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Un’ulteriore svolta giurisprudenziale: il caso Volterrani.

A distanza temporale strettamente ravvicinata dalle precedenti pronunce «le acque vengono però rimescolate da una successiva pronuncia della Suprema Corte210», Volterrani, che ''ammorbidisce'' i precedenti della Cassazione.

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La vicenda è simile a quella di Massimo, un paziente viene ricoverato, il chirurgo presa visione della TAC e dell'ecografia all'addome dalle quali emergeva una lesione sospetta adiacente al pancreas, decide di intervenire chirurgicamente per l'eliminazione dell'ernia. In fase intraoperatoria, il chirurgo riscontra una grave formazione tumorale e decide di effettuare una duodenocefalopancreasectomia, asportando la massa tumorale.

In seguito alle successive complicanze insorte, il paziente viene sottoposto ad ulteriori interventi ma dopo un mese dal primo intervento decede.

La responsabilità mossa al chirurgo è l'aver compiuto l'intervento senza il consenso informato del paziente, che aveva espresso secondo i familiari un mero consenso all'eliminazione dell'ernia. Avendo i periti ravvisato un nesso causale tra l'intervento e la morte del paziente, il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio dell'imputato per il delitto di omicidio preterintenzionale, confermandosi ai principi espressi dalla Cassazione in Massimo.

Il giudice di prime cure esclude che, nel fatto del chirurgo, possano essere ravvisati gli estremi delle lesioni volontarie ex art. 582 c.p., e pertanto che, per questo motivo, da tale fatto possa discendere una responsabilità per omicidio preterintenzionale, poiché: «la condotta di chi cura, ponendo così in essere un'attività riconosciuta lecita ex se, non può essere equiparata, sotto il profilo oggettivo, alla condotta di chi lede211».

L'esecuzione di un trattamento sanitario senza il consenso del paziente integra secondo il giudice, l'ipotesi delittuosa della violenza privata (art. 610 c.p.), in quanto condotta lesiva dell'interesse della libertà morale del paziente, indipendentemente dall'esito fausto o infausto del trattamento.

La morte del paziente dovrà quindi essere addebitata al chirurgo ex art. 586 c.p., che prevede l'ipotesi della morte o delle lesioni conseguenti alla commissione di un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni volontarie.

In secondo grado la condanna ex artt. 610 e 586 c.p. viene riformata ed il fatto viene riqualificato come omicidio preterintenzionale; la Corte d'Appello sottolinea come non siano riscontrabili gli estremi del reato di violenza privata, non potendosi equiparare il ''silenzio'' del medico sulla possibilità di un intervento fortemente invasivo come quello poi realizzato ad una vera e propria ''violenza''212: «quale violenza nel caso di specie avrebbe esercitato l'imputato nei confronti del paziente, posto che un comportamento violento deve in ogni caso consistere nell'esplicazione di energia fisica o manifestarsi anche attraverso mezzi anomali diretti comunque a realizzare pressioni sulla volontà altrui? […] L'art. 610 c.p. necessita della violenza, propria o impropria che sia. Il «non aver detto» può ritenersi atto di violenza? Avremmo, in caso di risposta positiva, una «violenza» muta, senza azione. La conclusione è che non c'è violenza. Non esiste un atto autonomo di violenza213».

Ciò ovviamente non significa che la condotta del medico sia irrilevante penalmente.

La Corte d'Appello osserva che il Volterrani, agendo senza il previo consenso del paziente, «ha compiuto una grave aggressione fisica sul paziente, ha voluto le lesioni inferte. L'intervento medico arbitrario infatti non è privo della tipicità dei reati posti a tutela dell'integrità fisica e personale dell'uomo […]. Chi agisce senza consenso e necessariamente cagiona lesioni, lesioni non accettate dal paziente, agisce con il dolo di lesioni personali214».

Essendo derivata da tali lesioni la morte del paziente, appare consequenziale la condanna per omicidio preterintenzionale.

La condanna viene annullata dalla Cassazione, poiché competente a giudicare del delitto di omicidio preterintenzionale è la Corte d'Assise. In sede di rinvio, la Corte d'Assise d'Appello di Torino rovescia l'impostazione seguita nel giudizio annullato, manifestando il proprio dissenso dall'insegnamento della Cassazione in Massimo: «questa Corte di merito non condivide

211 G.i.p. Trib. Torino, 10 ottobre 1998, Volterrani, cit., p. 91. 212 VIGANÒ F, Profili penali del trattamento chirurgico, cit., p. 156. 213 App. Torino 10 maggio 2000, Volterrani, cit., p. 95.

