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Il grande viaggio e la descrizione verriana (1766-1767)

IL GRANDE VIAGGIO E IL PRIMO SOGGIORNO ROMANO (1766 1768)

1. Il grande viaggio e la descrizione verriana (1766-1767)

Come si è evinto dalla conclusione del capitolo precedente, nell’explicit della Storia d’Italia, Alessandro Verri sostenne a più riprese le critiche, già formulate nel Caffè, ad una cultura italiana riconosciuta come debole in virtù della soggezione a una tradizione prevalentemente retorica, sorda nei confronti delle sollecitazioni provenienti d’Oltralpe. Soggetta ad «uno spirito di corpo» che sopprime la libertà degli ingegni e la rende estranea ai cambiamenti, e quindi in sé chiusa e provinciale,1 essa è arroccata in una perenne condizione di inferiorità rispetto ad una Europa intesa come «luogo non mitico» quanto piuttosto «storicamente concreto, fatto soprattutto di entità politiche realizzate come i grandi stati moderni e accentrati, e popolato di filosofi, pensatori, giganti del pensiero dai quali imparare e con i quali comunicare».2 L’Europa per i giovani caffettisti costituiva «una sola nazione», una «stretta ed universal società», dotata di una «stampa che sparge al momento le nuove scoperte; ed i nuovi lumi si diffondono ad un tratto da Londra a Reggio di Calabria»: «A che fare società parziale quando v’è la generale?».3

Il viaggio a Parigi e Londra, se visto in questa particolare angolazione, non costituì solo l’occasione irripetibile atta a rendere omaggio a «quei sommi filosofi, che onorano l’umanità, l’Europa»,4

ma anche e soprattutto la possibilità di sancire uno stato di appartenenza a quella stessa società intellettuale: la possibilità di divenire membri a pieno titolo di quella grande e cosmopolita repubblica dei gens de lettres.

L’occasione venne allora da Parigi, ove si era appena concluso il grande affaire Calas, esempio di una tradizione legale che appariva sempre più lontana da una coscienza umanitaria.5 L’ala moderata della philosophie francese (D’Alembert, Morellet e Grimm) lesse nell’estate del 1765 Dei delitti e delle pene e «fu come un appello a riprendere la strada, sempre fallita e sempre

1 A. Verri, Dei Difetti delle letteratura e di alcune loro cagioni, cit., p. 553: «Egli è principio costante che più facile è il

cangiar le idee di un uomo che di una società. In esse [accademie] lo spirito del corpo non è più quello di ciascheduno, ma bensì è il risultato di tutti, ed è quello della passata generazione più che della presente. L’accademia è immortale; i nuovi candidati non piegano il corpo alle loro opinioni, ma essi convine che si pieghino a quelle del corpo; e così hanno nelle loro cose questi ceti, come la maggior parte, uno spirito d’immobilità. Il che fa che allora soltanto sarebbero utili quando l’umano ingegno ritornasse indietro, poiché lo impedirebbero; ma che non lo sieno quand’egli è per progredire. E chi dirà che non si debba ancora far viaggio dall’umano intelletto o chi ne potrà fissare i confini?»

2 B. Anglani, La lumaca e il cittadino. Pietro Verri dal benefico dispotismo alla Rivoluzione, Roma, Aracne, p. 11. 3 A. Verri, Dei Difetti delle letteratura e di alcune loro cagioni, cit., p. 553-54.

4

Lettera di Beccaria a Morellet, datata 26 gennaio 1766, in Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., pp. 361-68, p. 363.

5

Per la ricostruzione del caso Calas e per l’intervento di Voltaire (Traité sur la tolérance à l’occasion de la mort de

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ricominciata a Parigi, dell’assolutismo illuminato».6

D’Alembert scriveva prontamente a Frisi nel luglio che quel «petit volume» era destinato a «assurer à son auteur une réputation immortelle», anticipando la decisione dell’abate Morellet, «transporté de cet ouvrage», di farne una traduzione francese che «ne fera rien perdre à l’original».7

