IL GRANDE VIAGGIO E IL PRIMO SOGGIORNO ROMANO (1766 1768)
3. Il soggiorno a Londra
«Primo incentivo dell’anglomania, e cagion massima del suo diffondersi per l’Europa, non fu la letteratura degl’inglesi, non la scienza e la filosofia; furono le istituzioni, e le prosperità e la potenza che di quelle istituzioni parvero frutto: per quanto poi la letteratura e scienza e filosofia possano aver conferito a estenderla e rafforzarla. L’ammirazione per l’Inghilterra comincerà con l’ammirazione per la sua costituzione politica».189
Le annotazioni dell’ormai classico volume di Graf trovano un riscontro diretto in molti viaggiatori italiani della seconda metà del Settecento. Se Francesco Algarotti metteva addirittura in versi il sistema legislativo inglese («Oh! Danne Apollo / Con leggi inglesi attico cielo, e faccia / La bella età dell’oro a noi ritorno»),190 tale motivo verrà messo a tema in varie lettere verriane, costituendo uno dei motivi primari dell’anglomania di Alessandro. Giunto nella capitale britannica la notte del 9 dicembre 1766, Verri ne fu entusiasta al primo sguardo: «Quanto io già non vi dovrei parlare di Londra!», scriveva lo stesso giorno, «Figuratevi che Parigi mi è infinitamente decaduto nella immaginazione».191 Più propenso – a seguito dell’esperienza francese - a «vedere più le cose che gli uomini»,192
egli osservò in realtà sia le une sia gli altri, ammiratore indefesso di tutti gli aspetti di quella nazione: «La libertà, la marina, il commercio e la potenza di Londra mi pare che vagliano le cene e i teatri di Parigi», scriveva al padre appena due mesi dopo.193 In particolare, la discussione e l’elogio del sistema delle leggi britanniche – delle quali gli inglesi hanno una «riverenza universale e profonda» - appaiono interessanti perché idealmente collegati alle pagine legislative del Caffè e al loro impegno riformistico. Si veda un passo forse tra i più espliciti in tale senso, correlato da un episodio che Verri registra con ammirazione:
Queste leggi se le sono date da loro stessi e le riguardano come il fondamento e la tutela della loro libertà. È così costante questo timor delle leggi che varie volte che insorsero delle sedizioni non poterono
188
E. Lecaldano, Sensazione e natura umana, in Illuminismo. Un vademecum, cit., pp. 266-77, p. 275.
189 A. Graf, Anglomania e influsso inglese in Italia nel secolo XVIII , Torino, Loescher, 1911, p. 140. 190 Algarotti, Poesie del Conte F. Algarotti, in Nizza, s.e., 1783, pp. 58-9.
191
Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 138.
192
Lettera al padre (12 novembre 1766), in ivi, p. 452.
