2.2 Il lavoro intramurario
2.2.2 Il lavoro intramurario alle dipendenze dei terzi
In apertura di sezione si è evidenziata la distinzione, nel contesto del lavoro intramurario, tra lavoro domestico e lavorazioni. Le seconde, ave- vamo detto, possono essere gestite ed organizzate dall'amministrazione penitenziaria o da terzi. La gestione ad opera di terzi, con ciò inten- dendo imprese pubbliche e private, è frutto di una modica normativa introdotta con decreto legge n.187 del 1993 convertito in legge n.296 del 1993.
Questa legge è il frutto di una presa di coscienza del fatto che la chiusura del carcere ai privati operata con legge n.354 del 1975, per porre ne all'abusato istituto dell'appalto di manodopera detenuta, aveva nito per ridurre drasticamente il numero e la qualità delle lavorazioni all'interno del carcere.
La nuova formulazione dell'articolo 20 O.P., come modicato nel 1993, ha innovato il sistema delle lavorazioni aprendo il carcere a chiunque pos- sa avere le risorse e l'interesse alla formazione e all'utilizzo produttivo dei detenuti. Si è assistito al fenomeno della tendenziale privatizzazione delle lavorazioni: la scelta è stata quella di adare la organizzazione di queste a soggetti la cui competenza tecnica, n ora assurdamente richie- sta all'amministrazione penitenziaria, si spera consentirà di superare le dicoltà gravi che incontra il lavoro in carcere.
Indicativa è la formulazione del primo comma dell'articolo 20 O.P.: "Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione
35D.Alborghetti, op.cit, pp.84 36M.Vitali, op.cit., pp.29
dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal ne, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e pos- sono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione".
Nello stesso senso va l'articolo 20bis O.P. introdotto proprio dalla novel- la del '93, il quale al primo comma prevede: "Il provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria puo' adare, con contratto d'opera, la direzione tecnica delle lavorazioni a persone estranee all'Amministra- zione penitenziaria, le quali curano anche la specica formazione dei re- sponsabili delle lavorazioni e concorrono alla qualicazione professionale dei detenuti, d'intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite, a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario, dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le relative progettazioni".
Interessante soermare l'attenzione sulle previsioni degli articoli 20 e 20bis O.P. che prevedono l'opportunità di commercializzare i prodotti delle lavorazioni carcerarie ad un prezzo pari o inferiore al loro costo o anche la possibilità di collocare sul mercato tali prodotti, oltre che di- rettamente, anche per tramite di convenzioni con imprese pubbliche o private che abbiano una loro rete di distribuzione commerciale.
Per quanto riguarda la commercializzazione sotto costo, si era osservato che lo scarso rendimento del lavoro penitenziario cagionava una dicoltà di sbocco sul mercato, a cui si poteva ovviare con una vendita non remu- nerativa o sottocosto. La opportunità oerta dal comma quattordicesimo dell'articolo 20 ha una indubbia potenzialità positiva ma anche un pos- sibile impiego nocivo se tale strumento venisse utilizzato per colmare i dislivelli esistenti tra organizzazione produttiva degli istituti e situazioni di mercato, anche là dove essi potrebbero piuttosto venire eliminati at- traverso una razionale ristrutturazione dei processi produttivi37. Ad ogni modo, i prezzi praticati devono essere rapportati a quelli previsti dal mer- cato all'ingrosso della zona per i corrispondenti prodotti. Una disciplina che a dire di parte della dottrina, se non accompagnata da misure volte a rendere più funzionale il lavoro in carcere, rischia di essere espressione di una politica rinunciataria che accetta a priori la diversità del lavoro dei
37Di Gennaro, Breda, La Greca, Ordinamento penitenziario e misure alternative
detenuti38.
Con riferimento al collocamento dei prodotti delle lavorazioni per tramite di reti commerciali di imprese pubbliche o private, si è voluto fare in modo che l'amministrazione presumibilmente priva di idonee strutture necessarie per il collocamento su larga scala, appunto, possa servirsi delle reti di distribuzione e commercializzazione di imprese private o pubbliche. Nella stessa direzione e logica degli articoli 20 e 20bis O.P. di cui abbia- mo detto prima, vi è l'articolo 47 del d.p.r 240/2000 ( il Regolamento di esecuzione), il quale prevede che le lavorazioni possano essere organizza- te e gestite in due modi: da parte delle direzioni sulla base delle linee programmatiche dei provveditorati oppure da imprese pubbliche e pri- vate e in particolare da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni. In questo secondo caso tra imprese e direzioni devono essere stipulate delle convenzioni che regolano aspetti quali utiliz- zazione dei locali e attrezzature eventualmente già esistenti negli istituti, modalità di addebito all'impresa delle spese sostenute per lo svolgimento dell'attività produttiva.
