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Kawaii come forma di libertà espressiva

II. Merletti, parasoli e colori pastello: l'impulso creativo di Harajuku

5. Kawaii come forma di libertà espressiva

Con il lento declino del fenomeno gyaru e la transizione delle attività subculturali predominanti verso la zona di Harajuku, a cavallo del nuovo millennio la cultura kawaii trova nel quartiere creativo un terreno fertile, in grado di produrre nuove mode di strada e prendere ancora una volta le distanze dalla cultura mainstream, in cui era stata completamente assopita.

Se la subcultura lolita vi incorpora elementi di derivazione occidentale, come l'ideale di moda storica europea e i toni cupi del goth, questi nuovi kei si generano dall'esaltazione di elementi tipici della cultura popolare giapponese incentrata sul fascino del “carino”, come le tenere

mascotte, giocattoli, la tematica sognante delle mahō shōjo99 (魔法少女) e tutto ciò che richiami il colorato mondo dell'infanzia, per creare una subcultura dal carattere estremamente liberatorio.

a. Dal dekora al fairy kei: la celebrazione della creatività infantile

Dopo la perdita del lato sovversivo negli anni Ottanta in seguito all'integrazione con la cultura mainstream, il concetto di kawaii ha subito una deformazione, assimilando all'interno più sfumature contrastanti con la natura originale: con il joshikōsei boom, l'innocenza e la dolcezza hanno lasciato spazio alla sensualità provocante incarnata nella figura della kogyaru. Successivamente, con l'affermazione della subcultura lolita, il sottotono infantile viene recuperato in parte nella forma degli abiti, rimanendo in secondo piano rispetto alla celebrazione della femminilità shōjo e dell'eleganza aristocratica di ispirazione europea, ma costituendo comunque un punto di svolta fondamentale per il ritorno a livello subculturale del “culto del grazioso”.

Verso la fine degli anni Novanta si assiste a una nuova ripresa dell'essenza originaria del

kawaii basata sulla completa adozione di un'estetica infantile, questa volta combinata con il lato

estroso e bizzarro tipico di Harajuku: in seguito a una sempre più evidente de- professionalizzazione della moda giovanile (Kawamura), promossa dal successo delle modelle e stiliste amatoriali immortalate in riviste come FRUiTS, nel quartiere si genera un fermento creativo per cui ogni sorta di oggetto può diventare di fatto un accessorio da incorporare nel proprio vestiario, incentivando i giovani a realizzare da sé il proprio stile originale per esibirlo nelle strade di Urahara. Questa impennata di creatività porta alla nascita del dekora kei100 (デコラ 系), il cui il

concetto chiave risiede nell'indossare il maggior numero di accessori possibili, abbinandoli a un vestiario estroso fatto di più indumenti sovrapposti, non necessariamente coordinati. Come accade per la moda lolita, anche in questo caso non vi è esclusività di genere, permettendo la partecipazione sia alle donne che agli uomini: l'assenza di abbigliamento codificato permette di allargare il campo di adesione, facendo dei colori brillanti e della moltitudine di accessori le uniche regole fisse e offrendo ancor più libertà espressiva rispetto ad altre subculture più rigide.

L'elemento importante che caratterizza questo nuovo kei è la natura degli accessori

99 Mahō shōjo: le giovani maghette, protagoniste di serie animate e a fumetti.

accumulati: gioielli di plastica, pupazzi, mascherine per il viso decorate con motivi graziosi, mascotte e animaletti provenienti dal mondo dell'animazione giapponese e occidentale, ma soprattutto un numero indefinito di mollette per capelli colorate, rimandano chiaramente all'estetica infantile evocata dal concetto di kawaii. I diversi colori arrivano in alcuni casi a mescolarsi con i motivi del punk tra stampe animalier e teschi, ma sempre addolciti dalla profusione di oggetti carini che accompagnano il vestiario. L'incontro tra i toni duri del punk e la tenerezza degli accessori potrebbe derivare sia dall'influenza della moda punk lolita, sia da una nuova corrente di visual denominato come oshare kei101 (おしゃれ系), unendo così più elementi di diversa provenienza subculturale. All'interno del dekora kei si riscontra inoltre l'utilizzo dei

kigurumi, le morbide tute di peluche con fattezze animali utilizzate anche dalle yamanba,

probabile segno di una convergenza tra le mode di Shibuya in lenta decadenza e quelle di Harajuku.

Questa prima fase del fenomeno dekora si esaurisce nella seconda metà degli anni Duemila, quando, invece di scomparire del tutto come una delle tante mode passeggere, subisce una frammentazione in categorie che vertono sullo stesso concetto di giocosità infantile: alcune vengono incorporate all'interno della subcultura lolita dando il via al dekorori102 (デコロリ), altre 101 Oshare kei: letteralmente tradotto come “stile alla moda”, si afferma attorno alla metà degli anni Duemila. È

caratterizzato dai toni meno duri del visual kei originale e melodie pop/rock, in uno stile visivo che mescola colori pastello e tinte punk.

102 Dekorori: unione degli stili dekora e lolita.

Fotografia 10: A sinistra un esempio recente di dekora (2015) a destra di

fairy kei (2011).

invece generano stili indipendenti mantenendo l'immagine originale dell'abbondanza di accessori, ma eliminando l'uso dei colori scuri associati con il punk e il visual kei, creando così il fearī kei103 (フ ェ ア リ ー 系, fairy kei), dove elementi fiabeschi, unicorni, bacchette magiche e colori pastello

dominano l'estetica, in un'atmosfera sognante ispirata alla figura della mahō shōjo.