La traduzione fu iniziata e completata alla fine dell’anno successivo: «En 1766 je fis et publiai, sur l’invitation de M. de Malesherbes», scriveva Morellet, «la traduction de l’ouvrage Dei delitti e delle pene par Beccaria». «J’emportai le livre, et je le publiai en française au bout de six semaines».8 Il tre gennaio 1766 lo stesso traduttore lanciava un primo invito a Beccaria e a Pietro: «Venez, Monsieur, avec M. le Comte Verri votre ami, dont nous avons lu le petit ouvrage Sulla felicità avec le plus grand plaisir, et soyez sûr que vous mènerez avec nous une vie agréable, que vous y trouverez une société douce, et que vous pourrez y établir un commerce d’idées et de sentimens qui sera avantageux à vous et à nous. C’est là le meilleur moyen de satisfaire notre curiosité sur votre compte».9 L’invito, ribadito nuovamente nel luglio di quell’anno, fu accolto, superate le perplessità iniziali di Cesare («Io volerei a Parigi per istruirmi, per ammirarvi, per esprimervi in voce ciò ch’io sento per voi, per M. d’Alembert e per i vostri illustri amici, se le dure mie circostanze me lo permettessero»),10 ma all’autore delle

Meditazioni sulla felicità, costretto in patria da un impiego pubblico,11 si sostituì Alessandro. Sostenitore, in termini di persuasione e di borsa, fu Pietro Verri, che non solo convinse la famiglia dell’amico ad accordargli il permesso della partenza europea, ma vinse le resistenze del padre, contrario al viaggio «perché a Parigi in tutte le conversazioni si parla di religione, perché si porta il viatico a’ moribondi ma non lo ricevono, perché sua Maestà vive in adulterio».12

Agli inizi di settembre il viaggio era già deciso. Cesare Beccaria e Alessandro Verri partirono la mattina del 2 ottobre 1766, attraversando Novara, Vercelli, Torino valicarono il Moncenisio e giunsero a Lione il 12 ottobre, e a Parigi, ove già si trovava il Frisi, il 19 di quel mese.

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Venturi, Introduzione a Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., p. XXI.

7 La lettera, datata 9 luglio 1765, è interamente pubblicata in ivi, pp. 12-14. Le citazioni sono a p. 313.

8 Mémoires de l’Abbé Morellet de l’Académie française sur le dix-huitiéme siécle et sur la Révolution. Introduction et

notes de Jean-Pierre Guicciardi, Paris, Mercure de France, 1998, pp. 149-150. Morellet ricorda anche il successo francese dell’opera, testimoniato da «sept édition en six mois», e del valore che ebbe in Francia: «Cette traduction […] peut bien être regardée comme un travail utile, si l’on considère qu’elle a contribué a rèpandre les principes humains de l’auteur dans les pays où notre langue est plus connue que la langue italienne. L’abolition de la question préparatoire, et le projet d’adoucir les peines et les lois on été, avant la Révolution, les effets de l’impression forte et générale qu’a faite l’ouvrage de Beccaria».

9 La lettera del Morellet a Beccaria (3 gennaio 1766) si legge in Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., pp. 345-60, p.

438.

10 Ivi, p. 367 (lettera di Beccaria del 26 gennaio 1766). 11

Pietro era consigliere della Giunta per la riforma delle Ferme, con uno stipendio di 10 mila lire annue: cfr. D. Chiomenti-Vassalli, I fratelli Verri, Milano, Ceschina, 1960, p. 60.

12 Il documento, conservato in AV 503, è citato in Capra, I progressi della ragione, cit., p. 266. Ma cfr. anche la lettera

di Pietro ad Alessandro del 4 ottobre 1766, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 5: «In casa con me nessuno degli antenati parla di voi altri né della vostra partenza: frattanto che questi ascetici non consentono il viaggio peccaminoso, voi, da bravi, prosegui telo, e consolatevi che andate frapponendo uno spazio sempre più grande fra voi e le seccature».

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Era un’occasione irripetibile. Come per molti altri viaggiatori italiani della seconda metà del Settecento, il varcare le alpi significata sottrarsi ad una servitù intellettuale, raggiungere i paesi più progrediti per abbeverarsi alle fonti europee del progresso e della civiltà, consapevoli dello stato di arretratezza della loro terra.13 Ma il progetto oltrepassava la mera tensione tra progresso e arretratezza per connotarsi di un fondamentale scopo politico, ideato e diretto a distanza interamente da Pietro. Il tour di Beccaria e Alessandro Verri, rappresentanti di quell’école de Milan che aveva dato vita all’enciclopedico

