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3.4 S’i pi zu ella vo e dei o tadi

Nel documento Magia e malocchio (pagine 78-88)

Il lavoro della Gallini, pone l’etnologa a una certa distanza dal problema

affrontato, regalandoci allo stesso tempo una fredda e nitida panoramica della

credenza popolare.

Non si approfondiscono quindi gli elementi analizzati, nonostante non si scada

in una saccenza tipica di altri autori del passato.

Il malocchio della Gallini è una forma oscura, distante, che lo studioso osserva

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Un meccanismo che poco condivide con il lavoro De Martiniano che, specialmente “Il mondo Magico”, ma anche in “Sud e Magia” sembra lasciarsi trascinare dai legamenti magici che riescono a farsi strada nel suo pensiero,

cercandone un significato più complesso e ambiguo, qualcosa che vada oltre una

visione puramente scettica e socioculturale.

Eccoci quindi con alcuni interessanti commenti registrati dalla Gallini:

“S’ispinzu è quando una persona ruba qualcosa a un’altra persona con l’intenzione di procurargli del male, ed effettivamente glielo procura”33.

“Si ispinza quando ti tolgono qualcosa per farti male, ti può andare male anche il bestiame”.34

Da queste interviste emergono due elementi importanti: la credenza nella magia e le principali preoccupazioni della società sarda dell’epoca.

Interessante è invece il seguente commento dove si pone una possibilità di non

veridicità del malocchio:

33Ivi, p. 89 34 Ibid.

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“E’ una cosa molto brutta”, spiega l’intervistata “perché oltre a rubarti qualche cosa, può capitare che ti succeda qualcosa di brutto, o comunque tu credi che sia così”35.

Altre interviste riportano di nuovo il tema dell’odio e dell’invidia, il testo della

Gallini ci mostra quindi un malocchio speciale, qualcosa che pare formarsi nell’inconscio della società contadina a cui appartiene, uno stimolo che prende vita dalla necessità dell’altro e dalla paura di perdere ciò che possediamo, per invidia o per dispetto.

S’ispinzu è un atto molto grave. La sua gravità sta proprio nel fatto di rendere impossibile fidarsi del prossimo, o proprio di quell’individuo che, invece di collaborare in una situazione difficile, si accanisce verso il prossimo.

Altro elemento che rende il malocchio sardo molto violento è la sua potenza di

colpire intere famiglie, di fare ammalare e perfino uccidere.

Nel racconto della Gallini la società contadina mostra il suo lato più oscuro, un

lato composto da paure e sospetti che prendono la loro forma più potente

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attraverso il mezzo magico. È evidente, come lo studio etnologica riesca a dissotterrare un elemento sommerso dell’inconscio comune, che s’ispinzu sia reale o meno, poco importa, quello che davvero emerge è una realtà dove vive il

sospetto del prossimo e dove si utilizzano sortilegi e rituali nella speranza di

danneggiare chi ci è vicino, per invidia o per saldare conti sospesi.

3.5 - Contrattaccare

Chi agisce magicamente contro il prossimo viola quel principio di reciprocità sul

quale la realtà contadina si fonda.

Questa violazione è grave e imperdonabile, necessita quindi una giusta

punizione che riporti equilibrio e fermi quel turbamento che si è andato a

formare nella coscienza del gruppo.

Entrano così in gioco, la vendetta, il contrattacco, la difesa dai poteri magici,

seguiti dalla punizione di chi ha agito per farci del male.

Quando viene rubato un oggetto con lo scopo di offendere, la soluzione più

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l’intervento di terzi. In questo caso si passa da una semplice richiesta a vere e proprie minacce, fino all’ammissione del furto magico e alla restituzione dell’oggetto rubato.

“Sapendo chi è stato a fare s’ispinzu si ricorre alle minacce e anche alla vendetta”36

Per minacce vengono intesi degli avvertimenti, ad esempio, come riporta la Gallini, l’uccisione di animali cosa che può proseguire fino a giungere a una vera e propria vendetta.

Per vendetta, nel caso del malocchio si intende fare a nostra volta s’ispinzu, in modo tale da danneggiare in egual misura l’attaccante, così da riportare la situazione a un equilibrio. In questo caso si procede con una serie di furti, si

prendono pezzi di oggetti personali e si compiono rituali di vario tipo al fine di

danneggiare chi ci ha danneggiato.

È una pratica molto violenta, l’equilibrio non torna infatti con un “mal comune” ma col ritorno della fortuna nella nostra casa a scapito dell’individuo o della

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famiglia che abbiamo contrattaccato. Emerge in questo caso la violenza del meccanismo del s’ispinzu, che sembra mostrarci una vera e propria guerra segreta che si compie nell’oscurità del mondo magico.

Riflettendo sulla struttura del s’ispinzu proposta dalla Gallini troviamo non poche analogie con la fascinazione mostrata da De Martino. In questo caso però

quella trattata è una vera a propria ritualistica ostile perpetrata direttamente dagli

individui comuni.

