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La responsabilità medica per violazione del consenso informato secondo P Veneziani di Paola Cosentin

La tematica della responsabilità medica per violazione del consenso informato trova nel Prof. Paolo Veneziani uno dei più attenti ed illustri giuristi che hanno incentrato i loro studi sull’argomento, allo scopo di fornire con i loro scritti una valida interpretazione della normativa e giurisprudenza in materia.

Nella sua opera “Regole cautelari ‘proprie’ ed ‘improprie’”263 egli distingue tra trattamento sanitario arbitrario che abbia aggravato il rischio originario e quello che lo abbia lasciato inalterato, affermando che nelle ipotesi in cui una pregressa malattia abbia come esito la morte del paziente anziché la sua guarigione, non sia possibile imputare al medico un fatto colposo di omicidio, nel quale la colpa sia consistita nella mancanza di informazioni al paziente a causa di negligenza o, comunque, nell'aver agito senza un previo valido consenso.

Il ragionamento che conduce a tale affermazione muove dalla considerazione che quel trattamento, sebbene arbitrario, non abbia in alcun modo alterato in negativo la situazione di rischio in cui versava il paziente.

Ed invero, ipotizzando il pieno rispetto delle regole dell’arte medica, sia nella scelta che nell'esecuzione del trattamento, non si configura affatto alcuna condotta colposa tipica, alla luce dei parametri della prevedibilità ed evitabilità dell'evento. Difatti, non si comprende come la violazione del dovere di informazione possa incidere su tale giudizio di prevedibilità ed evitabilità.

Di diverso tenore appaiono le considerazioni in ordine alle ipotesi di esito infausto.

260 Cfr. VIGANÒ F., Omessa acquisizione del consenso informato del paziente e responsabilità penale del chirurgo:

l’approdo (provvisorio?) delle Sezioni Unite, in Cassazione penale, 2009, p. 1814.

261 E quindi lesivo del diritto fondamentale all’autodeterminazione terapeutica sulla base dell’art. 32, comma 2 Cost.,

che intende il diritto di libertà come diritto all’integrità fisica, ovvero al diritto di inviolabilità del proprio corpo e che trova diretto riferimento anche a livello internazionale nella Carta europea dei diritti dell’uomo.

262 VIGANÒ F., Sub art. 50 c.p., cit., p. 696.

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Sul punto, il Veneziani afferma che in presenza di esito infausto esistono margini per fondare la responsabilità a titolo di lesioni colpose proprio sulla mancata acquisizione del consenso, anche qualora le altre regole dell’arte medica siano state rispettate.

Siffatto ragionamento fa riecheggiare la teoria del “rischio consentito”, in base alla quale il consenso del paziente produce l’effetto di escludere il rimprovero per colpa al medico che, agendo nel rispetto delle leges artis, abbia cionondimeno cagionato al paziente lesioni personali, mentre la mancata acquisizione del consenso fa sì che sul medico gravi la responsabilità per qualsiasi esito infausto derivi al paziente dall’intervento, anche se tale esito non sia immediatamente imputabile a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario.

In altri termini, se, da un lato si riconosce che, in alcuni casi, la mancanza del consenso non appare confacente a configurare una responsabilità a titolo di colpa, dall’altro si obietta che, in altre ipotesi, l’esito infausto del trattamento medico è il risultato di un rischio, insito in tale specifico trattamento, non preventivamente accettato dal paziente.

Pertanto, mentre nel primo caso non vi è relazione tra il consenso informato e la responsabilità a titolo di colpa del medico, in quanto l’agire del medico, sebbene non consentito, non ha modificato in senso negativo la situazione di rischio in cui versava il paziente, nel secondo caso si può configurare la responsabilità colposa del sanitario ex art. 589 e 590 c.p264.

In questa ultima ipotesi, avendo l’intervento medico cagionato lesioni o peggiorato un pregresso quadro clinico o, addirittura, anticipato l’evento morte, si può profilare una responsabilità colposa del sanitario per avere operato senza il previo consenso informato del paziente, dal momento che, in tale caso, il consenso ha il ruolo di determinare la soglia del rischio consentito, cioè a dire il confine entro il quale il medico può spingersi nell’espletamento dell’attività sanitaria.

