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Il versante oggettivo della condotta arbitraria adottata di Martina Cosentino

Come precedentemente esposto, la condotta medica è lecita in presenza di un consenso libero ed informato del paziente. Il trattamento chirurgico, pertanto, non è mai un fatto tipico se eseguito dal sanitario secondo le regole dell’arte medica e previo consenso del paziente. Nei casi in cui, invece, il sanitario intervenga senza il consenso del malato o eccedendo il consenso prestato dallo stesso, a livello teorico, si possono integrare varie fattispecie criminose: la violenza privata, le lesioni colpose, l’omicidio colposo o in alcuni casi addirittura l’omicidio doloso o preterintenzionale. Elemento oggettivo di questi, come di tutti i reati, è una condotta imputabile, un evento (ove previsto dalla legge), ed il nesso causale tra condotta ed evento.

Sebbene non vi siano incertezze sull’imprescindibilità del consenso del paziente per trasformare un atto illecito, la violazione dell’integrità psico-fisica, in un atto lecito, esso in ambito penale viene inquadrato in due modi differenti. Di fatti, parte della dottrina ravvisa nell’esistenza del consenso una causa di giustificazione, ricondotta alla previsione dell’art. 50 c.p. a presidio del diritto all’integrità fisica; secondo altra corrente dottrinale, invece, il consenso costituisce una causa di esclusione della tipicità dell’illecito penale, a tutela del diritto alla libertà morale della persona. Da tali premesse consegue che, in assenza di consenso informato, l’espletamento dell’attività medico-chirurgica costituisce atto illecito, per cui il medico deve rispondere di tutte le conseguenze negative arrecate al paziente. Nel caso in cui ricorra una situazione di emergenza, tale per cui l’ammalato non sia in grado di esprimere il consenso, il medico, allora, può agire in modo attivo nonostante la mancanza del consenso, possibilità che è giustificata dalle circostanze contingenti in relazione alla quale trova, pertanto, applicazione l’esimente dello stato di necessità prevista dall’art. 54 c.p.

In questa prospettiva, il consenso, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere "informato", espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell'intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l'indicazione della gravità degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà per il paziente non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, eventualmente, di rifiutare la terapia e decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale conclusione è fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall'art. 32 Cost., che prevede l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari nei soli casi espressamente previsti dalla legge.

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Difficile stabilire quale sia il reato ascrivibile al medico considerando che la sola mancanza del consenso informato non configura necessariamente il delitto né di lesioni né di omicidio, tantomeno il più grave, omicidio preterintenzionale. Difatti è evidente che il consenso, seppur mancante, non fa sì che vi sia nesso di causalità necessario per la configurabilità di tali delitti.

Per una corretta analisi si analizzi il caso in cui in assenza di consenso il medico sottoponga comunque il paziente a un intervento non voluto e ne consegua un esito infausto.

Il criterio di imputazione potrà essere di carattere colposo qualora il sanitario, in assenza di valido consenso dell'ammalato, abbia effettuato l'intervento terapeutico nella convinzione, per negligenza o imprudenza a lui imputabile, della esistenza del consenso; tuttavia è necessario che sussistano le consuete ipotesi integranti la c.d. "colpa medica" come quelle di omissione di condotte tecnicamente doverose, assenza del necessario grado di perizia ovvero carenza dell'opportuna prudenza.

Difatti, se il consenso del paziente funge da indefettibile presupposto di liceità del trattamento medico, con la conseguenza che la mancanza di un consenso opportunamente "informato" del malato, o la sua invalidità per altre ragioni, determina l'arbitrarietà del trattamento medico e la sua rilevanza penale, in ogni caso l'illiceità dell'intervento terapeutico del sanitario eseguito in difformità dal consenso prestato o in sua assenza, va posta in necessaria correlazione con l'esito infausto.

Pare opportuno, tuttavia, evidenziare come la finalità curativa dell’attività chirurgica difficilmente si concilia con il delitto di omicidio preterintenzionale o con il dolo di lesioni, salvo casi assolutamente estremi, in cui una menomazione venga inferta senza necessità effettiva, come ad esempio per scopi esclusivamente scientifici.