Caffè, doveva essere, ma non lo fu completamente, una ricerca di alleanze con i gruppi riformatori

europei, per sanzionare così, definitivamente, la loro esperienza: è in questo senso che si «rovescia il classico tour d’istruzione. È l’Italia che va alla ricerca dell’Europa e che si misura con i

philosophes e la società civile inglese».14 Ciò nonostante, il viaggio per Alessandro conservò, soprattutto durante il soggiorno londinese, il carattere pregnante del Gran Tour settecentesco inteso come momento fondamentale di istruzione, perfezionamento e incivilimento:15 abbandono di una vita convenzionale «per svecchiarsi all’aria del nuovo tempo»,16

secondo un costume, però, più europeo che italiano, complice in Italia un ceto aristocratico «tendenzialmente stanziale e provinciale [che] non trasforma il Gran Tour “alla rovescia” in fenomeno di costume d’elìte». Come poi sarà per viaggiatori come Alfieri o il Castiglioni, quello del Verri fu, insomma, solo uno «degli illuminati casi individuali».17 Alessandro Verri era “educato” al viaggio, e al successivo modo di “raccontarlo” in forma scritta, dalle varie voci relative all’argomento contenute nell’Encyclopédie, tutte a firma del segretario di redazione, Louis De Jaucourt, che il Verri sperava di incontrare a Parigi.18 In quella relativa al

Voyageur, (Histoire particulaire des Pays), si faceva riferimento al problema della fedeltà delle

relazioni di viaggio, mettendo in guardia contro le possibili tentazioni letterarie che potevano portare a distorsioni delle verità stessa: il viaggiatore era «celui qui fait des voyages par divers motifs, et qui, quefois en donne des relations; mais c’est en cela que d’ordinaire les voyageurs usent

13 Cfr. E. Sgrilli, Viaggi e viaggiatori nella seconda metà del Settecento, in Miscellanea di studi critici pubblicati in

onore di Guido Mazzoni dai suoi discepoli, a cura di A. Della Torre e P. L. Rambaldi, t. II, Firenze, Galileana, 1907, pp.

277-308, p. 287.

14 Ricuperati, L’epistolario dei fratelli Verri, cit., p. 253.

15 Cfr. la lettera del 18 novembre 1766, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 96, ove Alessandro definisce i gioni del

viaggio «destinati con gran stento e spesa al piacere e all’istruzione».

16 L. Vincenti, Introduzione a Viaggiatori italiani del Settecento, a cura di Id., Torino, Utet, 1968, pp. 9-34, p. 10. 17

L. Clerici, Introduzione a Scrittori italiani di viaggio: 1700-1816, a cura di Id., 2 voll., Milano, Mondadori, 2008, vol. I, pp. IX-CXLVIII, p. XVI.

18 Lettera del 27 ottobre 1766, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 51: «Vi ricordate che nella Enciclopedia vi sono

moltissimi articoli del cavaliere di Jauncort? Ebbene, quest’uomo veramente esiste, è disprezzato, passa per un solenne seccatore e mi dicono che se lo avessero lasciato fare avrebbe voluto far tutto lui. È un compilatore spaventoso. Non lo conosco ancora».

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de peu de fidélité».19 Ma è soprattutto nella voce Voyage (Education) che il poligrafo francese delineava vantaggi, scopi e modalità esatte del voyage illuminista. Se i viaggi sono «une partie des plus importantes de l’éducations dans la jeunesse», poiché «étendent l’esprit, l’élevent, l’enrichissent de connoissances, et le guérissent des prèjugés nationaux», il principale scopo che ci si doveva proporre era chiaro:

est sans contredit d’examiner les moeurs, les costume, le génie des autres nations, leur goût dominant, leurs arts, leurs sciences, leurs manufactures et leur commerce Ces fortes d’observations faites avec intelligence, et exactement recueillies de père en fils, fournissent les plus grandes lumières sur le forte et le foible des peuples, les changements en bien ou en mal qui font arrivés dans le même pays au bout d’une géneration, par le commerce, par les lois, par la guerre, par la paix, par les eichesses, par la pauvreté, ou par de nouveaux gouverneurs.20

Uno scopo enciclopedico che si trasfonde con naturalezza nel Carteggio di Alessandro e Pietro relativo al viaggio, che ha da questo punto di vista «un altissimo valore documentario, ricco com’è di giudizi, di notizie sui fatti economici, politici, letterari, religiosi del secolo, considerato attraverso l’osservazione diretta di uomini e cose attraverso l’analisi e lo studio del pensiero e dei gusti contemporanei».21 La scrittura odeporica di Alessandro Verri,22 nasce dall’intento di «dir tutto»: abbandonata l’idea del «giornale»,23 è la corrispondenza con il fratello a racchiudere «le note» del viaggio («scrivo tutto a voi ed ho lasciato di fare annotazioni»),24 secondo una moda già imperante nel Cinquecento e che dilaga a partire dal secolo dei lumi, quando la lettera rappresenta il formato trionfante per molti tipi di produzione e comunicazione culturale. D’altronde, lo scambiarsi missive rappresenta «un modo di comunicare connaturato al viaggio, perché presuppone l’esistenza di una distanza spaziale tra gli interlocutori, virtualmente superata impugnando la penna».25 Proprio la dimensione epistolare dà alla «relazione»26 verriana una fisionomia affatto diversa

19 Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, cit., p. 477. 20

Ibidem.

