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L’incidenza degli istituti di parte generale nell’applicazione delle norme

6. La proposta di regolamento per l’istituzione della Procura europea

6.2 La competenza materiale della Procura europea

6.2.2 L’incidenza degli istituti di parte generale nell’applicazione delle norme

norme incriminatrici: verso una codificazione minimale?

Sull’incidenza della parte generale del diritto penale nell’applicazione delle norme incriminatrici si è da tempo accesa la discussione, con esiti peraltro contrastanti, circa la necessità (o meno) di una “codificazione europea” volta a definire disposizioni comuni e finalizzata a garantire l’uniforme applicazione negli Stati Membri delle norme poste a tutela degli interessi (per il momento) finanziari dell’Unione.

E’ infatti fuor di dubbio che regole diverse di parte generale possano portare a forti disparità sul piano sanzionatorio, anche quando le pene comminate siano in astratto identiche, creando zone di minore, se non addirittura assente, rischio penale dove i soggetti agenti potranno strategicamente scegliere di organizzare e realizzare il reato306 e, sul versante opposto, favorire il fenomeno del “forum

op. cit., p. 167, per l’Autrice il venir meno dell’approccio sistemico sulla tutela degli interessi finanziari comunitari caratterizzante gli indirizzi del Corpus juris, sostituito da una proposta metodologica, avrebbe rischiato di vanificare la stessa efficacia della centralizzazione della attività investigativa e della azione penale, al contempo depotenziando il principio d’uguaglianza dei cittadini comunitari in ragione della diretta incidenza della operatività degli istituti di parte generale sull’ampiezza applicativa delle fattispecie di parte speciale.

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shopping” da parte del PME307, indotto a radicare la giurisdizione laddove la repressione penale appare più severa ed efficace, in pieno conflitto con il principio di uguaglianza tra cittadini europei, che si troverebbero a rispondere dinnanzi a organi di diverse nazioni per una medesima condotta lesiva di un determinato bene sovranazionale. E’ però altrettanto vero che la storia del diritto penale in ambito europeo dimostra come sia molto più difficile, se non arduo, raggiungere un consenso sull’armonizzazione della parte generale piuttosto che sulla regolamentazione di singoli reati e ciò a causa delle resistenze opposte dai singoli Stati in difesa delle tradizioni penali che negli istituti di parte generale trovano forma e connotazione.

Non di meno, la soluzione ad una simile questione non può poggiare esclusivamente su valutazioni di mera “fattibilità” politica, ma deve altresì rispondere alla necessità di efficacia dell’azione della Procura europea e, più in generale, alle esigenze di tenuta dello “Spazio penale europeo” in termini di legalità ed uguaglianza dei cittadini.

Di fronte ad un tema di difficile appianamento, la riflessione sulla scelta più opportuna da adottare pare oggi pragmaticamente spostarsi dal piano della discussione sulla necessità di dotare il diritto penale europeo di una codificazione di parte generale a quello di una distinzione tra regole dotate di un significativo rilievo pratico e regole che incidono in misura marginale nella prassi attuativa. A tale riguardo pare potersi concordare con quanti, a titolo esemplificativo, affermano che tra i vari settori di parte generale particolare rilievo pratico riveste quello sulle regole di determinazione della pena308, da cui può infatti dipendere,

307 Sul potere del Procuratore europeo di scegliere il foro giudicante, v. infra par. 6.5.3. 308

Cfr. F.VIGANÒ, Verso una parte generale europea?, in Le sfide dell’attuazione di una Procura europea: definizione di regole comuni e loro impatto sugli ordinamenti interni, Giuffrè, 2013 p. 127. Si tratta di regole, osserva l’Autore, da intendersi in senso ampio, senza che risulti di alcuna importanza il fatto che le stesse siano formalmente classificate come sostanziali o processuali, che vanno da quelle che incidono sull’ an della pena (riguardo, ad esempio, all’esiguo disvalore del fatto: de minimum non curat praetor) o che comportano la possibilità di prescindere sin dall’inizio dall’esecuzione della pena (sospensione condizionale, ecc); a quelle che guidano la scelta del tipo di sanzione (con correlative possibilità di applicazione di pene sostitutive e/o accessorie, norme in materia di confisca del profitto, ecc) così come la sua quantificazione concreta (eventuali circostanze aggravanti ed attenuanti, sulla commisurazione della pena nello spazio compreso tra minimo e massimo edittale, sul cumulo di pene in caso di pluralità di reati,

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pur presenza di uguali norme incriminatrici, l’effettiva o ineffettiva repressione di un fenomeno criminoso da parte degli Stati Membri. Un effetto che, volendo fare un ulteriore esempio, condividono anche con le norme sulla prescrizione del reato309.