Il delitto di omicidio preterintenzionale si potrebbe configurare solo nel caso in cui il medico sottoponga il paziente ad un intervento, dal quale successivamente poi ne consegua l’evento morte, in assenza di finalità terapeutiche, ovvero per fini estranei alla tutela della salute, ad esempio provocando coscientemente un’inutile mutilazione, od agendo per scopi estranei (scientifici, dimostrativi, didattici, esibizionistici o di natura estetica), non accettati dal paziente. Al contrario, non ne risponderebbe il medico che, nonostante l’esito infausto, sottoponga il paziente ad un trattamento non consentito ed in violazione delle regole dell’arte medica, quando nella sua condotta sia rinvenibile una finalità terapeutica, o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici, poiché in tali casi la condotta non è diretta a ledere, e l’agente, se cagiona la morte del paziente, risponderà di omicidio colposo ove l’evento sia riconducibile alla violazione di una regola cautelare. Ma se l’intervento chirurgico, pur eseguito senza consenso, si conclude con esito fausto, si è esclusa la configurabilità del reato di violenza privata o di lesioni personali dolose.

Alla luce di quanto detto si giunge all’approdo che il rispetto delle regole dell’arte medica porta ad escludere la possibilità di imputazione oggettiva del peggioramento della salute del paziente allorché il medico si sia mosso nell’ambito di un’area di rischio consentito segnata dal puntuale rispetto delle regole dell’arte medica. Anche in presenza del nesso condizionalistico, non si può ritenere che la condotta sia condicio sine qua non delle lesioni, in quanto non rappresenterebbe la concretizzazione del rischio creato dalla condotta319.

Nel caso in cui, invece, il medico, pur sottoponendo un paziente ad un intervento senza il necessario consenso, consegua un esito fausto, secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte "non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata, la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto..."320. La Suprema Corte ha considerato che rilevante è il tema relativo all’ipotesi che l'intervento terapeutico si sia risolto con esito infausto. Ha, altresì, considerato che sembra, tuttavia, di dover desumere dall'apparato argomentativo di tale sentenza che, una volta esclusa la rilevanza del mancato consenso del paziente all'atto terapeutico posto in essere, dovrebbero essere valutati solo gli eventuali profili colposi di tale attività terapeutica posta in essere,

319 Sul punto si veda l’impostazione di Manna a p. 114. 320 Cass. pen., 18 dicembre 2008, n. 2437.

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evidentemente solo in relazione alla osservanza o meno delle leges artis, con eventuale ravvisabilità di reati solo colposi, mai dolosi. Di fatto dall’azione così eseguita non si può dire derivare una malattia, giacchè l'atto, pur se "anatomicamente" lesivo, non soltanto non provoca una diminuzione funzionale, ma è comunque valso a risolvere la patologia afflittiva del paziente; pertanto, proprio per difetto del relativo “evento” lesivo, non può ritenersi integrato il delitto di cui all'art. 582 c.p.

Se il consenso non esiste, o è stato prestato per un intervento di natura diversa, l'esito fausto del medesimo rende priva di rilievo penale, secondo le Sezioni Unite, la condotta del medico per mancanza dell'evento tipico del delitto di lesioni.

I reati che si ritengono integrati qualora l’attività medica sia svolta senza consenso (come presupposto della liceità-atipicità, come causa di giustificazione, come limite all’esercizio di un diritto) sono reati a tutela della libertà morale o dell’integrità fisica e della salute. Una parte della dottrina, infatti, ritiene che l’attività medica senza consenso sarebbe tipica come attività che offende il bene giuridico della libertà morale, della libertà di autodeterminazione della persona sulla propria salute. Il medico risponderà, pertanto, dei reati di cui agli artt. 605, 610 e 613 ricorrendone gli estremi, se ha agito senza il consenso e l’esito è positivo321. In questo caso si potrebbe anche ravvisare nell’anestesia praticata sul paziente la condotta di causazione dello stato di incapacità, ma mancherebbe l’assenza del consenso del paziente, perché normalmente il paziente consente all’anestesia.

Alla luce di quanto esposto pare opportuno, quindi, la prefigurazione di una disciplina ad hoc, per le ipotesi in esame, la quale consentirebbe di portare chiarezza laddove, sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, si verte in un ipotesi non del tutto chiara e condivisa, una disciplina ad hoc consentirebbe, inoltre, di evitare che si operino, a livello giurisprudenziale, indebite violazioni del principio di tassatività della fattispecie incriminatrice, nonché del principio di colpevolezza, rischiando di scivolare sul terreno della punizione "esemplare", insita in quelle pronunce che hanno ritenuto configurabile il delitto di omicidio preterintenzionale, a carico del medico che abbia proceduto arbitrariamente ad un intervento chirurgico, risoltosi con la morte del paziente.

PARTE III

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