21

Romagnoli, Dal Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, in Illuministi settentrionali, a cura di Id., Milano, Rizzoli, 1962, p. 903.

22 Con scrittura odeporica si intende la definizione che ne ha dato Clerici nell’Introduzione citata, p. IX: «Resoconti

prodotti da autori che raccontano un viaggio effettivamente compiuto in prima persona», documenti prodotti senza alcuna ambizione artistica, «inediti destinati a una circolazione privata» e per questo distinti dalla «letteratura di viaggio» (p. XXVI).

23 Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 46. 24 Ivi, p. 53.

25

Clerici, Introduzione, cit., p. LVIII. E cfr. Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 8: già da Novara Alessandro scriveva «Ti scriverò anche da Torino. Cerco d’annullare lo spazio che ci divide col scriverti più che posso. Aspettati un nembo di lettere».

26

Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 23. R. Esposito di Mambro, Tipologia del libro di viaggio moderno, «Critica letteraria», n. 3 2004, pp. 579-90, p. 589, sostiene che proprio il «termine relazione usato risulta quanto mai appropriato per definire le sue lettere che spesso assumono il tono e il carattere di vere e proprie relazioni documentarie».

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rispetto al giornale di viaggio comunemente inteso (secondo il modello goethiano, per intenderci): alla descrizione pedissequa, cronologicamente ordinata, dei monumenti e delle curiosità dei paesi visitati secondo un itinerario ben preciso, si sostituisce una ricostruzione apparentemente disorganica, totalmente in balia dei “voli” della memoria, in cui gli argomenti si costruiscono progressivamente, soprattutto laddove Alessandro ritorna sui medesimi personaggi e sulle loro caratteristiche e fisionomie a più riprese, mentre queste stesse descrizioni risentiranno degli sbalzi umorali dell’autore, che ne incrinano l’oggettività.27

Ciò nonostante le lettere, considerate nel loro complesso, proprio nelle due categorie d’osservazione che appaiono privilegiate (sia «le cose che gli uomini»),28 seguono il metodo odeporico fissato da alcuni maestri umanisti nella metà del sedicesimo secolo e ripreso nel Settecento europeo, che prevedeva la descrizione della topografica della metropoli visitata, del paesaggio e dei giardini, e persino del clima, unitariamente all’analisi degli usi e dei costumi degli abitanti.29 In relazione al primo aspetto, si veda, ad esempio, la descrizione del parco della villa di campagna di Marguerite Lecomte e del pittore Claude-Henri Watelet - autore di molti articoli relativi alle belle arti presenti nell’Encyclopedie – entrambi conosciuti e frequentati a Parigi, che pochi anni più tardi sarebbe diventato il classico modello del giardino all’inglese:

Egli [Watelet] è attualmente a Joly Moulin, bellissima casa di campagna di Madame le Comte. Con essa ei fu a Milano. Questo Joly Moulin è un capo d’opera di gusto. Figuratevi un piccolo, ma ben fabbricato e voluttuosamente distribuito e mobiliato casino, in mezzo di un’isola che fa la Senna. Tutta quest’isola è di Madama, e tutta è un giardino in cui vi sono venti giardini a colpo d’occhio, sempre nuovi e variati, sul gusto inglese. V’è un boschetto, poi una prospettiva di vari viali, poi vedute amenissime per ogni parte, poi ciò che non so descrivere, ma che forma la delizia di molti pittori che qui vengono a bella posta ad amirarne la natura di quest’incanto. Il corso della Senna, la coline che la circondano, i casini, i luoghi del contorno, tutti sembrano fabbricati per questo luogo.30

O ancora la descrizione del giardino «sublime» di Versailles:

Sono stato a Versailles. […] Il Palazzo Reale è vasto, è bello, è sorprendente. Il giardino è sublime nel suo genere. Oh soggiorno delle muse e delle grazie, che sarai questa primavera? Benché le piante sieno quasi decrepite e spelate, pur mi piacque sino al trasporto. Una cosa fra le altre mi ha incantato: quest’è una specie

27 Cfr. S. Léoni, Les intermittences du regard ou les moeurs parisiennes et anglaises vues par Alessandro Verri, in

L’Europe des politesses et le caractére des nations, a cura di A. Montadon, Paris, Anthropos, 1996, pp. 221-32, p. 222.