Sulla base di tale impostazione la messa a punto di una “codificazione minima” potrebbe trovare soluzione attraverso due possibili modalità, entrambe in qualche modo riconducibili alle impostazioni di alcuni provvedimenti che cominciano ad essere adottati dal legislatore comunitario310.

La prima, più diretta e incisiva (sulla falsariga, della proposta di direttiva della Commissione in materia di congelamento e confisca dei proventi da reati311, ma

sulle riduzioni di pena connesse alla scelte del rito processuale, ecc,); sino a giungere a regole che disciplinano l’esecuzione della pena, consentendo, in particolare, l’uscita anticipata dal carcere a determinate condizioni.

309 Su tali regole (come peraltro sull’intero sistema giudiziario) l’Italia è da tempo oggetto di forti

critiche in sede europea dovute alla eccessiva frequenza con cui la persecuzione di gravi reati transnazionali viene frustrata per effetto del meccanismo della prescrizione. Da ultimo, cfr. la relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione, 3 febbraio 2014, COM (2014) 38, in particolare, Allegato Italia, Annex 12, p. 8 «La questione della prescrizione è un problema particolarmente serio ai fini delle indagini e dell’accertamento nel merito dei casi di corruzione in Italia. I termini di prescrizione previsti dalla disciplina italiana, sommati alla lunghezza dei processi, alle regole e ai metodi di calcolo della prescrizione, alla mancanza di flessibilità circa i motivi per sospendere e interrompere la decorrenza dei termini e all’esistenza di un termine assoluto che non può essere interrotto o sospeso, hanno determinato e determinano tuttora l’estinzione di un gran numero di procedimenti. La revisione della normativa che regola attualmente la prescrizione rientra tra le raccomandazioni specifiche per paese che il Consiglio ha rivolto all’Italia a luglio 2013, nel quadro del semestre europeo, quale fattore importante per rafforzare il quadro giuridico di contrasto della corruzione. Secondo uno studio di Transparency International del 2010 su come i termini di prescrizione influenzano le azioni giudiziarie relative ai casi di corruzione nell’Unione Europea, tra il 2005 e il 2010 circa un procedimento su dieci per reati di corruzione si è estinto per scadenza dei termini di prescrizione. Nel frattempo la situazione non sembra essere migliorata, nonostante le preoccupazioni ripetutamente espresse dal GRECO e dall’OCSE tra il 2009 e il 2013. Secondo uno studio del 2010, i procedimenti penali estinti in Italia per scadenza dei termini di prescrizione sono circa l’11,14% nel 2007 e il 10,16% nel 2008. Nello stesso periodo la media negli altri Stati Membri dell’UE menzionati dallo studio andava dallo 0,1 al 2%. Secondo i dati OCSE, dal 2011 si sono estinti per scadenza dei termini di prescrizione 30 procedimenti per corruzione transnazionale su 47 (ovvero oltre il 62%)».

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Cfr. F.VIGANÒ, Verso una parte generale europea?, op. cit., p. 124.

311 Cfr. Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al Congelamento e

alla confisca dei proventi da reato nell’Unione europea, 12 marzo 2012, COM/2012/085 final. «La necessità di introdurre la direttiva nasce dalla considerazione che la decisione quadro n. 212/2005 offrendo modelli alternativi di confisca allargata e, si potrebbe aggiungere, consentendo agli Stati Membri non solo di scegliere alternativamente uno di questi modelli, ma più a monte di introdurre forme ulteriori di confisca ancor più efficienti anche se meno

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ampliandone lo spettro applicativo) potrebbe essere costituita da una direttiva a carattere “trasversale” che, sulla base del primo paragrafo dell’art. 83 TFUE, fisserebbe le condizioni per l’applicazione di tutte le altre direttive che stabiliscono obblighi di incriminazione e, in genere, di armonizzazione dei precetti e delle sanzioni. La seconda modalità, più contenuta e circoscritta, consisterebbe nell’inserimento graduale di norme di parte generale nelle singole direttive, destinate poi ad essere riprodotte in quelle successive, com’ è auspicabile che accada con la già citata proposta di direttiva contro la frode, in tal modo allineandosi al modello a suo tempo proposto dal Corpus juris.

