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II. La cultura shōjo e la cultura kawaii

4. Interpretazioni

Come descritto nei paragrafi precedenti, la cultura kawaii nasce come elemento di resistenza nei confronti della società, esercitata attraverso l'adozione di simboli, linguaggi e forme di espressione in connessione con le tematiche infantili e la cultura shōjo. Fin dai tardi anni Settanta i sociologi hanno tentato di fermarsi a riflettere sul disagio che stava travolgendo bambini e adolescenti, aprendo così quello che Gomarasca e Valtorta definiscono come "Nuovo discorso giapponese sui giovani"16, nel quale vengono affrontati gravi allarmi sociali come il fenomeno degli hikikomori e quelli dei suicidi infantili che sconvolgono il paese negli stessi anni.

In Giappone il concetto di maturità e quello di entrata in società coincidono strettamente, per cui una persona non viene considerata adulta solo con il raggiungimento della maggiore età a vent'anni, ma solo una volta che questa acquisisce lo status di shakaijin, a cui tradizionalmente si accompagnano la dedizione e la fedeltà alla propria azienda nel caso degli uomini, e il sacrificio della propria individualità a favore della famiglia e dei figli nel caso delle donne, secondo il criterio del ryōsai kenbo che le vuole buone mogli e madri sagge. L'immagine che il mondo degli adulti suggerisce ai giovani giapponesi fa paura, poiché viene percepita come una privazione di libertà (già di per sé limitata) di cui godono tutti quelli che ancora non sono considerati shakaijin, spingendoli a desiderare di voler prolungare indefinitamente questo status privilegiato.

L'ansia che nutrono le donne verso il matrimonio e la nascita dei figli non è causata dagli avvenimenti di per sé, ma dalle implicazioni che questi comportano: nel momento in cui una donna assume il proprio ruolo prestabilito di moglie e madre, essa viene privata della sua sfera pubblica e sociale, della possibilità di guadagnare e spendere per sé il proprio denaro e di gestire autonomamente il tempo libero a disposizione. Si tratta di un salto radicale rispetto alla condizione che precede il matrimonio, poiché grazie alla posizione marginale che occupano nel mondo del lavoro come office ladies, le donne non sposate riescono a godere di una libertà senza pari rispetto ai loro coetanei, data l'assenza di un ruolo sociale non ancora definito. La mancanza di una via di mezzo tra una condizione di libertà illimitata e l'obbligo alla presa di coscienza della propria identità di moglie e madre, è uno dei fattori che porta le giovani donne a romantizzare la

figura della shōjo e l'immaturità che la caratterizza, manifestandosi attraverso il consumo della cultura kawaii: questo infatti non è solo il frutto di una logica materialistica, ma la traduzione di un desiderio più ampio, per cui Kinsella afferma:

«Young women desire to remain free, unmarried and young. Whilst a woman was still a shōjo outside the labour market, outside of the family she could enjoy the vacuous freedom of an outsider in a society with no distinct obligations or role to play; but when she grew up and got married, the social role of a young woman was possibly more oppressive than that of a young company man. [...] These young women thus savoured their brief years of freedom as unattached urban socialities through decandent consumption and also expressed their fear of losing that freedom and youth through the cute aesthetic. »17

Di fronte alle accuse di egoismo e irresponsabilità che le giovani giapponesi si sentono rivolgere quando la stabilità occupazionale, favorita dal periodo di crescita economica, fornisce loro un ulteriore motivo di ritardare l'uscita dal mondo del lavoro, queste rispondono ostentando sempre di più la condizione di shōjo ed estremizzando il carattere infantile per dimostrare un desiderio di libertà, in contrasto con le aspettative di una società che le vorrebbe relegate all'ambiente domestico per prendersi cura di mariti, figli e di una popolazione anziana sempre più in crescita.

Riassumendo, nell'interpretazione di Kinsella viene individuato un collegamento tra il rifiuto della condizione adulta e della società in generale: la tendenza dei giovani ad assumere un atteggiamento che esibisce immaturità, debolezza e inadeguatezza tipiche dell'età pre-sociale trasformandole nei loro punti di forza, è segno dell'incapacità di assumersi le responsabilità che il diventare shakaijin comporta; l'esaltazione della personalità shōjo e il consumo della cultura

kawaii sanciscono quindi il desiderio di portare avanti una condizione privilegiata oltre al periodo

di libertà che gli studi universitari o il ruolo di office ladies permettono, costituendo così un fenomeno di ribellione nei confronti delle aspettative sociali.

