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Il funzionamento del Parlamento: i regolamenti parlamentar

La Costituzione detta alcune norme relative all’organizzazione e al funzionamento delle Camere, che trovano poi più particolare e dettagliata disciplina nei rispettivi regolamenti, oltre che nelle consuetudini parlamentari.

I regolamenti sono adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art. 64 della Costituzione) e non sono sindacabili da nessun organo giurisdizionale, nemmeno dalla Corte costituzionale (cfr. le sentenze della Corte costituzionale n. 9/1959 e n. 154/1985)57.

Gli attuali regolamenti, approvati nel 1971, hanno subito nel corso degli anni notevoli modificazioni adeguandosi di volta in volta alle nuove esigenze di disciplina organizzativa che emergevano. Essi provvedono a disciplinare l’organizzazione interna, nonché le attività legislativa e amministrativa, in attuazione degli artt. 64, co. 1 («ciascuna Camera adotta il proprio regolamento […]») e 72, co. 1 («ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale») della Costituzione.

Abbiamo già avuto modo di osservare come l’art. 66 della Costituzione affidi in via esclusiva ad ogni Camera il compito di giudicare «dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità»58; questo

perché, se non vi fosse tale norma costituzionale sulla verifica dei poteri, il compito in questione spetterebbe ai giudici amministrativi od ordinari, secondo le rispettive sfere di giurisdizione. In prima istanza, il giudizio sulla regolarità delle operazioni

57 Le norme costituzionali relative al procedimento di formazione delle leggi non potranno essere derogate

dai regolamenti parlamentari, e le Camere non potranno opporre che si tratti di questioni interne all'organo (sentenza della Corte costituzionale n. 9/1959); questo vuol dire che i regolamenti parlamentari sono liberi di disciplinare l'organizzazione e il funzionamento delle Camere, ma non possono derogare alle disposizioni costituzionali che dispongano previsioni in materia. In definitiva, la prevalenza gerarchica della Costituzione sui regolamenti (che appartengono alla categoria delle fonti primarie) dovrà essere comunque garantita dalla Corte.

Con la sentenza 154/1985, la Corte costituzionale ha negato di poter giudicare la legittimità costituzionale dei regolamenti parlamentari, in quanto non rientrano nella categoria di «leggi e atti con forza di legge», su cui la Corte, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, è chiamata a pronunciarsi. La Corte costituzionale ha ritenuto quindi che la potestà regolamentare di cui le due Camere sono dotate, garantisce un'indipendenza dei regolamenti parlamentari anche dalla Corte costituzionale e dai suoi giudizi di legittimità.

58 L’art. 65 della Costituzione prevede che «la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità

elettorali e sugli altri titoli di ammissione dei parlamentari spetta alla Giunta delle elezioni. Qualora la Giunta concluda che non vi è stato nulla di irregolare o che non sussistono cause d’ineleggibilità o d’incompatibilità, essa emette una proposta di convalida che difficilmente non sarà avallata dall’Assemblea. Se, invece, la contestazione è per essa fondata, la Giunta si limita ad istruire la questione, sulla quale l’Assemblea delibera successivamente con votazione a scrutinio segreto.

Altra garanzia di autonomia, questa volta di tipo individuale, deriva dall’art. 67 della Costituzione secondo cui «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Lo scopo della norma è quello di impedire che i legami tra il parlamentare ed il suo partito politico, comunque formalizzati, assumano un rilievo giuridico. La ratio non è sicuramente quella di consentire ai parlamentari di «frodare» i loro elettori, bensì quella di permettere loro di poter svolgere il proprio mandato agendo liberamente, senza dover necessariamente sottostare a quanto potrebbe essergli imposto dal partito.

Per completare l’analisi del principio di autonomia delle Camere bisogna soffermarsi, da ultimo, sul tema delle immunità o prerogative parlamentari.

Con tali espressioni si fa riferimento a quegli istituti che, in deroga al diritto comune, mirano a salvaguardare il libero e ordinato esercizio delle funzioni parlamentari, ponendole al riparo dal condizionamento che altri poteri dello Stato potrebbero esercitare. Le prerogative hanno lo scopo di garantire l’indipendenza del Parlamento, con la conseguenza che sono irrinunciabili e indisponibili da parte del singolo parlamentare. In particolare, esse dovrebbero servire a tutelare la libertà di opinione dei parlamentari ed a porli a riparo da azioni della magistratura penale che siano pretestuose, in quanto dirette solamente a condizionarne l’operato politico59.