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l'impostazione di Cass. sez. V, 21 aprile 1992, Massimo, che ha individuato nel mancato consenso del paziente, cui il trattamento medico abbia cagionato una menomazione fisica permanente, poi seguita da morte, il presupposto sufficiente perché siano ravvisabili l'elemento soggettivo delle lesioni personali e il loro confluire nell'omicidio preterintenzionale215».

La Corte insiste sulla intrinseca liceità del trattamento medico-chirurgico necessario o utile per il paziente, che non può integrare il reato di lesioni personali solo per il fatto della mancanza del consenso del paziente. Tale trattamento non costituisce una condotta offensiva dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice: e ciò quale che sia il suo esito finale, fausto o infausto. Poiché dalla condotta del Volterrani esula qualsiasi elemento di violenza e dovendosi ravvisare gli estremi dello stato di necessità ex art. 54 c.p. nella sua condotta, la Corte giunge ad una conclusione assolutoria, motivata con la formula «perché il fatto non costituisce reato».

La sentenza viene nella sostanza confermata dalla I sezione della Cassazione216, che si limita a correggere la formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» sulla base del rilievo che, una volta ammessa la liceità della condotta dell'imputato anche a prescindere dal consenso del paziente, il richiamo alla causa di giustificazione di cui all'art. 54 c.p. diviene superfluo.

Osserva la Corte, distaccandosi rispetto a Massimo, che la volontà del paziente «svolge un ruolo decisivo solamente quando sia espressa in forma negativa [ossia, in presenza di un esplicito dissenso del paziente]. Conseguentemente, il fatto che il Volterrani abbia dilatato la sua azione terapeutica ben oltre i confini tracciati dall'adesione dell'infermo agli interventi minori non deve assolutamente considerarsi per ciò solo illecito e arbitrario217» e ciò anche perché, prosegue la Corte, «un eventuale preventivo consenso del paziente esteso all'esecuzione della duodenocefalopancreasectomia non avrebbe avuto, di per sé, efficacia liberatoria delle conseguenze dell'esito infausto dell'operazione218» stante il principio dell'indisponibilità dell'integrità fisica da parte del suo titolare.

Pertanto: «il medico è legittimato a sottoporre il paziente affidato alle sue cure al trattamento terapeutico che giudica necessario alla salvaguardia della salute dello stesso, anche in assenza di un esplicito consenso219».

L'unico limite è dato dalla sussistenza di un dissenso esplicito e attuale del paziente, dal quale discenderebbe senz'altro per il medico l'obbligo di astenersi dall'intervento, profilandosi in caso contrario una sua responsabilità per il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p.

Deve allora ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece considerare insuperabile l'espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente, ancorché l'omissione dell'intervento possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell'infermo e, persino, la sua morte. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà configurarsi a suo carico il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p., ma non potrebbe discendere una responsabilità del medico per il diverso e più grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere che le lesioni chirurgiche, strumentali all'intervento, possano rientrare nella previsione di cui all'art. 582 c.p.220.

«La sentenza de qua che attribuisce rilevanza penale al solo manifesto dissenso, rappresenta […] un ritorno al passato, alla fase del c.d. paternalismo medico, nella quale il paziente si affidava completamente alla scienza altrui, senza partecipare alle scelte terapeutiche che lo avrebbero riguardato, sul presupposto che solo il medico possiede le competenze tecniche necessarie per

215 App. Torino 3 ottobre 2001, Volterrani, cit., p. 100. 216 Cass. pen., 29 maggio 2002, n. 26446,Volterrani. 217 Cass. pen., 29 maggio 2002, n. 26446, Volterrani, p. 106. 218 Cass. pen., 29 maggio 2002, Volterrani, cit., p. 106. 219 Cass. pen., 29 maggio 2002, Volterrani, cit., p. 107.

220 FRESA R., La responsabilità penale in ambito sanitario, in I reati contro la persona, diretto da A. Cadoppi, S.

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effettuare difficili scelte discrezionali221» essendo quindi «insito nella natura fiduciaria del rapporto questo abbandono del cliente al professionista222».

Tuttavia tale orientamento - sebbene rassicurante per l’interprete, perché lo toglie dall’imbarazzo di spiegare come fosse possibile equiparare in certi casi ''il bisturi al coltello'' chiamando i medici a rispondere del delitto di lesioni personali – non ha trovato seguito presso la giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di Cassazione.

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