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Il dolo nelle lesioni personali ex art 582 c.p.

3. Il versante soggettivo della condotta arbitraria adottata di Paola Cosentin

3.1 Il dolo nelle lesioni personali ex art 582 c.p.

321 Sul punto, cfr. la posizione di Mantovani, che ritiene che il consenso è un limite all’esercizio del diritto di svolgere

l’attività medica, legislativamente autorizzata; il medico risponderà dei reati di cui agli artt. 605, 610 e 613 ricorrendone gli estremi, se ha agito senza il consenso e l’esito è positivo

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Per quel che concerne l’ipotesi di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p., la norma così recita: «Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa».

Prima di raffrontare l’animus che sorregge il medico al dolo di cui all’art. 582 c.p., occorre esaminare il tipo di coefficiente psicologico richiesto da tale fattispecie criminosa, dal momento che esistono molteplici orientamenti al riguardo.

Secondo l’orientamento dominante, di matrice giurisprudenziale322, per rispondere del delitto di lesioni personali dolose è sufficiente che l'agente si rappresenti e voglia la violenta manomissione dell'altrui persona, nel senso che non è necessario che il dolo abbracci il risultato finale dell'azione compiuta.

In particolare, la Suprema Corte ha sostenuto che il dolo di lesioni personali è di carattere generico ed è costituito nel suo contenuto psicologico minimo dal dolo di percosse, poiché è sufficiente il proposito dell'agente di manomettere l'altrui persona fisica. Di conseguenza, il dolo del reato di percosse finisce per coincidere con quello di lesioni323.

Seguendo questo orientamento, la malattia finisce per essere imputata sulla base del solo nesso causale, in quanto l'agente che, con il puro e semplice intento di percuotere, cagiona una malattia, risponde a titolo di lesioni personali anziché di percosse.

Tuttavia, una simile conclusione non si sposa con il principio di colpevolezza, in quanto l'evento malattia degrada a mera condizione obiettiva di punibilità.

Un altro indirizzo interpretativo, di matrice dottrinale, sostiene che il dolo di lesione richiede la previsione ed accettazione della concreta conseguenza della malattia, dal momento che la quest’ultima è un elemento essenziale della fattispecie, la quale deve essere prevista e voluta dall’agente324.

Il dolo generico può configurarsi anche sotto la forma del cosiddetto dolo eventuale qualora il soggetto si rappresenti la malattia soltanto come probabile conseguenza della condotta illecita e, ciononostante, decida di agire anche a costo di provocare l'evento criminoso, accettandone il rischio325.

Questa costruzione se, da un lato, ha il pregio di porsi in armonia con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., in forza del quale il fatto commesso deve essere ricollegabile alla sfera soggettiva dell'agente, dall’altro, comporta un’eccessiva restrizione dell’oggetto del dolo.

Secondo una terza corrente interpretativa, l’oggetto del dolo di cui all’art. 582 c.p. si incentra sulla lesione e non sulla sensazione fisica di dolore o sulla concreta malattia.

Da tale premessa deriva la possibilità di distinguere il dolo di lesioni personali, inteso come volontà di cagionare alla vittima un'alterazione fisio-psichica idonea a provocare una malattia, da quello di percosse, che si identifica con l’intenzione di provocare una sensazione fisica dolorosa. Ne discende, pertanto, che l’oggetto del dolo di lesioni personali è l'evento della malattia genericamente inteso e non la sua concreta portata326.

322 Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. ex multis, Cass. pen., 12 aprile 1983, n. 4419, in Cass. Pen., 1984, 1123 ss. 323 La Corte di Cassazione sostiene che la differenza tra l’ipotesi di lesioni e quella di percosse dipende esclusivamente

dalle conseguenze inferte dal reo al soggetto passivo. In questo senso v. ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 13 ottobre 1989, n. 3103, in Cass. pen., 1991, 1566 ss.

324 L'elemento psicologico assume così un connotato che lo distingue da quello che sorregge la condotta di percosse.

Questo orientamento è sostenuto da ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, cit., 80.

325In giurisprudenza, ex multis, Cass. pen., sez. V, 5 dicembre 1995, in Cass. Pen., 1997, 68 ss.; Cass. pen., sez. III, 28

maggio 1996, in Giust. Pen., 345 ss. L'evento si considera voluto anche nel caso in cui il risultato della malattia è stato previsto ed al tempo stesso accettata l'eventualità del suo verificarsi. In questo modo, la consapevole accettazione del rischio da parte dell'agente significa vera e propria volizione del fatto. Su questa peculiare forma di elemento soggettivo, v. per tutti, FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale. Parte generale, cit., 329.

