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4.4 Il difficile studio della magia

Nel documento Magia e malocchio (pagine 117-122)

“Nel progetto della mia ricerca” spiega l’autrice, “ho scritto che volevo studiare le pratiche di stregoneria nel Bocage. […] tutto quello che però ho incontrato è stato semplicemente un linguaggio. Per molti mesi, l’unico elemento empirico del mio studio sono state le parole.”55

“Oggi posso dire che un attacco di stregoneria può essere scatenato in questo modo: una serie di parole utilizzate in una situazione di crisi da parte di

qualcuno che verrà poi segnato come strega, viene successivamente interpretato

come capace di avere un effetto su fisico e affetti della persona colpita, quest’ultima affermerà a questo punto di aver subito una stregoneria. Il mago benevolo (Unwitcher) prenderà queste parole su di sé, per poi mandarle indietro a colui che per primo le ha inviate. L’elemento anormale, pare sempre manifestarsi dopo la pronuncia di determinate parole, dando inizio a una

situazione negativa capace di persistere fino alla rottura del sortilegio da parte di

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un altro stregone. Lo stregone benevolo col compito di curare la fattura si pone così come una sorta di schermo tra colui che strega e colui che viene stregato.”56

Ecco che l’elemento che abbiamo già incontrato nei precedenti testi torna in una forma praticamente identica, in questo caso viene posto l’accento sulle parole ma, come vedremo più avanti, la struttura primaria e la base della fattura

mantengono sostanzialmente gli elementi comuni riscontrabili nella maggior

parte delle culture mondiali.

Nel mondo oscuro del Bocage la parola ha però importanza incredibile. È la parola l’elemento più forte della magia “La stregoneria è la parola”57, spiega

ancora l’autrice.

La Saada si concentra poi su un elemento distintivo capace di mettere in crisi l’intera concezione dello studio stesso della stregoneria. L’etnologia infatti necessita un linguaggio comune per reperire informazioni, cosa accade quindi

quando quelle stesse parole che per lo studioso sono informazioni diventano, per

56 Ibid. 57 Ibid.

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la persona intervistata potere?

La stregoneria è purissima parola e quelle stesse parole sono forme di potere,

armi capaci di scatenare potenze sconosciute. La comunicazione si incrina, ci

ritroviamo totalmente impossibilitati a stabilire un contatto, un punto comune.

Ecco che la stregoneria torna a essere una diceria, un retaggio primitivo per chi

ne sta fuori, abitando il suo linguaggio però, in uno stravolgimento del tempo

storico De Martiniano, la Saada sembra preannunciarci la necessità di vivere il

linguaggio magico, per arrivare a un qualche tipo di comprensione.

Questo non implica né la possibilità di riportarlo alla luce, ripulito e pronto per l’accademia, quanto meno, la totale capacità, una volta entrati, di uscirne fuori senza finire totalmente cambiati.

“Parlare, in stregoneria, non è mai volto a informare. O, nel caso una informazione venga data, questa ha lo scopo di permettere allo stregone di

sapere dove mirare con i suoi sospiri mortali. Informare un etnografo, che è

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utilizzarle, se non per pura conoscenza, è assolutamente inconcepibile nel

mondo della stregoneria. Infatti, una singola parola, può legare o slegare l’individuo a un determinato destino.

Conoscere le formule magiche porta denaro, porta potere e scatena terrore: realtà che appaiono molto più affascinanti all’interlocutore, rispetto all’accumulo di conoscenza scientifica, alla stesura di un libro ben documentato e a un

riconoscimento accademico”58.

Nel mondo della stregoneria le parole portano guerra. Un dialogo “normale”, dove si parla del niente, altro non porta che ad accrescere la violenza di ciò di

cui non si sta parlando. Una discussione tra due stregoni è impensabile, ogni

parola infatti può scatenare un effetto, ribadiamo come le parole del mondo

magico e degli stregoni sono vere e proprie armi, armi pericolose e insidiose che non si sprecano per semplici discussioni e non si divulgano all’esterno della propria cerchia o della nostra stessa interiorità.

“In parole povere non esiste una posizione neutrale quando si tratta di parole:

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nella stregoneria le parole veicolano la guerra. Chiunque parli di stregoneria è belligerante, anche l’etnografo come chiunque altro viene considerato pericoloso. Non c’è spazio per osservatori esterni.”59

L’etnologo si trova quindi in una posizione di impossibilità di studio. Il nostro studio, la nostra ricerca è qualcosa che non appartiene al mondo degli stregoni.

È necessario diventare come loro per provare a capirli, ma nel momento in cui entriamo all’interno della guerra, anche per noi, la comprensione diventa l’ultimo dei problemi.

Ci troviamo di fronte a un muro, a un segreto alla luce del sole, una tematica che

necessita un cambio di prospettiva dal quale non si può tornare indietro. Ecco presentarsi l’analisi meccanica della Gallini, l’osservazione analitica di De Martino, i due autori diventano osservatori esterni di un fenomeno che non

possono (e forse non vogliono) capire a pieno.

De Martino si spinge un po’ più in là, cerca di battere piste alternative, apre alla possibilità del magico, dell’impossibile, ma non si lascia coinvolgere, rimane un

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occhio che guarda.

È invece la Saada la studiosa che si immerge nell’oscurità, che si lascia legare e affascinare, il suo resoconto però perde necessariamente l’elemento di studio, diventa la cronaca di una guerra, il tentativo di una mente catturata dal mondo

magico di mandare dei timidi segnali, nella speranza che riescano ad arrivare

anche a noi, in qualche forma, che lascino qualche traccia comprensibile,

decifrabile a chi la osserva al di la dell’abisso.

Nel documento Magia e malocchio (pagine 117-122)