• Non ci sono risultati.

Il dominio dell'estetica anti-uke: ganguro e yamanba

I. Gyaru, kogyaru, ganguro: la gioventù irrequieta di Shibuya

9. Il dominio dell'estetica anti-uke: ganguro e yamanba

Lo scandalo dello enjo kōsai determina un punto di svolta all'interno della subcultura

gyaru, marcando il passaggio dal predominio delle kogyaru a una figura ancora più discussa e

trasgressiva costituita dalle ganguro gyaru, al centro delle attenzioni negli anni a cavallo del nuovo millennio.

L'immagine esteriore costruita con il tempo, per esprimere la sicurezza di sé e la capacità di essere sensuale conservando la freschezza della giovinezza simboleggiata dall'uniforme scolastica, si trasforma in un magnete che attira le attenzioni indesiderate di uomini adulti, da cui le gyaru vengono quotidianamente molestate verbalmente e in alcuni casi fisicamente.

Già ostili nei confronti della società dominante, le ragazze si chiudono all'interno della propria comunità: irritate e offese nel profondo dalle continue avance di uomini di mezza età in cerca di giovani prostitute, le gyaru sviluppano un linguaggio rude e grezzo, incorporando espressioni tipiche della parlata maschile. Nella lingua giapponese, infatti, sono presenti delle sfumature a livello di struttura e del lessico, in grado di distinguere il linguaggio femminile da quello maschile; un esempio è costituito dalle particelle enfatiche di fine frase dove le donne usano toni più dolci come wa (), ne (ね), mentre gli uomini tendono ad utilizzare forme più dure

come zo () o ze (ぜ). Con una reputazione già oltremodo macchiata dalle raffigurazioni

mediatiche, l'intento principale è quello di apparire sgarbate, aggressive, ma anche in un certo senso più forti, nella speranza di dissuadere gli approcci indesiderati. L'adozione di un tipo di linguaggio grezzo che si contrappone all'immagine classica dell'elegante parlata femminile giapponese diventa uno strumento necessario di autodifesa, che mira a mettere in chiaro la volontà di prendere le distanze dall'immagine di ragazza disponibile cucita addosso dai media, costituendo una fase intermedia che porterà al cambiamento radicale di fine decennio.

Uno dei simboli per eccellenza della figura gyaru è l'abbronzatura, adottata come elemento trasgressivo che si contrappone al classico canone di bellezza giapponese dalla pelle diafana, ispirandosi allo stesso tempo all'atmosfera estiva e frizzante dello stile paragyaru. Verso la fine del secolo, la carnagione bronzea delle ragazze comincia gradualmente ad assumere un tono sempre più scuro, ottenuto con l'ausilio di lunghe sedute di lettini abbronzanti e fondotinta, dando così il

via al predominio dello stile ganguro. Non è solo l'abbronzatura a diventare più intensa, ma anche il make-up assume un'aria più eccentrica: data la necessità di far risaltare il trucco su una base scura, i colori predominanti diventano il bianco, l'argento, i neon, in modo da creare un contrasto accentuato tra la carnagione e il trucco; il classico ombretto si espande a formare un cerchio che racchiude tutta la zona dell'occhio e della palpebra inferiore, risultando in un effetto “panda”43, a

cui vengono aggiunti adesivi e cristalli colorati a forma di stelle e cuoricini. Anche i capelli, fino a ora decolorati per ottenere l'effetto chapatsu, vengono ulteriormente schiariti per arrivare a una tonalità argentata definita come messhu (メッシュ, dal francese mèche), a cui vengono aggiunte

delle extension dai colori vivaci ma innaturali; il look viene completato con stivali dalle zeppe vertiginose e con accessori di plastica dai toni kitsch, come fiori finti, ghirlande in stile paradiso tropicale, bigiotteria e persino kigurumi, costumi simili a calzamaglie dalle sembianze che richiamano quelli di animali o personaggi dell'animazione. Il risultato finale costituisce un look che, a dispetto del classico stile sensuale e accattivante delle kogyaru, suscita negli estranei un mix di sentimenti che va dallo stupore all'indignazione, tanto da conferire alle ragazze che adottano questo stile estremo l'appellativo di yamanba, un richiamo alla figura folkloristica della vecchia strega di montagna.

Dietro questo aspetto oltraggioso e stravagante, che spinge le ganguro a stravolgere completamente i canoni di look e stile in voga fino ad allora, in realtà si trovano delle motivazioni profonde, a cominciare dalla stessa necessità che le porta ad adottare un linguaggio maschile e scontroso: vessate costantemente dagli uomini che vedono in loro l'immagine di prostitute, le

ganguro decidono di abbandonare ogni traccia dell'aspetto sensuale che caratterizza una gyaru

per suscitare volontariamente repulsione negli stessi soggetti. La pelle scura e il trucco fuori dagli schemi hanno la funzione di distorcere ogni elemento che le rende attraenti e di conseguenza oggetto delle fantasie maschili, in un esibito atteggiamento anti otoko uke44, che mira tuttavia a sorprendere in positivo le loro sorelle (Marx). Il trucco non ha la tradizionale funzione di coprire imperfezioni o esaltare i lineamenti, ma maschera il viso con lo scopo di nasconderli, stravolgerli, ed essere divertente, sia dal punto di vista della donna che lo applica, sia da quello del gruppo in grado di apprezzarne le qualità. Le ganguro introducono nella subcultura femminile anche la pratica dei piercing sul viso, per esibire un'aria da delinquenti “dure” che fino ad allora nemmeno

43 Definito anche in Giappone con il termine “panda”.

le redīsu avevano adottato.