È raro trovare l’intervento del fattucchiere, nonostante sia presente anche nella realtà sarda. L’individuo stesso, in questo caso diviene per necessità mago. La difesa e la rottura del sortilegio viene effettuata direttamente da chi l’ha subita che diventa in questo modo agente magico a sua volta.

S’ispinzu non è un rituale particolare, è un dato di fatto, una concezione semplice che non necessita libri antichi e tradizioni esoteriche misteriose (come le storie sui magiari che troviamo nella Puglia De Martiniana), è l’atto stesso del furto, caricato di malizia e voglia di far male a scatenare le forze nascoste della

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natura.

L’individuo si pone quindi come mediatore tra lui e quel mondo che teme e che non può capire. Questo atto di forza distingue in modo sensibile le due tradizioni

e delinea un diverso approccio al mondo magico, una peculiarità della realtà

sarda che la allontana, pur con le sue analogie, dalle tradizioni più diffuse.

3.6 - L’o hio

“Dicono che si guarda e si mette l’occhio”37

Quello che già avevamo visto nel maleficio locale, il così detto s’ispinzu, prende

la connotazione più canonica e universale nella sua forma più potente e malvagia, l’occhio, l’ogu malo. Il furto magico lo ritroviamo in generale nella magia, ma non così sentito e temuto quanto nella cultura magica della sardegna. La componente dell’occhio, dello sguardo diventa invece un elemento fondamentale di buona parte delle culture magiche.

Di nuovo la Gallini ci propone la realtà della reciprocità, è in questa struttura

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che lo sguardo dell’altro, dell’individuo da cui, indirettamente dipendiamo, nasconde un significato oscuro e malvagio.

Quella che in De Martino appare come una struttura magica più elaborata, nella

Sardegna della Gallini, nonostante permangano molti elementi comuni, diventa qualcosa di più “fisico”, “brutale”, qualcosa che appartiene a tutti, una religione segreta che nasce dalla terra.

Eccoci quindi di fronte a sguardi che fanno morire il bestiame o andare a male il

raccolto, sguardi mortali carichi di invidia e di odio, con il solo obiettivo di fare

del male.

La potenza cresce, prende una forma differente, non è più necessario il furto

magico, adesso il fluido negativo viaggia direttamente attraverso lo sguardo

presupponendo un mezzo di trasmissione ignoto.

La studiosa cerca di riportare ancora un volta il meccanismo a una semplice e

intellegibile struttura sociale, a un processo psicologico di dominazione e

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L’occhio malvagio nasce da un rapporto di dominazione del bisogno, la necessità della comunità crea così una comunità buona da un lato e la sua faccia

oscura dall’altro: la comunità malvagia, invidiosa che desidera farci del male, un

ulteriore mostro ancora più mostruoso del pericolo che viene dal mondo

naturale, dalle forze atmosferiche, dalle epidemie.

“Il malocchio spara e ferisce come un mitra”38 spiega un intervistato. I termini

che vengono utilizzati nel malocchio sardo sono però ancora quelli del furto, del

togliere. Il malocchio si pone e toglie qualcosa, toglie la fortuna o il sangue,

porta via la salute, il bene.

Il malocchio può inoltre esse involontario; nasce all’anomalia, dall’ingordigia, dal troppo. Scopriamo così come il malocchio arrivi anche quando si ama

troppo, si vuole troppo bene, è un eccesso di desiderio che diviene così brama e

fa scaturire energie negative che danneggiano il soggetto desiderato.

Per evitare questo male, i suoi portatori, consapevoli del danno che possono

arrecare utilizzano formule, una di queste è quella di dire “Deus Vardet” quando

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si fa un complimento, se le parole non vengono pronunciate, allora il nostro complimento è desiderio, mangia con l’occhio, porta via.

La meccanica dell’occhio prende poi connotazioni orali rimandando agli studi

psicologici, si viene infatti “inghiottiti” dal malocchio, inghiottiti dall’occhio. La Gallini riflette sul significato dell’occhio, “l’occhio è un simbolo antico”39,

dice, “connesso a simboli di aggressione (malocchio) e protezione (l’occhio di Dio): comunque di potere e di controllo, che può essere utilizzato per fini negativi o positivi.”40

L’occhio buono pare però essere quello di Dio, l’occhio degli uomini è invece affamato, bramoso, cattivo.

Ancora una volta la Gallini tenta di riportare il mondo magico alla sua ottica

personale, viene da chiedersi se le esperienze e i racconti di cui è testimone, non

la portino a quello che sembra un muro di ragione da contrapporre a un mondo

oscuro che minaccia di inghiottire chi tenta di approcciarvisi attraverso un

39 Ibid. 40 Ibid.

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metodo analitico.

Emerge così il contrasto netto tra Gallini e De Martino.

Mentre De Martino si pone in una posizione neutra cercando di fornire una

analisi pura, la Gallini si frappone tra noi e il mondo magico, cercando di fornire

una spiegazione che ci riporti tutti al sicuro in un mondo controllabile, classificabile e ben protetto dal caos e dell’oscurità che circondano il regno dell’occhio.

Nel documento Magia e malocchio (pagine 78-88)