105 essere sedate dal militare, ma bensì dalla lettura della legge contro questo delitto. Egli è stabilito per atto del Parlamento che, in caso di popolar tumulto, prima che il militare possa esercitare la forza, il Giudice di Pace debba leggere tre volte ad alta voce la legge contro le ribellioni. Ultimamente vi fu un grandissimo tumulto de’ lavoratori di seta, i quali volevano che si proibisse la importazione delle stoffe forastiere, pregiudicanti assalissimo al loro commercio. Furono fatti degl’insulti alle case di vari Magistrati e fra le altre a quella del Duca di Betford. Questa truppa di disperati che desolava la Città non puoté essere ridotta alla ragione dalle minacce e dalla presenza del militare, ma bensì dalla lettura della legge che, secondo il solito, fu fatta. Appena il Giudice l’ebbe letta avanti della moltitudine tumultuante che si disciolse, si disperse ed ognuno andò pe’ fatti suoi. Tale è la riverenza delle leggi in Inghilterra, perché, come ho detto, queste leggi sono fatte dagl’Inglesi e per gl’Inglesi, e non da’ Greci o da’ Romani come le nostre. Esse altro non sono che gli atti della Camera de’ Comuni, che è quanto dire dell’aggregato de’ deputati delle rispettive comunità. Perciò il diritto romano non è ivi in vigore: soltanto è soggetto di erudizione e può citarsi come una rispettabile autorità.194
La forte persuasione della giustizia da parte del popolo è individuata nel fatto che il paese è dotato di leggi autoctone non prese in prestito da altre nazioni («Gl’inglesi credono ciò che m’è sempre parso semplicissimo ed è che, come ogni uomo ha i suoi vestiti, così ogni Nazione aver debba le sue proprie leggi»),195 e quindi attuali e adatte al proprio sistema socio-economico. Ma soprattutto ha importanza il fatto che la legge è unica per tutti i cittadini, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza: «Non si conosce in quel paese il Status in Statu. Le leggi non hanno accettazion di persona. Gli Ecclesiastici e’l militare non hanno altre leggi ed altro foro di quello de’ Portantini e de’ Facchini. Perciò non si vede impertinenza militare o gravità ecclesiastica».196
Attraverso un sistema che si presenta chiaro e preciso, egualitario e intellegibile da tutti,197 la deduzione consequenziale cui giunge il Verri è quella di una libertà che si esplica, in primis, in quella tolleranza d’opinione tanto predicata, ma poco praticata, in fondo, a Parigi:
Qui è verissimo che nessuno parla mai di religione. A Parigi questo succede sino alla noia. In Londra il Quachero, l’Anabatista, l’Anglicano, il Metodista, il Cattolico, il Greco Scismatico, il Protestante va a due ore dopo il mezzo giorno alla borsa col suo frac, seriamente, fa i suoi negozi e ritorna pacificamente a casa, va alla chiesa, ecc., non si chiama mai di che setta sia un tale.198
194 Ivi, pp. 484-85. 195 Ivi, p. 485.
196 Ivi, p. 338 (lettera a Pietro da Parigi del I marzo 1767).
197 Cfr. ivi, pp. 485-86: «Reca meraviglia ad un forastiere il vedere Mercanti ed ogni altra incolta persona decidere della
vita e delle fortune di un cittadino: ma ciò non è punto strano per chi consideri quanto generalmente gl’Inglesi sieno instrutti delle loro leggi e del loro governo, in maniera che, a forza di leggere i molti e ben scritti fogli pubblici e di parlare e discutere i grandi affari della Repubblica, divengono, ancor giovani, tai giurisconsulti e politici quai forse metodici e profondi studi non fanno altrove. Ciò è comune in Inghilterra, perché gli affari della Repubblica sono quelli di ciascuno».
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E continuava:
La tolleranza delle opinioni, che nella filosofia fa tanto rumore, qui è una verità che sanno tutt’i facchini, ed è massima di governo. Ogni Inglese sa questa altrove sublime ma qui trivialissima verità: che, per esser libero, il cittadino bisogna che sia suddito non dell’uomo, ma della legge; perciò ogni Inglese dice
il mio Sovrano è la legge; e, per conoscere se una azione è lecita, chiama v’è egli una legge che la proibisca?