28 Lettera di Alessandro al padre (12 novembre 1766) in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 452. In realtà proprio

nell’epistola al padre il Verri sosteneva la volontà di «vedere più le cose che gli uomini di Londra: non basta un breve tempo a veder questi, e basta a veder quelle». Il proposito non sarà mantenuto, e gli usi, così come i caratteri degli abitanti europei, troveranno spazio notevole nelle lettere londinesi.

29

Discute brevemente questo aspetto, in relazione al metodo odeporico degli umanisti Theodor Zwinger e Herarius Pyrksmair E. J. Leed, La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1997², pp. 217-8.

79 di bosco tagliato a lamberinto nel quale di tempo in tempo, a vari intervalli, vi sono delle piazzette dove, in figure bellissime di piombo, si rappresentano le favole di Esopo e giochi d’acqua. Questa dev’essere d’estate una divinissima cosa.31

Il progressivo allargamento dello sguardo, che prevede la rivalutazione del tessuto connettivo fra soggetti privilegiati e sfondo - caratteristica moderna di molte scritture di viaggio tra Settecento e Ottocento -32 si attesta, oltre che nei riferimenti climatici e nelle precise e insistite considerazioni topografiche,33 anche nella chiara percezione e intuizione della «fisionomia moderna della grande città», come nota Guagnini,34 e di cui l’illuminazione rappresenta una delle caratteristiche pregnanti, pur inserita nel consueto topos del paragone con la propria terra d’origine:

Pur niente più mi piace quanto il vestirmi, dopo il teatro, colla mia pelliccia, e colla canna in mano e stivali in gamba fare una passeggiata nella strada più vicina di Sant’Onorato, la quale è più bella a vedersi, la sera, perché non solo è illuminata colle lanterne come le altre, ma, essendo l’emporio dei Bijoutiers, le botteghe hanno le impennate di bei vetri grandi e nettissimi e sono illuminate all’indentro con grandi e risplendentissime lampade. Ciò fa un mirabil effetto. Quel chiarore in una bottega di bijours d’oro e d’argento si riverbera e fa la strada chiara ed amena al sommo. Figuratevi, per esempio, che la nostra contrada degli Orefici fosse alla sera tutta illuminata, e che le botteghe avessero l’invetriata di gran vetri di Germania de’ più belli e nettissimi, e che in esse botteghe risplendessero dei chiarissimi lumi, ed avrete un’idea di Sant’Onorato.35

Un ulteriore indice di modernità della scrittura odeporica verriana è l’attenzione sempre più marcata verso gli esseri umani «come individui e come collettività, in corrispondenza all’affermazione di un approccio antropologico ed etnologico»36

che considera gli usi e i costumi dei residenti fra le principali categorie da inventariare.37 Da qui, le descrizioni della soggettività sensibile e concreta, come nei casi in cui descrive la fisicità degli inglesi o gli approcci con le

31 Ivi, p. 82. 32

Clerici, Introduzione, cit., p. LXXIX.

33

Emblematica la lettera da Londra del 15 dicembre 1766, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., pp. 144-45; ma anche quella del 1 gennaio 1767, in ivi, p. 205-207, ove Alessandro descrive i marciapiedi e le strade londinesi, oltre che i sotterranei della città vecchia.

34

E. Guagnini, Viaggi e romanzi. Note settecentesche, Modena, Mucchi, 1994, p. 42.

35 Lettera da Parigi del 18 novembre 1766, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., pp. 105-106. Ma cfr. anche la descrizione

dell’illuminazione londinese, in ivi, p. 139:«Essa è poi illuminata come non ve n’è altra in Europa. Vi sono lampade d’ambe le parti, e lampade ben fatte, come lo sono tutte le cose che servono agli usi della vita qui in Londra. Parigi è male illuminato, perché lo è colle candele de sego. A proposito d’illuminazione: quando codesti buoni Milanesi vorranno poi, colla solita loro flemmatica prudenza, pensare a porre delle lampade di notte per tutta la Città, come sarebbe veramente opportuno, potrò citare per esempio Torino, Lione, Parigi, Lilla, Dunkerke e Londra, ch’io stesso ho vedute co’ miei occhi illuminate di notte».

36

Clerici, Introduzione, cit., p. LXXX.

37

Verri descrive persino l’usanza inglese del the o del Patin (in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 183 e p. 213), o di un tipico pranzo inglese (ivi, p. 289), mentre discute inoltre della proverbiale inospitalità londinese (ivi, p. 176).

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prostitute,38 e un interesse per la dimensione sociologica e per i ceti subalterni:39 proprio da questo punto di vista, le lettere verriane costituiscono anche un documento di tutta una dinamica della trasformazione della società, rappresentazione, come ha scritto Fubini, di una società nobiliare colta