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Il primo soggiorno romano e l’abbandono progressivo del Saggio sulla Storia d’Italia Colmo di buoni propositi («non mi ridurrò per altro in Roma ai soli architravi ed alle ragazze»

IL GRANDE VIAGGIO E IL PRIMO SOGGIORNO ROMANO (1766 1768)

4. Il viaggio in Italia e l’arrivo a Roma

4.1 Il primo soggiorno romano e l’abbandono progressivo del Saggio sulla Storia d’Italia Colmo di buoni propositi («non mi ridurrò per altro in Roma ai soli architravi ed alle ragazze»

perché qualche «buona conoscenza e qualche altra ancora bisogna pur farla, per viaggiare con profitto e lasciare delle onorevoli ed utili corrispondenze»),284 non appena giunto a Roma Alessandro trovò ospitalità, insieme al Longo, presso il curiale Cherubini, nella zona del Pantheon,

279 Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 431. 280

Sulle «Novelle letterarie» si veda Capra, Castronovo, Ricuperati, La stampa italiana, cit., pp. 191 e ss. Per l’ideologia conservatrice del Lami cfr. invece M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di Giuseppe Lami nelle

«Novelle letterarie», «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», n. XXV, 1956, 260-333. Pietro stesso alla

morte del Lami nel 1770 scriverà al fratello a Roma: «Il dottor Lami è morto; un cane di meno abbaierà contro il merito. Credimi che que’ tuoi toscani non valgono uno zero»: in Carteggio, vol. III, p. 182.

281

Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 433.

282 Ivi, p. 434 (lettera di Pietro del 23 maggio 1767).

283 Lo riferisce irritato lo stesso Pietro, riportando le parole di Lloyd, appena partito dalla Toscana: «Lloyd, che è

ritornato e ti saluta, pensa così; e dice che si è annoiato assai nella Toscana, e che Boccaccio e Petrarca sono i libri più comunemente citati». In Carteggio Verri, vol. II, p. 98 (lettera del 24 dicembre 1768).

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vicino alla chiesa della Maddalena.285 La prima impressione non fu positiva: «Entrando dalla Toscana in questo regno desolato del pretismo se ne sente sdegno e compassione. Dal giardino dell’Etruria», scriveva al fratello, «si viene nel deserto e nello squallore della Romagna, i tronchi, l’erbe cattive, la solitudine, le strade orribili tutte annunziano un infelice governo».286

Dopo appena due giorni di soggiorno, e ancora non inserito nella società ecclesiastica romana,287 il Verri aveva già visto «il Vaticano, il Campidoglio, Villa Albani e Pinciana», mentre Roma diveniva ora «questa bellissima patria de’ Scipioni» e veniva in fretta posticipata la partenza per Napoli.288

Grazie al Longo («che ha la bontà di farmi da Cicerone di eminenze, di statue e di principesse»), il Verri conobbe vari cardinali presenti a Roma, tra cui Alessandro Albani, nunzio straordinario a Vienna e ministro cesareo nella città pontificia, oltre che celebre mecenate di letterati e artisti, frequentandone assiduamente la celebre villa durante il primo mese di soggiorno.289 Alessandro non giungeva a Roma da ignoto: essendo per parte di madre imparentato con la famiglia Cenci, fu infatti ricevuto nelle dimore di molte famiglie nobili romane, come gli Odescalchi e gli Altieri,290 mentre largo consenso ebbe, in particolare, presso monsignor Carlo de Very (citato nel

Carteggio come «Verri»), uditore di Francia alla Sacra Rota («che mi ha usate molte

gentilezze»),291 del quale fu sovente ospite. Il 13 giugno scriveva al fratello:

Io qui sto bene. Monsignor Verri mi usa molte politezze; vado da lui qualche volta a pranzo, ove trovo un po’ d’aria parigina, che mi consola, mangiandosi egregiamente, cosa rara in Roma. Egli è uomo ottimo e delicato. Al mercoledì sera dà sempre una buona accademia di musica, talvolta dopo si balla. Questa vita allegra non piace alla gravità romana, massimamente nella sacra persona di un auditore di Rota.292

285 Cfr. la lettera di Pietro del 30 marzo 1767 in ivi, p. 373: «Lungo ti ha già disposto un letto ed una stanza nel suo

quartiere dal curiale Cherubini, vicino alla Maddalena, passati gli Orfanelli e Piazza Colonna: vivrete dunque insieme anche a Roma».