Se non v’è legge conchiude che la può fare, ed è così secondo il sistema.199
Se di parere analogo si mostrava anche Saverio Bettinelli nelle Lettere inglesi («Londra è pur l’emporio del pensar libero, e contiene un milione di cervelli indipendenti, e sovrani ciascun nel distretto del suo cranio»),200 esemplificando una posizione comune a molti viaggiatori italiani e stranieri in realtà assai semplicistica,201 colpisce in Alessandro il consequenziale elogio del popolo inglese, descritto come «illuminato», «libero», «umano», tanto che «rarissimi sono, in un milione d’uomini che stanno in questa infinita città, gli assassini e gli omicidi»,202
elogio che, però, si arrestava nel dubbio e nella considerazione “dell’eccesso”, nell’inquietudine tutta verriana circa una possibile caduta nell’anarchia, laddove la libertà tanto apprezzata possa pericolosamente, per moto irrazionale, trasformarsi improvvisamente in «licenza», intaccando il potere monarchico e il tanto ammirato equilibrio dei poteri:
Le infinite satire pubblicate contro Sua Maestà, in rami i più matti, ridicoli ed osceni del mondo, sono raccolte in un libro e si vendono pubblicamente. L’inglese volgare non definisce la libertà in altro modo che la facoltà di dire e scrivere, cominciando contro Dio sino al Facchino, tutto quello che gli piace. Ma, se pure io posso pronunciare sul destino di questa gran nazione senza conoscere a fondo il suo sistema, io dico che questa è licenza piuttosto che libertà, e che mi pare di vedere i sintomi della decadenza in questa insolente indipendenza, perché tale è stato ancora il fato di Roma. Il popolo fu schiavo poco dopo che faceva
199 Ivi, p. 169. Corsivi nel testo.
200 Citato in Rossi, La cultura inglese a Milano e in Lombardia, cit., p. 68. 201
Cfr. Jonard, Alessandro Verri en Angleterre, «Les Langues Neo-Latines», fasc. 1, Avril 1962, pp. 57-69, p. 62: «Cet effet magique et exceptionnel de la loi qui a fortement impressionné Alessandro n’a pas peu contribué à l’abuser sur la verité. Comme la plupart des voyagers occasionnels, il est porté à juger sur les apparences et celles-ci, en l’occorrence, ètaient on ne peut plus trompeuses». Cfr. per il problema in generale, J. Brewer, I piaceri dell’immaginazione. La
cultura inglese nel Settecento, Roma, Carocci, 1999, pp. 29-30: «I visitatori stranieri […] furono inclini a sottovalutare
la profondità delle divisioni che continuavano a condizionare ogni aspetto della vita, dalla politica commerciale del governo alla musica sacra, al mecenatismo nei confronti dei pittori. In parte a causa delle loro esperienze politiche assai diverse, non compresero le feroci lotte tra whigs e tories […]. L’impegno degli whigs per la tolleranza religiosa (almeno per i protestanti) e per una monarchia costituzionale, che molti philosophes fecero proprio, fu sempre contrastato dalla posizione tory a favore di una forte alleanza tra una chiesa nazionale protestante e una monarchia ereditaria. Le differenze religiose seguirono le divisioni politiche: le sette protestanti (i cosiddetti dissenzienti o non conformisti, composti di presbiteriani, indipendenti, battisti e quaccheri), che rifiutavano la chiesa nazionale d’Inghilterra, sostennero perlopiù gli whigs, mentre gli anglicani furono di solito tory. I cattolici, esclusi dalle cariche pubbliche, rimasero una piccola minoranza […]. La nazione inglese era quindi molto più divisa di quanto spesso sembrasse a osservatori esterni, e benché whings e tories condividessero la visione di una florida società mercantile, le loro concezioni in materia politica e religiosa differivano radicalmente».
202
L’elogio del popolo è consegnato alla lettera del 2 febbraio 1767, in Viaggio a Parigi e Londra, cit., pp. 293-94. Le citazioni sono a p. 293.