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Posto che la lesione dell'art. 582 c.p. è specificata dall'attitudine a determinare la malattia, oggetto del dolo è una condotta che produce quella lesione che abbia idoneità a far sorgere nel soggetto passivo la malattia nel corpo o nella mente. Sulla base di questo rilievo, si può muovere una critica alla tesi tradizionale, ancora oggi sostenuta dalla prevalente giurisprudenza, in quanto male si concilia con il principio di colpevolezza327.

Al tempo stesso, non si può negare che residuano delle difficoltà sul piano probatorio allorché si debba valutare se l'agente sia stato mosso da dolo di percosse ovvero da quello di lesione, a prescindere da quello che, nel caso concreto, si sia verificato sul piano oggettivo.

Secondo l'id quod plerumque accidit tendenzialmente si potrà riconoscere la corrispondenza della previsione alla realizzazione, ma non potranno essere escluse delle divergenze. Tuttavia, le difficoltà probatorie, non possono costituire una ragione tale da determinare l'identificazione del dolo di lesioni personali con la volontà di manomettere l'altrui persona, la quale caratterizza, invece, il delitto di cui all’art. 581 c.p.

Tale soluzione è preferibile se si considera che, senza richiedere la previsione ed accettazione delle concrete conseguenze della malattia prodotta, consente di distinguere il dolo di percosse da quello di lesioni, anche ai fini dell'autonoma previsione del tentativo dell'uno ovvero dell'altro delitto.

Ciò posto, le ripercussioni nel settore medico sono di tutta evidenza dal momento che il coefficiente psicologico del sanitario, salvo casi abnormi ed eccezionali, si connota per la volontà di arrecare un beneficio alla salute del paziente, ossia di eliminare, mediante la lesione chirurgica, la malattia. Di conseguenza, l’equiparazione della prestazione medica ad una condotta lesiva dell’integrità fisica altrui, non considera l’intrinseca direzionalità benefica della condotta tenuta dal medico, che non è sorretta dalla volontà lesiva328.

In questa cornice, se si considera che il consenso è un elemento estrinseco all’essenza della prestazione medica, la sua mancanza, per ciò solo, non trasforma l’intervento medico in un gesto criminoso sorretto da animus laedendi. Il dolo di lesioni viene assorbito dalla consapevolezza dell’assenza del consenso del paziente, che è l’unico oggetto che si rinviene nell’orizzonte psicologico del sanitario329.

In altri termini, se si aderisce ad una nozione finalistica di dolo, per configurare il delitto di cui all’art. 582 c.p. è necessario che l’agente persegua la finalità di ledere l’altrui persona, ossia di intaccare l’integrità fisica o psichica della vittima. Posto che il sanitario opera il malato per curarlo, si evince che tale animus laedendi non sussiste, in quanto egli interviene solamente per migliorarne la salute.

Sulla base di queste premesse, un consenso invalido, ovvero la sua carenza, non possono fondare un’imputazione a titolo di lesioni personali volontarie a carico del medico330.

3.2 L’omicidio preterintenzionale.

L’art. 584 c.p. punisce con la grave pena della reclusione da dieci a diciotto anni, chiunque, con atti diretti a percuotere o ledere, cagiona la morte di un uomo. Si evince dalla norma che l’evento morte non è voluto dall’agente, ma si pone come conseguenza ulteriore dei delitti di cui agli artt. 581 e 582 c.p.

Se, da un lato, l’agente ha la volontà di cagionare gli eventi di lesioni ovvero percosse, dall’altro, in capo allo stesso manca una volontà omicida, che contraddistingue il delitto di cui all’art. 575 c.p.

327 BAIMA BOLLONE P., ZAGREBELSKY V., Percosse e lesioni personali, cit., p. 121. 328 MANNA A., Trattamento sanitario “arbitrario”, cit., p. 468.

329 In giurisprudenza, così Cass. pen., sez. un., 18 dicembre 2008, n. 2437; e, in letteratura, nello stesso senso si pone

anche MANNA A., Trattamento sanitario “arbitrario”, cit., p. 462, il quale evidenzia che l’incisione sul derma del paziente, che può integrare una lesione, non assume rilievo qualora non consegua un’alterazione funzionale dell’organismo. In particolare, quest’ultima conseguenza non può restare estranea alle sfera dell’elemento soggettivo, dal momento che, altrimenti, si finirebbe per estrarre dall’evento del reato un solo elemento definitorio, frantumando l’unitarietà data dal legislatore.

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Per distinguere l’omicidio doloso da quello preterintenzionale, dunque, occorre valutare il coefficiente psicologico del soggetto attivo, dal momento che, mentre nel secondo è esclusa la previsione dell’evento mortale, nel primo è necessario l’animus necandi331.

