione poteva essere ottenuta combinando diversi metodi: a) un semplice rimando al diritto interno degli Stati Membri; b) un’armonizzazione parziale di determinate disposizioni, completata per gli aspetti rimanenti con un rimando al diritto nazionale; c) un’armonizzazione totale di determinate disposizione in forza della quale le norme comunitarie sostituiscono quelle nazionali interessate; c) un’unificazione, e cioè la creazione di un autonomo corpo giuridico comunitario, distinto dal diritto degli Stati Membri. La scelta per la definizione del metodo più consono per la messa a punto di un diritto sostanziale comune veniva prospettata dal Libro verde secondo un’impostazione che la Commissione non esitava a definire “inedita” ed incentrata sulla conciliazione di due logiche distinte: la prima, quella della’armonizzazione, da ritenersi legittima solo se proporzionata allo specifico obiettivo della tutela penale degli interessi finanziari comunitari. La seconda, quella del rimando (parziale o totale) al diritto nazionale, da considerare come la più rispondente per le norme di carattere generale travalicanti la tutela degli interessi finanziari comunitari. In tale ambito, la Procura europea sarebbe stata obbligata a tenere conto dei vari ordinamenti nazionali, a seconda dello Stato Membro in cui si agisce, e «evitandosi in questo modo di esporre i singoli ordinamenti giuridici a sconvolgimenti» (par. 5.1). A differenza dunque di quanto prospettato dal Corpus juris, che proponeva un’unificazione comprensiva anche delle norme di carattere generale, la scelta adottata dal Libro verde si fonda su quella che la stessa Commissione definisce “una dinamica evolutiva” di processi di armonizzazione rivolti alle specifiche fattispecie poste a tutela degli interessi finanziari comunitari. In questa logica l’auspicio del Libro verde è che l’armonizzazione specifica proposta per la Procura europea sarebbe stata parzialmente completata da un’evoluzione generale del contesto giuridico, improntata al principio del reciproco riconoscimento305. Criticamente a tale approccio, cfr. Cfr. R. SICURELLA, Il Corpus juris e la definizione di un sistema penale di tutela dei beni giuridici comunitari,

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La domanda da porsi è quindi la seguente: è possibile la piena attuazione di un’autorità inquirente in assenza di una reale unificazione del diritto penale e dei precetti che essa dovrà applicare?

Si tratta, evidentemente, di un interrogativo che pone una serie di questioni di indubbio rilievo che vanno dal problema della base giuridica, che abbiamo affrontato nel capitolo precedente, alla competenza materiale della Procura europea, che sarà a breve oggetto di approfondimento, fino alla tematica sull’effettiva necessità di disposizioni sovranazionali concernenti istituti di parte generale.