286 Carteggio Verri, vol. I, p. 370 (lettera del 20 maggio 1767).

287 Ivi, p. 374: il 22 maggio scriveva: «Io sono tuttavia nell’anticamera di Roma, non avendo ancor veduta nessuna di

queste tanto principesche creature. Ma fra poco spiegherò i miei diplomi ed entrerò in questo nuovo mare, colla tranquillità di nocchiere non novizio. Vedremo che razza d’uomini sieno questi signori rossi».

288 Ibidem.

289 Ivi, p. 377 (lettera del 29 maggio 1767). Il 24 giugno lo nominerò nuovamente a Pietro: «Il cardinal Albani è alla sua

villa; vado sovente da lui come nostro ministro» (ivi, p. 404). Dopo quasi tre mesi di soggiorno, quando ormai era nato l’amore per la marchesa Boccapaduli (nominata, per la prima volta, nella lettera al fratello dell’11 luglio: ivi, p. 422), Alessandro dichiarerà a Pietro: «Di Roma non ti posso molto scrivere perché io non sono a Roma, ma in una casa, ch’è in Roma. Ho rinunciato a tutte le noiose conoscenze e tutta l’anima mi è radunata in un sol punto. Qualche visita a Albani e a qualche altro prete rosso per imporre agli insipienti e niente più». (in Carteggio Verri, vol. I/II, pp. 34-5).

290

Pone in luce questo aspetto Chiomenti Vassalli, I fratelli Verri, cit., p. 70. Barbara Dati della Somaglia, madre dei Verri, era infatti figlia di Fulvia Visconti, nata dal matrimonio fra Pirro Visconti e la romana Porzia Cenci. Alessandro non appena giunse a Roma, rese omaggio alla principessa Silvia Altieri Borghese (cfr. Carteggio Verri, vol. I, p. 380, lettera del 2 giugno 1767) e a Vittoria Erba Odescalchi, nata Corsini, duchessa di Bracciano (cfr. ivi, p. 377).

291

Carteggio Verri, vol. I, p. 380.

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Frequentatore di una «delle buone case di Roma pe’ forestieri»,293

come forestiero egli stesso il Verri ne acquistò in breve le abitudini, specie le lunghe visite alle rovine e alle antichità romane: «Le belle arti fioriscono in Roma anche più che non credevo», aveva detto, incredulo, una volta giunto in città, il 29 maggio;294 «Io seguito a vedere molto i quadri e le statue di Roma e poco gli abitanti», scriveva il 17 giugno, «vi son pure le gran cose in pittura e scoltura! Se avessi a fermarmi qui prenderei bene o male il pennello in mano. Chi può resistere? È lo stesso ch’esser casto in un bordello».295 Dieci giorni dopo, tra le rovine di Tivoli, «delizia di vero Paradiso», ne ammirava l’unicità rispetto agli «environs» francesi:

Ieri sono stato a Tivoli, ov’è una magnifica villa del signor duca di Modena, ma veramente sorprendente per la copia delle acque e la sua situazione. I francesi annoiano moltissimo i forestieri sugli environs di Parigi come se fossero i più deliziosi del mondo, ma simili a questi di Roma io non ne ho veduti. Tivoli è una delizia di vero Paradiso. È pieno di rovine delle ville de’ romani, fra le quali quelle d’Adriano e di Mecenate sono considerabilissime. Ivi son pure le celebri Cascatelle, cioè tre copiosissime e meravigliose cascate, una in Tivoli, due un miglio fuori, del fiume Aniene, detto ancor Teverone. Nell’ultime due si perde sotterra e risorge poco dopo. Ma esse tutte sono dell’ultima bellezza. Vicino a Chambery nella Savoia v’è una fontana stimatissima consistente in un getto cadente d’acqua, la quale si sfuma per la sua altezza; è celebre questa fontana, pure una cascata di Tivoli ne vale dieci. Ma lasciamo discorrere di queste cose a Roma antica e