Analizzando nello specifico l’ipotesi di omicidio colposo in ambito medico – chirurgico, il giurista evidenzia che, al fine di imputare soggettivamente l’evento morte all’agente, esso deve essere prevedibile ed evitabile, con l’ulteriore specificazione che l’esito letale viene individuato nelle sue coordinate spaziali, temporali e modali, per cui si configura la fattispecie di omicidio colposo anche in presenza dell’accelerazione dell’evento morte di un individuo che, a fronte di una grave malattia, è destinato a decedere in poco tempo, in quanto realizza una morte diversa da quella che, in assenza di condotta colposa, si sarebbe avuta.

Il Veneziani analizza criticamente ed acutamente il tema dell’efficacia della regola cautelare nella situazione concreta.

L’illustre giurista non risparmia critiche all’impostazione tradizionale per la quale, nonostante la sostanziale incertezza su come sarebbero andate le cose se fosse stata fatta la diagnosi corretta o se fosse stata somministrata la terapia adeguata, si fa ricorso «all'etichetta dell'evitabilità dell'evento con alto grado di probabilità razionale per mascherare in realtà un'imputazione per mancata diminuzione del rischio, non senza argomenti di natura etica, ovvero di istanze di politica criminale, che ruotano intorno all'idea - di per sé ineccepibile - che il medico debba fare tutto il possibile per salvare una vita umana, e quindi anche ciò che abbia limitate possibilità di successo». Ed ancora: «(…) eccepibile è invece il passaggio ulteriore, e cioè che - a fronte della penuria di regole cautelari "proprie" nel settore medico - non sia mai accettabile assolvere dal delitto di evento il medico che non abbia fronteggiato la malattia come invece avrebbe fatto l'agente modello. Cioè a dire che sarebbe invece giusto condannarlo sempre, anche quando non si sa affatto che cosa sarebbe successo se la diagnosi fosse stata tempestiva, ecc.»265.

L’Autore ha soffermato la sua attenzione sul problema che si pone laddove non si possa affermare né che l'azione doverosa omessa avrebbe certamente impedito l'evento, né che essa sarebbe stata certamente inutile ed inefficace.

264 VENEZIANI P., I delitti contro la vita e l'incolumità individuale, Tomo II, I delitti colposi, in Trattato di diritto

penale. Parte speciale, Marinucci – Dolcini, III, Padova, 2003, p. 306 ss.

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Il punto decisivo è segnato dall'interpretazione della clausola dell'art. 40, cpv., c.p. Per constatare la morte della causalità omissiva ci si spinge, infatti, a ritenere che tale norma non richieda il requisito ulteriore (in aggiunta all'obbligo giuridico di impedire l'evento e al dato oggettivo del mancato impedimento dell'evento stesso) "che il soggetto gravato dell'obbligo giuridico impeditivo potesse di fatto impedire l'evento".

Secondo questa impostazione, ai fini della ricostruzione della responsabilità penale la possibilità di evitare l'evento non sarebbe prevista dalla norma e non sarebbe richiesta: occorrerebbe, piuttosto, la prova che il soggetto sia personalmente rimproverabile per l'evento lesivo.

Ad avviso dell’Autore, «l'obbligo giuridico di impedire l'evento non può andare disgiunto da un correlativo potere, e il dubbio circa la "causalità omissiva" non può che tradursi nell'esito assolutorio del giudizio, a meno che non si ritorni ad avallare forme di imputazione per mero aumento (mancata diminuzione) del rischio e a punire il reato di evento come se fosse una fattispecie omissiva propria colposa, oggettivamente condizionata al verificarsi dell'evento. Né pare sufficiente - al fine di ravvisare un nesso "forte" tra evento e condotta omissiva colposa, come pure si vorrebbe - aggiungere alla valutazione (predittiva) ex ante della condotta come colposa una verifica ex post che si limiti alla constatazione che l'evento si sia prodotto e che il comportamento alternativo lecito possa essere ritenuto del tutto inutile»266.

Viceversa, ciò che risulta necessario è verificare la rimproverabilità del fatto tipico colposo. In altri termini, l'efficacia del comportamento alternativo lecito e del suo accertamento, così come gli altri elementi che compongono la tipicità del fatto colposo, vengono prima della colpevolezza per quel fatto.

Dunque, il mero accertamento della condotta colposa, ancorché di per sé esigibile e rimproverabile, non può consentire di bypassare la verifica degli ulteriori aspetti strutturali attinenti ai nessi tra colpa ed evento. Resta salva naturalmente la necessità di valutare di nuovo lo stesso comportamento alternativo lecito, in sede di colpevolezza, per vagliarne l'esigibilità nel caso concreto (in un quadro complessivo di rimproverabilità del fatto colposo).

4. La responsabilità medica per violazione del consenso informato secondo F. Giunta.

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