107 strascinare in prigione pel collo i Consoli. Quand’era veramente libero, non fu licenzioso. La continua inquietudine che v’è nel ministero, il continuo creare e deporre Magistrati prova che il popolo è sovrano: ma questo sovrano, a forza di [non] temere i Magistrati e di volere esercitare questa sua libertà, spegnerà alla fine la semente de’ buoni cittadini, e nessun uomo grande e fatto per ben servire vorrà esporsi all’oceano de’ popolani capricci, che sempre in tutte le repubbliche democratiche sacrificano qualche gran vittima. Allora tutto è perduto. La venalità e l’imitazione de’ vizi popolani cominciano a procurare i voti. Qualche scaltro cittadino si oppone alla corte in tutte le cose solo per secondare il popolo, entra nelle sue passioni ed a poco a poco si sostituisce una vera tirannia ad una temuta. Che libertà è questa di ingiuriare il loro Re? Perché tenerlo sul trono se meriti tanti insulti? Se non gli merita, perché farglieli?203
Il paragone con Roma antica, assunta sempre come archetipo negativo, è spia di come sin dalla
Storia d’Italia Alessandro intendesse la libertà, specie del popolo: sempre tenuta a bada da una
figura sovrana, se non dispotica, tuttavia presente per assicurare un equilibrio politico che appare, comunque, sempre in pericolo, ossia, storicamente, sempre aperto alla possibilità di cadere in balia dei «popolani capricci», nei dannosi effetti degenerativi della forma repubblicana. Alessandro si avvicinava in questo alle posizioni politiche meno progressiste degli Essai humiani, ove il filosofo scozzese si dimostra favorevole all’equilibrio consentito dalla costituzione mista inglese, sostenendo implicitamente come il pericolo più grave non derivi, in realtà, dalla monarchia, ma dal governo popolare204.
Terra senza passioni, perché terra di libertà, Londra è diversissima dalla capitale francese: se a Parigi gli animi sono «in rivoluzione» e v’è «un grandissimo calore di animo perché la Filosofia e le sue verità sono perseguitate», nell’Inghilterra di Giorgio III la tranquilla libertà deriva dal fatto che «molte verità qui sono già gittate dietro le spalle»:205 «Ma in Londra chi può scaldarsi il sangue? Volete creder nulla? Siete padrone. Volete creder poco? Siete padrone. Volete credere nella tal maniera? Siete padrone. Volete fare una Setta? Siete padrone. Volete dire che il Re è un c…? Siete padronissimo. […] In somma qui la libertà, non soffrendo l’incitamento degli ostacoli, è tranquillissima».206Alessandro Verri sembrava dunque pago di aver trovato un paese in cui il caldo spirito di disputa si placava finalmente nella pace della verità conquistata, al di là della battaglia organizzata della philosophie, così come lontana dalla difficile e solitaria battaglia milanese contro i
203 Ivi, p. 218 (lettera dell’8 gennaio 1767).
204 Cfr. il saggio humiano Se il governo britannico inclini di più verso la monarchia oppure verso la repubblica in D.
Hume, Saggi e Trattati morali, letterari, politici e economici, a cura di M. Dal Pra, E. Ronchetti, Torino, Utet, 1974, pp. 227-33. Come si vedrà nel capitolo successivo, Alessandro lesse e commentò con Pietro questo brano.
205
Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 168.
206 Ivi, pp. 168-69. Era, quest’ultima, una caratteristica messa in luce da tutti i viaggiatori stranieri presenti in
Inghilterra. Il filosofo tedesco Karl Moritz riferiva sorpreso che «patrizi e plebei, ricchi e poveri, tutti concorrono nel dichiarare i loro sentimenti e le loro convinzioni, e che un carrettiere, un marinaio comune, o un netturbino, sono ancora uomini, anzi inglesi; e in quanto tali hanno diritti e privilegi definiti e riconosciuti in modo tanto esatto quanto quelli del re o del ministro del re». Citato in Brewer, I piaceri dell’immaginazione, cit., p. 26.