L’art. 68 della Costituzione prevede due distinti istituti:

• l’insindacabilità in qualsiasi sede (penale, civile, disciplinare) per le opinioni ed i voti espressi nell’esercizio delle funzioni parlamentari. Tale immunità resta valida anche dopo il termine della legislatura. Le Camere sono competenti a valutare se i comportamenti posti in essere dai loro membri rientrino o meno nell’esercizio delle «funzioni parlamentari», e siano quindi coperti dall’insindacabilità, mentre è lasciata all’autorità giudiziaria la possibilità di sollevare il c.d. «conflitto di

attribuzione»60. La possibilità di contestare la deliberazione parlamentare deriva dal fatto che la prerogativa in questione «protegge» il parlamentare qualora le opinioni espresse e i voti dati siano ricollegabili all’esercizio della funzione parlamentare61.

• l’immunità penale, in virtù della quale il parlamentare non può essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale o domiciliare, né a limitazioni della libertà di corrispondenza e comunicazione senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza. Tale immunità è limitata alla durata della legislatura. Non è più richiesta l’autorizzazione per sottoporre a procedimento penale il parlamentare, come era previsto dal testo originario dell’art. 68 della Costituzione62.

All’autonomia normativa ed organizzativa si ricollega l’autonomia amministrativa e contabile, così assoluta, quest’ultima, da non consentire controlli da parte di organi esterni alle Camere e quindi nemmeno da parte della Corte dei conti, la quale, in base agli artt. 100 e 103 della Costituzione, esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica63. Basti tornare indietro di qualche decennio, in particolare nel 1979 quando, con apposito decreto del 30 ottobre la Corte dei conti intimò al tesoriere del Senato e a quello della Camera di presentare i conti relativi alle gestioni dal 1969 al 1977 affermando che anche per gli organi costituzionali fosse obbligatorio rendere conto delle loro gestioni ad un giudice indipendente ed imparziale, considerando l’esonero un privilegio. A seguito della suddetta richiesta, il Senato e la Camera proposero ricorso davanti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione nei confronti della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 134 della Costituzione e dell’art 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (cfr. sedute Senato e Camera del 2 luglio 1980). La Corte

60 I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sono lo strumento con cui un «potere» dello Stato può

agire davanti alla Corte costituzionale per difendere le proprie attribuzioni costituzionali compromesse dal comportamento di un altro «potere» dello Stato (R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto pubblico, Dodicesima edizione, GIAPPICHELLI, 2014).

61 Molti meno dubbi destava sicuramente la previsione dello Statuto albertino, il quale espressamente

parlava di opinioni e di voti dati «nelle Camere». Si veda l’art. 51 dello Statuto secondo cui «I senatori ed i deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere».

62 Il secondo comma dell’articolo 68 della Costituzione, nel testo approvato dall’Assemblea costituente ed

entrato in vigore il 1° gennaio 1948, stabiliva che i membri del Parlamento «non possono essere sottoposti a processo penale senza autorizzazione della Camera di appartenenza»; la legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre 1993 ha modificato la norma costituzionale togliendo tale previsione.

63 V. DI CIOLO, L. CIAURRO Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, Quinta edizione,

costituzionale, con sentenza del 10 luglio 1981, n. 129 ha dichiarato che non spetta alla Corte di conti il potere di sottoporre a giudizio i tesorieri della Camera e del Senato, oltre che quelli della Presidenza della Repubblica. Secondo la stessa Corte, però, occorre considerare che la disciplina dettata dalle norme costituzionali scritte, quanto al regime organizzativo e funzionale degli apparati serventi gli organi costituzionali, non è affatto compiuta e dettagliata. Ad integrazione di esse, infatti, si erano formati dei comportamenti uniformi costantemente ripetuti, ovvero delle consuetudini costituzionali, che esimevano gli organi costituzionali dal controllo della Corte dei conti.

Dalla sentenza della Corte costituzionale emergeva però l’esigenza, per le Camere, di dotarsi di un’adeguata regolamentazione in materia contabile.

Al riguardo il nuovo Regolamento di amministrazione e contabilità del Senato (approvato dal Consiglio di Presidenza del Senato il 1° giugno 2006, che ha sostituito quello precedente, approvato l’8 novembre 1988) prevede un bilancio annuale di previsione ed un bilancio triennale, formulati in termini finanziari di cassa. Entro il 28 febbraio di ogni anno, il Consiglio di Presidenza delibera il progetto di bilancio, unitamente al rendiconto dell’esercizio precedente predisposti dal Collegio dei questori. Progetto di bilancio e di rendiconto sono poi approvati dall’Assemblea. Alla Camera, il nuovo Regolamento di amministrazione e di contabilità è stato approvato il 21 dicembre 2010 (il precedente risaliva al 5 agosto 1993) ed è entrato in vigore il 1° marzo 2011.