moderna, al Mercurio errante, ecc. e noi discorriamo delle cose nostre.296

Alessandro faceva riferimento a due tra le più importanti riviste descrittive che circolavano con successo nel territorio romano a partire dalla seconda metà del Seicento per i viaggiatori italiani e stranieri che accorrevano numerosi a visitare le rovine dell’antica bellezza, e fornivano descrizioni dettagliate dei «monumenti della venerabile antichità» della città pontificia, descritta anche «nell’odierno suo stato».297

Il Verri poteva leggere probabilmente «Roma antica e moderna» nell’edizione aggiornata del 1765, che nel volume secondo presentava ai forestieri le ville e i giardini romani situati nelle campagne limitrofe, tra cui la villa estense descritta nella lettera

293

Lettera del 24 giugno 1767, in ivi, p. 402: Alessandro ribadiva: «Sono frequentemente da monsignor Verri, del quale sono contentissimo».

294 Ivi, p. 381. 295 Ivi, p. 399. 296 Ivi, p. 407. 297

Così si legge nella prefazione dello stampatore «Niccola Roisecco al benigno leggitore» a Roma antica e moderna o

sia Nuova Descrizione di tutti gl’edifizj antichi, e moderni sagri, e profani della città di Roma: co’ nomi degl’Autori di tutte le Opere di Architettura, Scultura, e Pittura. Colla notizia degl’Acquedotti, Strade, Costumi, Riti, Magistrati, e famiglie antiche romane, Roma, vol. I, 1765, p. V. Il Roisecco presentava la nuova edizione della rivista (3 voll. datati

1765), aggiornata rispetto ai sei volumi precedenti curati da Gregorio Roisecco e pubblicati i primi tre nel 1745, i successivi nel 1750.

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citata;298 la stessa era d’altronde presente per la bellezza delle sue cascate anche sul «Mercurio errante delle grandezze di Roma, tanto antiche, che moderne» di Pietro Rossini del 1740, esemplare che poteva essere facilmente reperibile in città.299 Sempre più a contatto con le arti e l’antico splendore e, all’opposto, sempre più lontano dallo spirito riformistico e battagliero dell’Accademia dei Pugni, Alessandro si trovava piacevolmente immesso nei «contorni di Roma», giudicati come «unici al mondo»: le «situazioni, la vista del mare, l’acque abbondantissime e le rovine dell’antichità fanno un tutt’insieme talmente interessante che capisco come gl’inglesi vi dimorino lungamente», ribadirà l’8 luglio, dopo una visita a Frascati.300

In questa humus la felicità dell’animo appariva, però, ancora turbata dal pensiero di un sempre più vicino ritorno a Milano: «Penso con melanconia che devo ritornare a casa ed appena tu basti a farmi superare questo ribrezzo», scriveva già a fine giugno a Pietro.301 Il rimpatrio nella città del fratello, e del padre, significava la fine della libertà assaporata in solitudine nei mesi delle peregrinazioni europee e italiane, significava la necessaria ricerca di un impiego coercitivo, estraneo alla propria volontà. L’esperienza del viaggio, come si è anticipato, era stata istruttiva in questo senso: Alessandro aveva cominciato una fine analisi introspettiva, e avvertiva pertanto il fratello, in previsione di qualsiasi ipotesi d’incarico pubblico: «Io ti replico e ti sostengo che gl’impieghi pubblici non faranno mai altro che la mia infelicità. E ciò lo dico perché conosco me stesso e mi sono smidollato l’animo con finissima