Il comma quarto dell'articolo 47 prevede che l'amministrazione possa uti- lizzare delle lavorazioni per le forniture di vestiario e corredo nonchè per la fornitura di arredi e quant'altro sia necessario all'interno degli istituti. Tra l'altro è signicativo che il ricorso ad imprese esterne per queste for- niture è possibile solo se vi è una convenienza economica che deve tener di conto della prevalente e contrapposta nalità rieducativa.
Inoltre, è previsto che le cooperative sociali possano stipulare delle con- venzioni aventi ad oggetto servizi interni quali quello di somministrazione del vitto, pulizie e manutenzione dei fabbricati. Si tratta di lavori tra- dizionalmente alle dipendenze dell'amministrazione penitenzaria e che in ragione dell'articolo 47 possono essere devoluti a cooperative che diverran- no "datrici" di lavoro del detenuto, in luogo dell'amministrazione. Il pri- mo comma dell'articolo 47 chiarisce proprio che i detenuti e gli internati che prestano la propria attività in tali lavorazioni dipendono, per quanto attiene al rapporto di lavoro, dalle imprese che gestiscono la lavorazione. Ad ogni modo permane il ruolo dell'amministrazione penitenziaria come promotrice dell'attività lavorativa e come titolare dell'esecuzione penale. Tutte le previsioni normative n qui esaminate evidenziano la chiara vo- lontà del legislatore di consentire l'ingresso negli istituti del c.d. "privato
sociale ed imprenditoriale" per rimediare ad una atroa che da troppo tempo caratterizza il lavoro penitenziario.
Per una trattazione analitica della normativa inerente le imprese e le cooperative sociali e gli incentivi alla loro diusione introdotti negli anni dal legislatore, si rimanda alla sezione, che seguirà, inerente la normativa di sostegno al lavoro penitenziario.
2.2.2.1 La costituzione del rapporto
Le imprese o cooperative che intendano assumere detenuti nell'ambito di attività intramurarie sceglieranno la forza lavoro sulla base di modalità tipiche del libero mercato: sulla base, quindi, di un colloquio attitudinale con i candidati. Una premessa è necessaria, i potenziali candidati sono individuati dall'amministrazione penitenziaria che fornisce un elenco di nominativi di detenuti che possono essere avviati all'attività lavorativa. La procedura termina con la sottoscrizione di un contratto di lavoro, regolato dal CCNL di riferimento.
In tale ambito il ruolo dell'amministrazione penitenziaria è evidenziato dall'articolo 25bis che è stato introdotto con la legge n.296 del 1993. La norma prevede che la direzione dell'istituto abbia l'obbligo di creare la tabella indicante i posti di lavoro disponbili e il piano di lavoro. Tabella e piano sono dei provvedimenti di competenza del direttore dell'istituto e sottoposti all'approvazione del provveditore regionale dell'amministrazio- ne penitenziaria previo parere necessario della commissione regionale per il lavoro penitenziario ( istituite proprio con tale legge). Tali commissio- ni sono composte da soggetti estraenei all'amministrazione penitenziaria, quali i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e cooperative e i rappresentanti della regione che operano nel settore del lavoro e della formazione professionale, fermo restando che è il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria a presiederle.
La tabella contiene l'elencazione dei posti relativi alle lavorazioni interne industriali ed agricole ed ai servizi d'istituto quantitativamente e quali- tativamente dimensionati sulla base delle esigenze di ogni singolo istitu- to. Inoltre nella tabella devono essere indicati anche i posti disponibili all'esterno presso imprese pubbliche e private e quelli relativi alle lavora- zioni organizzate e gestite direttamente da imprese private e associazioni all'interno degli istituti.
Il piano di lavoro contiene una generica programmazione dell'attività pro- duttiva che tiene conto del numero dei detenuti, strutture produttive, organico del personale civile e di polizia penitenziaria.
Alla luce di queste considerazioni si comprende che all'amministrazione penitenziaria spetti esclusivamente, attraverso la predisposizione di ta- belle e piano di lavoro, il dovere di fornire una occasione di incontro tra domanda ed oerta di lavoro e nulla di più. Si è voluto, così, eliminare ogni ostacolo normativo alla privatizzazione39.