In ambito sanitario, è difficile che l’atto del medico integri il delitto di cui all’art. 584 c.p., considerato che, salvo casi abnormi ed eccezionali, esso è finalizzato al benessere del paziente e non alla lesione della sua integrità psico-fisica.

La predetta finalità curativa risulta assente nei casi di interventi demolitivi coscientemente inutili ovvero compiuti per meri scopi di ricerca, scientifici od estetici di mera vanità, dal momento che manca la destinazione curativa dell’atto332. Di conseguenza, quando risulta mancante una qualsiasi beneficialità terapeutica, la condotta del chirurgo può essere parificata alla condotta lesiva.

Diversamente, per quanto riguarda i casi di intervento medicochirurgico a carattere terapeutico, la recente giurisprudenza di legittimità, evidenzia che la lesione praticata con il bisturi sul corpo del paziente è strumentale al trattamento e non risulta, per sé sola, riconducibile alla previsione dell’art. 582 c.p. Di conseguenza, nel caso di decesso del paziente, a seguito di intervento medico non consentito, rimane preclusa la configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale333.

Con riguardo al peculiare caso in cui il paziente rifiuti le cure, un indirizzo interpretativo ritiene che venga in rilievo il divieto di manomissione del corpo umano o, meglio, la violazione consapevole del diritto di preservare la propria integrità fisica nell’attualità334.

Pertanto, sostiene che l’agire del chirurgo sulla persona del paziente esita in una condotta capace di configurare, nel caso di decesso, l’omicidio preterintenzionale, dal momento che il medico non può manomettere l’integrità fisica altrui, salvo il caso di un danno irreparabile o non altrimenti ovviabile335.

Tuttavia, la recente giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento al caso di dissenso ed esito infausto dell’intervento, si orienta a configurare il delitto di lesioni personali dolose nel caso di sopravvivenza del paziente336, aggravato ex art. 583 c.p. allorché si configuri taluno degli esiti previsti.

Al tempo stesso, nel diritto vivente si tende ad escludere il delitto di omicidio preterintenzionale, in quanto la fattispecie di cui all’art. 584 c.p. viene presa in considerazione solo in relazione ai casi di trattamenti medici di ricerca ovvero inutilmente demolitivi337, come, ad esempio, quelli compiuti al mero fine di realizzare un utile economico in spregio all’incolumità dell’individuo338.

331 In merito, RONCO M., Sub art. 575, in RONCO M., ARDIZZONE S. (a cura di), Codice penale ipertestuale, cit., p.

1960 ss.

332Questa impostazione è accolta anche dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte: cfr. in proposito, ex multis,

Cass. pen., sez. V, 28 giugno 2011, n. 33136, circa un caso di omicidio preterintenzionale per l’esecuzione di interventi al cuore inutili e non necessari. Nello stesso senso, per un caso in cui l’intervento eseguito era da considerarsi inutile per la scienza medica, v. Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2011, n. 34521.

333 Cass. pen., sez. IV, 9 marzo 2001, n. 28132, cit., 465 ss., che risente dell’impostazione dottrinale che ritiene

impossibile configurare il dolo di lesioni in ambito medico-chirurgico, che può abbracciare la resezione dei tessuti ma non l’evento malattia.

334IADECOLA G., Atto medico, consapevole violazione della regola del consenso del paziente e responsabilità penale,

cit., p. 1050 ss.

335 Il malato ha il diritto di privilegiare lo status quo, nel senso di non sottoporsi ad alcun intervento chirurgico, anche se

migliorativo della salute. Cfr. il celebre caso deciso da Ass. Firenze, 18 ottobre 1990, in Giust. Pen., 1991, II, 163 ss., confermata da Ass. App. Firenze, 26 giugno 1991 e resa definitiva dalla sentenza di Cass. pen., sez. V., 21 aprile 1992, n. 5639, cit., 253 ss., che ha rigettato il ricorso dell’imputato e ha ritenuto sussistente l’ipotesi di omicidio preterintenzionale in ragione di un intervento demolitivo eseguito contro il dissenso della paziente, sebbene a carattere terapeutico ed eseguito leges artis.

336 Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2010, n. 21799, in Riv. it. med. Leg., 2010, 749 ss. circa un intervento agli occhi

consentito per la correzione della miopia, ma con un metodo rifiutato.

337Cass. pen., sez. IV, 26 maggio, 2010, n. 34521, che ha condannato ex art. 584 c.p. un medico che aveva proceduto

all’asportazione di numerosi organi in capo alla paziente malata di una grave forma di tumore sebbene per tale malattia fosse indicata solamente una terapia farmacologica.

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