298

Ivi, pp. 638-39. La rivista forniva solitamente brevi cenni storici, per poi dilungarsi sulla descrizione degli interni e soprattutto degli esterni: «Il Palazzo contiene dentro, e fuori molte Statue antiche, ed è ben compartito in Sale diverse, e Stanze ben guarnite, da ricevervi propriamente anche Signori riguardevoli. Tra gli oggetti più rari è la fonte dell’Alicorno: il giuoco della Palla: le Fontane di Leda, di Teti, di Aretusa, di Pandora, di Pomona, e di Flora: come ancora le altre Fonti del cavallo Pegaseo, e di Bacco: le Grotte di Venere, e della Sibilla: l’altra Fonte di Esculapio, e di Aniene con le Ninfe:quelle di Diana, di Pallade, di Venere, di Nettura, e della Città di Roma, le cui fabriche principali vi sono rappresentate in stucco, tramezzate da diversi zampilli di Acque insidiatrici degli Spettatori. Le altre moltissime Fonti, che sono più di 300, formano un meraviglioso Teatro nel viale lunghissimo […]. Le più amene però fra esse Fontane sono la Girandola, e l’Apollo, o sia la Madre Natura, che colla forza dell’Acque somministra ad un’Organo la melodia; e le celebri Statue antiche poste in tutte quelle Fontane, adornarono prima la famosa Villa dell’Imperatore Adriano, esattamente descritta da Monsignor Francesco Maria Svaresio. Contiene finalmente diverse Peschiere, Laberinti, e Giardinetti di fiori; e le copiose acque del Fiume Aniene nutriscono abbondantemente le amene Delizie del Giardino»

299 Il Mercurio errante delle grandezze di Roma, tanto antiche che moderne di Pietro Rossini da Pesaro, antiquario e

professore di medaglie antiche, Roma, 1741: la copertina aggiungeva «Si vendono da Fausto Amidei Libraro al Corso,

con Privilegio». La descrizione della Villa del Duca di Modena è a p. 222: «Vi sono varie, e belle Peschiere con la Fontana di Venere, di Nettuno, e delli Tritoni; il Laberinto, le Scale, che gettano acqua per tutto; li Boschetti, ed è impossibile potersi guardare dall’esser bagnato per la quantità de’ giuochi d’acqua, che all’improviso vengono dal Fiume Aniene, oggi il Teverone. Vi è la Roma antica con molti Tempj delli falsi Dei, sono circa 50, ma piccioli; e la meraviglia di questo gran Giardino è la famosa Girandola curiosissima da vedere, vi sorge un corpo d’acqua, che alza un’altezza straordinaria di così gran forza, che potrebbe alzare una machina di 50 libre di peso, e nell’alzare fa strepito come se tirassero mortaretti; pertanto niun Forastiero dovrebbe lasciare di vedere questo vago Palazzo, e Giardino del duca di Modena. Dentro della Città di Tivoli verso l’Oriente vi passa il Fiume Aniene , che vi fa una famosissima Cascata, celebrata per tutta l’Europa, che mette terrore a chi la mira, và in un grandissimo precipizio, che si chiama la bocca dell’Inferno, dove si perde per un gran pezzo, e va ad uscire a basso nella pianura. Di sopra alla detta cascata sopra d’un scoglio vi è il bel Tempio della Sibilla Tiburtina, o vero, come alcuni vogliono, d’Ercole, quale era adorato da questi popoli di Tivoli, che, secondo Livio, si chiamavano Popoli Ercolani, perché l’adoravano: questo Tempio è per anco intiero col suo Portico all’intorno sostentato da molte Colonne, al numero di dieci, le altre vi mancano».

300

Carteggio Verri, vol. I., p. 421.

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anatomia su quest’articolo. Il mio vero bene è la letteratura e l’amicizia e non altro e poi non altro. Se m’inganno in ciò io devo avere un mondo di false idee nella mia testa, perché nessuna io vedo colla maggiore apparenza delle dimostrate verità di questa».302 Una sempre più pressante volontà di autonomia, «il ribrezzo di ritornare nel grembo di una pessima famiglia»,303 gli faranno persino considerare positivamente l’idea di sposare la figlia dell’auditore di Rota francese monsignor Verri, e trasferirsi con essa ad Avignone:304 questo «negozio», ribadiva Alessandro, risultava più che mai «degno di qualche attenzione perché sono attualmente male assai nella mia famiglia e non so quai debbono esser in avvenire le mie sostanze, dipendendo eglino dall’arbitrio di persona irritata anche dal viaggio; ed insomma, essendo l’incertissima mia fortuna nelle mani di chi mi vorrebbe non esistente, tutte le proposizioni, che abbiano un’aria di vantaggio, meritano un momento d’esame»;305