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corpi conservatori. È qui che va allora collocata quella «persuasione» che Cerruti ha definito come centrale nella vicenda intellettuale verriana, e che spiega anche la conseguente istallazione permanente a Roma, cioè la convinzione che «nella modernità, la cultura inglese sia, nell’insieme, più attendibile di quella francese, sia più cautamente sottile, più problematica, soprattutto più vicina alle esigenze di un uomo di lettere, come lui e quanti altri in Italia, riluttanti a uno strappo brusco
dal passato, siano inquietamente alla ricerca di un equilibrio fra tradizione e novità».207 Il moderato equilibrio culturale di cui parla il critico, già visto nel regime politico, si evince a livello
di cultura letteraria. A Londra circolavano infatti i pilastri del teatro moderno, soprattutto le opere shakespeariane nelle edizioni del Pope (nella ristampa del 1725) e del Johnson (1965), accanto al Goldoni, ma assai in voga erano i libri italiani tre-cinquecenteschi, che venivano stampati da italiani e da nativi solitamente in edizioni di lusso: il Decameron ebbe, ad esempio, straordinaria fortuna, grazie alle edizioni del Rolli (1725) e del Martinelli (1762), insieme ai cinquecentisti, soprattutto Machiavelli, Tasso e Ariosto (nel 1757 uscì la fortunata traduzione del Furioso del Temple).208 Accanto alla chiara predilezione per la letteratura italiana del Trecento e del Cinquecento, tra i contemporanei, oltre alle opere di Metastasio e al Goldoni, godevano di ampia fortuna le Rime del Rolli (Londra, 1717), che in Inghilterra soggiornò per trent’anni, e che Alessandro poté leggere in una delle successive ristampe.209 Libero dalle beghe mondane, e più vicino a uno stile di vita che – in fondo – era stato suo proprio negli anni di studio a Milano («scrivo, leggo tranquillamente. Una occhiata sola che dia fuori dalla finestra mi consola. […] Questo tenore di vita mi accomoda assai»),210
Alessandro si trovava ospite presso i fratelli Molini, editori di origine fiorentina con filiali a Parigi e Londra,211 e quindi a contatto con una cultura libraria che agli autori contemporanei (pubblicarono nel 1766 Dei delitti e
delle pene) affiancava la diffusione dei classici italiani del Trecento e del Quattrocento,212 ma anche di volumi greci e latini. È Alessandro stesso a dare notizia, in una lettera a Pietro del 2 febbraio
207
Cerruti, ad vocem Verri, Alessandro, in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, Torino, Utet, 1986, pp. 891-92, p. 891
208 Cfr. le considerazioni di Graf, Anglomania e influsso inglese, cit., p. 94 e ss.
209 Nella lettera del 27 gennaio 1767 in Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 275, il Verri cita l’incipit dell’Inno a Venere
(«Oh bella Venere figlia del giorno!»), contenuto nell’edizione londinese delle Rime del Rolli.
210 Ivi, p. 175.
211 Cfr. ivi, p. 148. Informa Gaspari (ivi, p. 581) che l’invito «sarà stato accolto probabilmente a Parigi, dove Gian
Claudio, librario in “rue du Jardinet”, aveva interpellato Beccaria su una nuova edizione dei Delitti». I tre fratelli Molini residenti all’estero, ove avevano avviato un’attività libraria in comunicazione con l’Italia (ove risiedeva l’altro fratello Giuseppe, fondatore della libreria di famiglia in Firenze) erano, oltre il “parigino” Gian Claudio, Pietro Ranieri e Iacomo Giovanni; furono appunto questi ultimi gli editori londinesi che ospitarono il Verri nei suoi sessantaquattro giorni di permanenza a Londra.
212
Cfr. L. Greco, Un libraire italien à Paris à la veille del la Révolution, «Mefrim», n. 2, 1990, pp. 261-280. Tra gli autori moderni i fratelli Molini pubblicheranno, oltre a Pietro Verri, le Opere filosofiche nel 1783, e alle Tragedie di Alfieri nel 1789, anche il primo romanzo verriano Le avventure di Saffo poetessa di Militene (1782) nel 1790.