2.2.2.2 Lo svolgimento del rapporto
Una volta instauratosi il rapporto di lavoro tra detenuto ed impresa o cooperativa sulla base dell'articolo 2094 c.c. si tratta di vericare quali diritti riconosciuti al lavoratore libero possono sorgere anche in capo al lavoratore-detenuto. Certamente ai rapporti tra imprenditore e detenu- to si applicherà la normativa dei CCNL qualora il contratto individuale ne abbia fatto menzione ovvero quando le parti siano aderenti ad or- ganizzazioni sindacali rmatarie del contratto stesso. Ancora si ritiene applicabile la garanzia dell'articolo 20, comma diciasettesimo O.P. che prevede una durata della prestazione lavorativa non superiore ai limiti stabiliti dalle leggi vigenti e riconosce anche il diritto al riposo festivo e alla tutela previdenziale ed assicurativa. Il diritto alle ferie e alla rela- tiva indennità sostitutiva è stato riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n.258 del 2001. Parzialmente diverso il discorso dei diritti sindacali, nel senso di una maggiore godibilità di questi, rispetto al lavoro intramurario alle dipendenze dell'amministrazione. Per quanto riguarda il diritto di associazione non vi è alcun limite salvo che le organizzazioni sindacali non abbiano nel proprio atto costitutivo o statuto dei vincoli all'accettazione della domanda di iscrizione relativi all'incensuratezza o al più generico concetto di buona condotta morale e civile.
Più dicoltoso potrebbe essere l'esercizio di diritti sindacali in ambito penitenziario posto che nel carcere lo svolgimento di attività comune si inquadra entro schemi organizzativi predeterminati dall'autorità peniten- ziaria. I limiti allo svolgimento di assemblee o iniziative analoghe possono discendere, nel caso, da esigenze di sicurezza dell'istituto. Nessun pro- blema per la congurabilità del diritto di sciopero posto che le uniche dierenze del lavoro dei detenuti alle dipendenze di terzi rispetto al lavo-
ro libero è da ravvisarsi nel peculiare status di detenuto del prestatore e nel luogo in cui la prestazione è compiuta.
2.2.2.3 La retribuzione
La remunerazione è stabilita dal contratto e parametrata ai CCNL di riferimento. Per quanto rigurda il lavoro alle dipendenze di terzi non si pone il problema della riduzione di un terzo che invece sussiste per i detenuti alle dipendenze della amministrazione. Questa conclusione si desume dalla sentenza della Corte costituzionale n.1087 del 1988 che chiarisce come la decurtazione ex articolo 22 O.P. riguarda solo le mercedi dei detenuti impiegati in lavori domestici o in lavorazioni organizzate e gestite dall'amministrazione.
2.2.2.4 La cessazione del rapporto
L'esistenza di un rapporto di lavoro di diritto privato tra l'imprendito- re che gestisce le lavorazioni e il detenuto lavoratore consente di dare applicazione alla disciplina del legittimo recesso per giusta causa e per giusticato motivo. Assume rilievo, come nel contesto dei lavori dome- stici, l'articolo 53 del Regolamento di esecuzione, il quale disciplina l'e- sclusione dalle attività lavorative se il detenuto o l'internato manifesta un sostanziale riuto nell'adempimento dei suoi compiti e doveri lavo- rativi. Nel disporre l'esclusione dall'attività lavorativa il direttore deve sentire il parere del datore di lavoro, del lavorante oltre che del gruppo di osservazione.
Alla vicende inerenti il rapporto di lavoro si applicherà la normativa stan- dard ex articolo 2 della legge n.604 del 1966: il datore può intimare il licenziamento solo per giusta causa o giusticato motivo ed è tenuto, in ragione della modica apportata dalla legge n.92 del 2012, a comunicare in ogni caso i motivi di tale decisione.
Nell'ipotesi di rapporto di lavoro con datori di lavoro diversi dall'ammi- nistrazione penitenziaria non dovrebbe sussistere alcuna sovrapposizione fra i rispettivi poteri di allontanamento dal posto di lavoro e di irroga- zione di sanzioni disciplinari come conseguenza del rapporto punitivo. Il punto problematico sta nel coordinare la normativa penitenziaria con l'autonomia negoziale delle parti nell'ambito del rapporto di lavoro. Pos- sono pertanto vericarsi due casi: nel primo il recesso da parte del datore di lavoro precede il provvedimento di esclusione dal lavoro del direttore,
che avverrà dunque come conseguenza necessitata e su di un piano estra- neo alla previsione di cui all'art. 53. La seconda ipotesi invece si verica laddove il provvedimento di esclusione adottato dal direttore dell'istitu- to penitenziario preceda il licenziamento da parte del datore di lavoro, che conseguirà evidentemente per giusta causa o per giusticato motivo soggettivo. In questo caso il direttore dell'istituto prima di adottare il provvedimento sentirà il parere del datore di lavoro che è obbligatorio ma non vincolante. In quest'ultimo caso al detenuto sono concessi due strumenti di tutela: il reclamo al Magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento di esclusione dalle attività lavorative per violazione delle norme in materia di applicazione delle sanzioni disciplinari; ed eventual- mente il ricorso al giudice del lavoro avverso l'atto di licenziamento per farne valere l'illegittimità, ovvero la mancanza di una giusta causa o di un giusticato motivo a fondamento dell'atto di recesso del datore di lavoro.