«non mi pare che tu ragioni»306 sarà la dura risposta del fratello. In realtà la decisione di non fare più ritorno a Milano il Verri l’aveva già presa l’11 luglio, nel momento in cui lo stesso auditore francese gli aveva presentato la marchesa Margherita Boccapuli, sposata Gentili.307 «Per ora non mi muovo»,308 era stata la secca affermazione alle proteste di Pietro. «Che perderei fermandomi anche più di un anno a Roma come fanno tanti altri? Le antichità, l’esser la capitale d’Italia spiega benissimo una lunga dimora per chi ne voglia saper la ragione».309

302

Ivi, p. 408. Nella stessa lettera (datata 27 giugno 1767) ribadiva (p. 409): «Non lascerai di meravigliarti che tale io sia dopo il viaggio e vari incoraggiamenti, che non mi mancano per vari versi e che forse basterebbero a rendere imprudente un’altro».

303 Ivi, p. 433.

304 Ivi, p. 414: «Hai presente le premure, che aveva per me monsignor Verri quando fui costì? Non ti parve egli fosse

diventato amicone? […] Sembravano sorprendenti alquanto tutti questi interessamenti alla nostra famiglia. Ma ecco il nodo. […] Da gran tempo egli fissò gli occhi su un cadetto di nostra casa ed il scelto ero io. Si determinò adesso, che mi ha conosciuto meglio. […] Le condizioni sono 10 mila zecchini di dote da dividersi metà moglie e metà marito: di vivere in casa sua ad Avignone, ove si ritirerebbe, essendo già provveduto di un’abazia di cinquanta mila franchi e perciò non avendo bisogno di Roma ne farebbe di meno. Si tratterebbe dunque di andare ad Avignone e vedere l’oggetto delle mire presenti». Cfr. anche la lettera del 15 luglio, ivi, p. 431. Il «negozio d’Avignone» ribadiva allarmato Pietro, «è una chimera»: troppo bassa la dote per mantenere sé stesso e una famiglia, ove si trattava invece «di perdere la libertà, la patria, gli amici, di legarsi per sempre a convivere con nuovi oggetti senza luogo a pentimento»; «caro Alessandro», concludeva, «non mi pare che tu possa fermarti in quest’idea». (ivi, p. 428). Inoltre, Chiomenti Vassalli, I

fratelli Verri, cit., p. 70, sostiene che l’auditore di Francia «si spacciava per parente dei Verri di Milano»: egli, infatti,

«speculava sulla fluida ortografia dei cognomi di allora. Mentre il suo appariva più spesso come de Very, quello dei conti milanesi era stato nel passato scritto talora con una sola r».

305 Carteggio Verri, vol. I/II, pp. 8-9. 306 Ivi, p. 11.

307 Per la biografia della Marchesa, i suoi interessi, i suoi gusti intellettuali e il suo salotto (in parte anche descritti da

Alessandro), si rimanda al primo paragrafo del capitolo successivo. Fu l’auditore di Rota a immettere il Verri nella colta società della Boccapaduli, e non il principe Lante (come vuole Chiomenti Vassalli, I fratelli Verri, cit., p. 70): «più dell’altre case frequento in Roma le marchese Gentili, madre a figlia, dame distinti e rispettabili, che mi ricolmano di bontà. Che ivi vi è buona e saggia compagnia di forastieri ed anco di que’ del paese; che monsignor Verri mi ha procurato quest’onore» (Carteggio Verri, vol. I/II, p. 140).

308

Carteggio Verri, vol. I, p. 423.