109
1767, delle edizioni «ricercatissime» nel mercato antiquario inglese, che chiede al fratello di recuperare in Italia per iniziare un commercio anglosassone con i librai londinesi:
Se puoi trovare edizioni di libri latini, greci, italiani del 1400 e principalmente quelle del principio della invenzione della stampa fino al 1480; edizioni ancora degli Aldi, del Valgrisi di Venezia, de’ Giunti di Firenze, de’ Maximis di Roma, degli Stampatori di Magonza, degli Elzevir di Olanda, dei Stefani di Parigi: tutte queste edizioni, se i libri non abbiano macchie o tarlo o margine [in]sufficiente, si possono spacciare con gran profitto qui in Londra, ove sono ricercatissime. Sono già d’accordo col mio ospite Molini, che ha bottega di libri, su quest’articolo. Adunque previeni Lambertenghi, se mai avesse da vendere, che mi riservi questa sorta di libri, e così, capitandotene, comprali senz’altro, purché sieno ben condizionati, che sono argento rotto per Londra. […] Particolarmente però tre libri si desiderano, e sono: il Boccaccio del 1527;
Macchine del Ramelli; Palladio del Carampello. Potresti forse far qualche diligenza anche presso Aubert.213
In particolare l’ultimo volume richiesto (I quattro libri dell’Architettura del Palladio, pubblicati a Venezia per Carampello nel 1581), è l’espressione di quello che sin dalla metà del secolo divenne lo stile nazionale in architettura: il palladianesimo britannico, «con la sua enfasi posta sulla misura, sul buon gusto, sull’equilibrio e sul rigoroso rispetto delle proporzioni classiche»,214
con la sua avversione contro gli eccessi, costituiva la trasposizione artistica di quegli ideali morali e sociali di “ragione” e “buon senso” che da Locke a Shaftesbury erano diventati principi essenziali dell’intera cultura britannica, e al tempo stesso espressione del potere politico ed economico, principi e valori che il Verri percepiva persino nel mobilio anglosassone: «Il buon senso è impresso su tutt’i mobili inglesi».215 Nell’Europa del Settecento Londra «spiccava come la metropoli del momento, città opulenta, conscia del suo status in ascesa e bramosa di coprire la sua nuda ricchezza con le vesti eleganti e rispettabili del buon gusto».216
Alessandro si trovava dunque a contatto con una cultura a lui particolarmente congeniale, capace di mediare tra antico e moderno, tanto lontana dall’eccesso di entusiasmo, quanto invece vicina al moderatismo pratico e chiaro di Hume e al minimalismo di Shaftesbury, secondo il quale «to philosophize is but to carry good breeding a step further».217 È nel tranquillo e liberale clima inglese, ove le leggi governano e dove quindi il libro del Beccaria non ha ragione apparente di
213 Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 299.
214 A. Sanders, Storia della letteratura inglese dalle origini al secolo XVIII, a cura di A. Anzi, vol. I, Milano,
Mondadori Università, 2001, p. 332.
215
Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 140: Alessandro consigliava a Pietro di «mobiliare l’appartamento […] all’inglese» perché i mobili sono «prodigiosamente semplici, comodi e modesti»; lo stesso le carrozze (cfr. ivi, p. 206): «La forma delle carrozze è molto semplice, come tutte le cose inglesi».
216
J. Brewer, I piaceri dell’immaginazione, cit., p. 25.
217
«filosofare è solamente andare un gradino sopra la buona educazione»: citato in Sanders, Storia della letteratura
110
successo,218 che lo scopo politico del viaggio si attenua fin quasi a scomparire, lasciando il posto non solo, come si è detto, a una descrizione che indugia sui particolari tipici del più tradizionale
Gran Tour d’istruzione, ma a una sempre più insistita pratica del negotio, del commercio, che
iniziata in territorio inglese caratterizzerà il successivo soggiorno romano del Verri: «Questo paese risuona commercio da per tutto», scriveva a Pietro,219 perché «basta fare un passeggio in Londra per aver voglia da spendere un milliaia di Luigi: tante sono le bellissime e ricchissime botteghe dappertutto risplendenti e fornite di infinite bigioterie e mercanzie d’ogni genere».220