In sé considerata, l’dea di un insieme di “codici settoriali”, implicitamente desumibile dalle due direttive sopra richiamate, potrebbe inquadrarsi in una prospettiva di superamento di una codificazione di ordine generale, intesa come corpo unitario e, per quanto possibile, esaustivo, a cui si contrappone il problema d’immediata evidenza, segnalato dagli stessi sostenitori di tale ipotesi, di riuscire a concepire e costruire un disegno generale in grado di porre in connessione ordinata i diversi sottosistemi, in buona sostanza un testo guida di principi, criteri e regole che svolga una funzione sovraordinata di orientamento per l’intero diritto penale europeo312

Ma forse, più che dall’iniziativa del legislatore, l’armonizzazione degli istituti di parte generale del diritto penale potrebbe essere agevolata dall’azione della Corte di giustizia che, come si è già avuto modo di vedere, ha contribuito in maniera

garantiste, ha finito con il compromettere la cooperazione; nella prassi si rifiuta il mutuo riconoscimento previsto dalla direttiva 783/2006 laddove il modello di confisca accolto dallo Stato richiedente sia diverso rispetto a quello dello Stato richiesto». Così A. M.MAUGERI, La proposta di direttiva UE in materia di congelamento e confisca dei proventi da reato: prime riflessioni, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, 2, p. 183.

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A tale riguardo, cfr. G.FIANDACA, Diritto penale europeo: spunti problematici di riflessione intorno a possibili modelli di disciplina, in GRASSO–ILLUMINATI–SICURELLA–ALLEGREZZA (a cura di), Le sfide dell’attuazione di una Procura europea: definizione di regole comuni e loro impatto sugli ordinamenti interni, Giuffrè, 2013, p. 141 ss. In un orizzonte policentrico così concepito, un testo “overture” potrebbe prendere le mosse proprio dall’indicazione dei principi a disciplina di eventuali reati europei. Il modello di regolamentazione degli illeciti unificati a livello comunitario vanterebbe un rango di priorità ed una funzione di orientamento, in termini di principi generali di imputazione e per livello di garanzie, rispetto ai modelli di disciplina dei reati previsti nelle codificazioni nazionali, con un inversione dei rapporti, dove ad aver bisogno di particolare giustificazione razionale sarebbero proprio le eventuali regole a disciplina degli illeciti penali statali rispetto ai principi sovranazionali sottostanti ai reati europei.

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significativa alla definizione d’indirizzi e criteri divenuti centrali nell’intervento penale a tutela degli interessi finanziari comunitari. Sono infatti da attendersi nuove produttive interazioni tra il giudice interno e la Corte di Lussemburgo alla quale, a seguito dell’avvenuto ingresso dell’ambito penale nel “metodo comunitario”, possono ora essere sottoposte questioni pregiudiziali che interesseranno, inevitabilmente, anche i concetti di parte generale utilizzati nelle parte speciale disciplinata nelle direttive, con conseguente stimolo per la Corte ad elaborare i propri concetti di colpa grave, tentativo, ecc., in soluzioni autoritative che poi confluiranno negli ordinamenti nazionali attraverso la valvola dell’interpretazione conforme, con un processo di armonizzazione destinato a suscitare assai meno frizioni di quante sarebbero invece provocate da eventuali interventi del legislatore europeo313.

Va da sé che tale ruolo “risolutivo” della Corte di Lussemburgo potrebbe surrogare quello del legislatore comunitario solo in una prima fase. Diversamente, in assenza di un intervento normativo, la legalità, la certezza del diritto e la stessa uguaglianza dei cittadini europei verrebbero oltremodo penalizzati314.