L'opinione di McVeigh riguardo al fenomeno del kawaii presenta dei punti in comune con quella di Kinsella poiché viene inteso da entrambi come un elemento di resistenza, in particolare

se messo a confronto con la teoria dell'uniformità visiva sociale, a cui i design graziosi e colorati si oppongono esteticamente. Tuttavia, McVeigh aggiunge un ulteriore significato dal punto di vista di genere: individuando un'associazione tra la cultura kawaii e la condizione femminile afferma:

«the consumption of cuteness is a form of “resistance,” a daily aesthetic that counters the dominant “male” productivist ideology of standardization, order, control, rationality, impersonality and labor.» 18

Di conseguenza il kawaii diventa anche uno strumento in grado di comunicare le relazioni di potere: l'identificazione con il genere femminile comporta a sua volta l'associazione con le caratteristiche che esso racchiude quali fragilità, debolezza, capacità di indurre senso di protezione e immaturità, ponendo automaticamente le donne su un piano inferiore rispetto agli uomini e rafforzando l'ideologia già presente nella società giapponese.

Oltre al potere commerciale intuito da aziende come Sanrio, viene presto riconosciuto anche il potenziale persuasivo di un design grazioso: non deve stupire l'enorme quantità di mascotte e personaggi che in ogni ambito della vita quotidiana giapponese invitano le persone ad assumere certi comportamenti o ammoniscono riguardo ad altri, ad esempio in metropolitana, in un cantiere di lavori in corso o per la strada. Nemmeno le istituzioni sono esenti dalla rappresentazione da parte di personaggi graziosi, come mostrano i casi di Pipo-kun, Kyuta-kun e il principe Pickles, corrispondenti rispettivamente alle mascotte del Dipartimento della Polizia Metropolitana di Tokyo, del Dipartimento dei Pompieri di Tokyo e delle Forze di Autodifesa Giapponesi. McVeigh interpreta questo uso cospicuo di design kawaii come strumento per mitigare l'autorità e l'asprezza del messaggio ammonitore, in modo da essere ricevuti in modo più

soft da parte della popolazione, definendo questo tipo di pratica come «authority cuteness»19.

Seppur per fini commerciali più che persuasivi, a partire dalla metà degli anni Duemila la pratica di adottare una mascotte come emblema di un ente governativo inizia a riscontrare una popolarità senza pari, dando il via al fenomeno degli yurukyara (ゆ る キ ャ ラ): questi personaggi

vengono ideati scegliendo elementi tipici delle zone di rappresentanza, diventando i veri e propri

18 Brian J. MCVEIGH, Wearing Ideology..., cit., pp.135-136 19 Brian J. MCVEIGH, Wearing Ideology..., cit., p.150

simboli della città o della prefettura. Le mascotte partecipano a eventi, hanno linee di gadget che contano oggetti di ogni genere e che attirano i collezionisti da tutto il paese, dal momento che le vendite vengono limitate alla zona rappresentata. In particolare, le mascotte della prefettura di Kumamoto (Kumamon) e della città di Funabashi, Chiba (Funasshi20) hanno registrato un successo tale da essere diventate famose su scala nazionale, contribuendo ad aumentare le entrate delle prefetture in maniera esponenziale a partire dal loro lancio sul mercato.

Per questi motivi è possibile affermare che l'opinione di McVeigh riguardo al fenomeno del

kawaii è duplice: messo a confronto con la rigida logica dell'uniformità sociale, diventa uno

strumento di evasione dal mondo reale e dalle regolamentazioni che questo comporta; tuttavia, grazie alle sue caratteristiche di docilità e debolezza capaci di suscitare empatia nelle persone, viene considerato anche come uno strumento funzionale, sia al fine di mettere in chiaro le gerarchie sociali (rafforzando la posizione maschile rispetto a quella femminile), sia all'esercizio di un'autorità percepita in maniera più intima e meno severa dalla popolazione, grazie al potere persuasivo dei design innocui e infantili.