L'effetto ottenuto con questi espedienti va oltre quello desiderato: se infatti lo scopo originario era quello di allontanare lo sguardo maschile e la concentrazione mediatica, di fatto si ritrovano ad attirare ancora di più l'attenzione. Gli scandali della prostituzione passano momentaneamente in secondo piano, ma lasciano lo spazio alle aspre critiche della società disgustata dalla loro attitudine e dal loro aspetto, a cominciare dalle riviste maschili che prendono il controllo della situazione per sfogare la frustrazione dei loro lettori, “costretti a sopportare la vista di queste donne” (Kinsella). Ciò che per le ragazze costituisce una presa di posizione, dall'altra parte viene interpretata come un «affronto ai gusti dei lettori maschili»45.

Sperando di arginare il fenomeno, i media sembrano fare a gara nel pubblicare articoli offensivi sulle ganguro, in cui la loro descrizione sfocia nei toni del razzismo: nel capitolo “Black Faces, Witches, and Racism against Girls”, Sharon Kinsella presenta i numerosi stereotipi creati attorno alla subcultura da parte dei giornalisti, in particolare sottolineando il fatto che le ragazze venissero percepite in primo luogo come brutte, stupide e sporche. L'autrice sostiene che l'atto di scurirsi la pelle implichi una serie di interpretazioni errate da parte dell'opinione pubblica, che vede nel gesto una sorta di regressione a una razza inferiore di cui il trucco bianco costituisce una modalità di espressione tribale, differente dalle “pure e caste giovani ragazze giapponesi, vere custodi dell'identità nazionale”. In alcuni casi vengono persino private della loro umanità, paragonate a branchi di animali selvaggi:

«they are like primitive people who don’t use words or language or books, people who just exist by means of images, their appearances, and their body adornment. If they want something they just take it, they are material animals, they are not interested in culture or society, they are only interested in money.»46

Ma non è solo il campo dell'editoria delle riviste maschili che, ritrovandosi improvvisamente carente di (s)oggetti da feticizzare, si scaglia contro la presa di posizione femminile: numerose sono le trasmissioni televisive a occuparsi del nuovo scandalo morale e nei programmi di intrattenimento vengono presentati gli stili di vita di queste ragazze, soffermandosi in particolare

45 Sharon KINSELLA, “Black Faces, Witches, and Racism against Girls”...,cit., p.145 46 Sharon KINSELLA, “Black Faces, Witches, and Racism against Girls”..., cit., p.150

sulla loro abitudine di vivere nella sporcizia e di utilizzare i pennarelli come trucco poiché troppo povere e squallide per permettersi altro. Per quanto riguarda la disponibilità di denaro di queste ragazze, bisogna precisare che molte di esse non hanno le stesse possibilità economiche delle prime kogyaru nate in ambito borghese, ma fanno parte di quella porzione di subcultura subentrata nella seconda metà degli anni Novanta, proveniente dalle periferie di Tokyo e dalle classi sociali inferiori. In alcuni casi si tratta di ragazze fuggite di casa che si ritrovano a vivere tra le strade di Shibuya la cui opzione di sopravvivenza è quella di cadere nel mondo della prostituzione, tornando così ad alimentare lo stereotipo della gyaru che non si fa scrupoli a vendere il proprio corpo.

L'integrazione delle classi sociali medio-basse all'interno della subcultura costituisce un ulteriore fattore che porta al predominio delle ganguro/yamanba, da cui si generano i trend di moda low cost e kitsch: ciò che interessa a queste ragazze infatti non è il desiderio di apparire eleganti, quanto di essere medatsu (目 立 つ, appariscenti), identificato da Marx con l'influenza esercitata dalle ex yankī/redīsu, da cui traspare la volontà più in generale di trasgredire la regola ferrea imposta fin dalla tenera età del non presentarsi in maniera vistosa. Se la ribellione delle

sukeban, yankī e kogyaru viene messa in atto attraverso l'appropriazione dell'uniforme scolastica e

lo stravolgimento del significato originale, le yamanba agiscono in modo più radicale cambiando non solo il vestiario, ma anche attuando una profonda trasformazione del corpo che spinge la società a isolarle in termini di razza, quasi allo stesso modo di come era avvenuto per la questione degli shinjinrui.

In questo modo le ganguro riescono inoltre a riappropriarsi della definizione di subcultura, che nel corso del decennio si era perduta con il passaggio a cultura mainstream attraverso la diffusione capillare da parte dei media, istituendo nuovamente dei valori interni, dei canoni estetici e una moda valorizzati all'interno del gruppo, ma fortemente in contrasto con la società dominante.