Non tutti i kei derivati dal filone dekora ne riprendono il carattere innocente ed edulcorato come quest'ultimo, ma alcuni adottano i colori neon del primo periodo e le tradizionali dolci mascotte alternandoli con elementi grotteschi e horror di tipo kimokawaii104 (きもかわいい) per ottenere un effetto shock basato sui contrasti, definito dall'artista e designer Masuda Sebastian (6% dokidoki) come sensational kawaii105: l'esempio più celebre di questo stile è la cantante e modella Kyary Pamyu Pamyu che collaborando nella direzione artistica con Masuda ha saputo riportare alla luce il carattere trasgressivo e meno candido del kawaii, equilibrandone gli elementi.

b. Socialità del dekora e modelli di femminilità

Anche in questo caso la socialità e le attività di ritrovo costituiscono un elemento importante della subcultura, poiché lo stile viene legittimato solo in relazione con il gruppo: nella fase iniziale i dekora si riuniscono negli spazi di Urahara, mescolandosi all'ambiente artistico dove compaiono i primi negozi specializzati come il celebre 6% dokidoki106 (6パセーントドキドキ), o il ponte Jingū, sempre più dominato dalla scena delle mode di strada e di ispirazione musicale, con i cosplayer visual kei e le fasi iniziali del fenomeno lolita. Eventi più attuali sono invece le fasshon

uōku (ファッションウォーク, dall'inglese fashion walk), in cui i partecipanti si radunano e sfilano

assieme in una parata lungo le strade del quartiere, sotto gli occhi di ammiratori e curiosi. Solitamente le fashion walk includono l'adesione di più tipi di kei contemporaneamente, favorendo così la socializzazione tra più gruppi subculturali, in una celebrazione pubblica della loro creatività e libertà espressiva.

103 fearī kei: dall'inglese “fairy”, tradotto come “stile fatato”. Talvolta viene definito in Occidente anche con il termine di pastel kei.

104 Kimokawaii (disgustoso ma carino): neologismo che deriva dall'unione degli aggettivi kimoi (きもい, disgustoso) e

kawaii; si utilizza per descrivere qualcosa che suscita sia repulsione, sia sentimenti di compassione o tenerezza.

105 Termine riportato come in originale. 106 (http://dokidoki6.com/)

Il modello di femminilità proposto dal dekora kei rimanda alla «cheeky, androgynous tomboy sweetness107» individuata da Sharon Kinsella nell'analisi della moda kawaii degli anni

Ottanta: confrontato con quello della subcultura gyaru e lolita già analizzati nei capitoli precedenti, non solo non vi è alcuna volontà esplicita di attirare lo sguardo maschile comunicata attraverso il vestiario, ma nemmeno tracce della femminilità romantica di derivazione shōjo. La figura della dekora lascia trasparire l'immagine androgina tipica dei bambini, in cui l'aspetto carino e grazioso prevale sulla distinzione del genere.

Esistono tuttavia delle eccezioni a questa immagine di innocenza infantile, tra cui quella proposta dallo stile sensational kawaii di Masuda: nelle sue installazioni e set fotografici pubblicitari, le modelle Vani e Yuka indossano abiti e accessori che si confondono con i colori sgargianti della scenografia retrostante, in un atteggiamento ironico e quasi sfrontato in contrasto con l'aria giocosa e candida delle ragazze dekora e fairy kei. Le calze a rete e i corsetti sovrapposti ad abiti babydoll dalle tinte neon richiamano lo stile punk e cyberpunk occidentale, unendosi alla moltitudine di accessori graziosi tipici dello stile decorativo. Per la prima volta negli ultimi anni si assiste quindi a una reinterpretazione della femminilità kawaii a lungo proposta nel primo decennio degli anni Duemila dalle mode lolita, dekora e stili derivati: gli accessori di plastica e gli indumenti colorati veicolano il desiderio di libertà espressiva tipica delle culture di Harajuku, ma lo fanno attraverso un taglio di vestiario più adulto, sensuale e perfino ribelle che richiama la cultura

107 Sharon KINSELLA, Cuties in Japan...,cit., p.229

dei rave e delle discoteche, ben lontana dal candore angelico e asessuato del lolita e del fairy kei, e naturalmente dalla figura femminile sobria incoraggiata dalla società patriarcale.

Come si è già avuto modo di illustrare nel capitolo dedicato al significato del consumo di cultura kawaii, l'età infantile costituisce una condizione ideale dove l'individuo è ancora privo di obbligazioni sociali, spingendo i giovani incapaci di affrontare la responsabilità di diventare

shakaijin a guardarvi con nostalgia. La moda dekora, come molte delle subculture di Harajuku,

costituisce nella maggior parte dei casi un tipo di evasione temporanea, una pausa liberatoria dalla routine quotidiana, per cui non è possibile definirla propriamente una ribellione negli stessi termini di una zoku. L'adozione di elementi che rimandano all'estetica fanciullesca non costituisce un mero desiderio di regredire allo stato dell'infanzia, bensì è funzionale a esprimere quella libertà che esso rappresenta, attraverso l'appropriazione dei suoi simboli e dei suoi colori sgargianti. Il fine ultimo dei partecipanti è l'aspetto ludico della condivisione di uno stile estroso e la celebrazione della propria autonomia creativa che può trovare realizzazione solo a Harajuku.