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Il primo anno trascorso nella città di papa Rezzonico310 comportò, però, non solo la decisione di non far più ritorno a Milano, ma anche il progressivo rimaneggiamento della poderosa opera storiografica, il Saggio sulla storia d’Italia, seguito dalla decisione finale a sfavore della pubblicazione. Il Saggio era stato velocemente revisionato da Pietro già nell’ottobre del 1766, e da questo inviato alla stamperia Coltellini, gestita da Giuseppe Aubert fin dal 1762.311 A Livorno la

Storia era stata dapprima revisionata dall’auditore Franceschini, «uomo saggio e illuminato», e in

seguito dall’avvocato Baldassaroni,312

poi incontrati da Alessandro durante il tour toscano. Fu Pietro a mantenere i contatti con l’editore ed elaborare il progetto di stampa, organizzando persino l’incontro a Livorno, punto nevralgico del viaggio in Italia, («Aubert ti aspetta in Quaresima per cominciare l’edizione sotto i tuoi occhi»),313

di fronte alla quieta indifferenza del fratello. Se già il 26 febbraio 1767 lo riprendeva stupito («Ricordati della tua Storia: non me ne mostri più memoria, donde ciò? Non ti capisco»),314 la risposta di Alessandro lasciava presagire il triste futuro dell’opera, anticipando al soggiorno europeo le perplessità nei confronti della pubblicazione:

310 Alessandro incontrò papa Clemente XIII (1693-1769) personalmente, il 22 giugno 1767, probabilmente grazie alla

frequentazione con il solito auditore di Rota. Il 24 giugno dello stesso anno scriveva a Pietro: «L’altro ieri sono stato a’ piedi del Papa, il quale, se non ha la mente di Lambertini, ne ha certamente il cuore. È buonissimo e santissimo uomo. Mi ha fatte cento interrogazioni ed il nostro dialogo durò un buon mezzo quarto d’ora. Mi chiamò se al mio ritorno mi sarei ammogliato ed io gli dissi che non vi pensavo per non esser primogenito. Tanto meglio, mi rispose, è un fastidio di meno. Certamente, ripigliai, dati i costumi presenti, è una briga da lasciarsi agli altri. Non seppe disapprovare questa proposizione. Dopo varie altre cose dette sul caldo, sul freddo, sulle antichità, sul viaggio, ecc. diede a me ed alla famiglia tutta la sua santa benedizione». Ivi, vol. I, p. 402 (lettera del 24 giungo 1767).

311 Il 21 ottobre 1766 il fratello scriveva ad Alessandro che «La Storia è rivista pienamente» (Viaggio a Parigi e

Londra, cit., p. 17); al 28 ottobre è invece datata la lettera di Pietro ad Aubert, che ne annuncia la spedizione (in A. Lay, Un editore illuminista: Giuseppe Aubert nel Carteggio con Beccaria e Verri, Torino, Accademia delle Scienze, 1973, p.

98). Il 3 novembre l’opera non era ancora giunta a destinazione, ma l’editore livornese già avvertiva Pietro di un possibile ritardo nella pubblicazione, poiché «esso ha l’edizione del Boccaccio e le Vite del Vasari, delle quali la prima essendo per conto non suo ha promesso di darla a un dato tempo, l’altra, per esserne già accettata la dedica dal Granduca, non può tardare» (Viaggio a Parigi e Londra, cit. p. 33). Per Aubert si veda, oltre la voce a esso dedicata da A. Cioni nel Dizionario Biografico degli Italiani, cit., vol. 4, 1962 e bibliografia ivi contenuta, il classico lavoro di A. Lay, Un editore illuminista: Giuseppe Aubert nel Carteggio con Beccaria e Verri, cit., che parzialmente ricostruisce anche la vicenda editoriale della Storia d’Italia di Alessandro, pubblicando le lettere tra Aubert e Pietro Verri rispetto alla stampa dell’opera.

312 Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 69. Il Franceschini era auditore e revisore regio alle dipendenze del governatore

Bourbon dal Monte, uomo di fiducia di Aubert e uno dei maggiori promotori della prima edizione del Dei delitti e delle

pene, di cui pure ebbe tra le mani il manoscritto (come ricorderà lo stesso Aubert in una lettera a Pietro del 3 novembre

1766, in Lay, Un editore illuminista, cit., 98). Giovanni Giacomo Baldassaroni, oltre a esercitare la professione di