L'analisi della tematica necessita di un inquadramento sistematico al - ne di comprendere la collocazione normativa e sociale di questa inedita iniziativa voluta da più parti ed inaugurata dall'attuale Ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Son trascorsi poco più di quarant'anni dalla riforma penitenziaria ed è in discussione in Parlamento un disegno di legge delega per la sua mo- dica con l'intento di dare eettività alla nalità rieducativa della pena. Si vuole tentare un nuovo approccio ai problemi di sempre, come è stato acutamente rilevato1. Nel corso degli anni si è più volte e con strumenti diversi cercato di superare la visione carcerocentrica nel contesto della esecuzione della pena ma con altrettanta solerzia il legislatore, animato da istanze securitarie ogni volta ritenute improcrastinabili, ha operato nel senso di frapporre limiti e preclusioni alla piena realizzazione di un trat- tamento individualizzato per ciascun detenuto che consenta di percorrere davvero la via della rieducazione e reinserimento sociale del detenuto. Il cantiere della riforma del sistema penitenziario è aperto però il Ministro ha ritenuto, sollecitato da più parti, di far precedere la novella norma- tiva da un confronto ampio con gli operatori del settore che ogni giorno a vario titolo vivono la realtà, dicile, della esecuzione della pena. La convinzione da cui si parte è che nessuna riforma, tanto meno quella del
1G.Giostra, La riforma della riforma penitenziaria: un nuovo approccio ai problemi
sistema penitenziario, possa risultare rispondente alle nalità che si pone se non si rivolge ad una collettività consapevole del problema che si è pressa di arontare. In quest'ottica gli Stati Generali potevano, e ve- dremo nei prossimi mesi se lo saranno stati davvero, costituire una sorta di "placenta culturale" per la riforma.
La nostra analisi deve partire dalla consapevolezza di alcuni dati che guardano al passato: la legge di ordinamento penitenziario n.354/75 co- stituiva e per alcuni versi costituisce ancora una tra le normative più avanzate al mondo e nonostante questo l'Italia ha subito una condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo per violazione dell'ar- ticolo 3 CEDU inerente il divieto di tortura e trattamenti inumani con riferimento al sovraollamento delle carceri; solo di recente, perchè sol- lecitati con la sentenza Torreggiani, appena menzionata, si è introdotto un meccanismo ex articolo 35 bis O.P. che consente di garantire l'eetti- vità della tutela giurisdizionale; il disegno di legge delega reca un titolo, "Modiche all'ordinamento penitenziario per l'eettività rieducativa del- la pena", nonostante la Costituzione già da 70 anni chieda che le pene tendano alla rieducazione del condannato.
Si tratta di rilievi critici riassumibili nella acuta considerazione secondo cui un bilancio sulla legge penitenziaria non può che registrare un'eet- tività di tipo rinnegante2 che è elemento connaturale, a dire della citata dottrina, della normativa penitenziaria in cui più spesso che in altre si realizza l'illegalità uciale attraverso la non applicazione e la manipola- zione amministrativa delle norme. In sintesi questa eettività rinnegante emerge da prassi inveratesi e che ne hanno costituito la stura: non rifor- mare i codici penali signica porre le premesse per un sovraolamento carcerario; introdurre misure alternative senza predisporre un apparato organizzativo esterno equivaleva a sospingerle verso l'indulgenzialismo; la mancata attribuzione al detenuto di diritti a contenuto partecipativo escludeva la popolazione carceraria da una eettiva risocializzazione; ma più di tutte le altre ragioni va evidenziato che la nuova legge si poneva in contrasto forte con il contesto socio-culturale per il quale sarebbe stato suciente il primo allarme ricollegabile all'organizzazione carceraria per inserire la normativa penitenziaria nella spirale della politica dell'ordi- ne pubblico3. Si tratta di inadeguatezze genetiche che hanno mostrato di non avere "età", nel senso che un discorso simile è tutt'oggi riproponibile.
2F.Bricola, Il carcere riformato, pp.55 3Idem
Nonostante il doloroso, ma necessario, riconoscimento di una dicoltà patologica di realizzare un sistema di esecuzione della pena che possa dir- si rispettoso della nalità rieducativa è altrettanto necessario e doveroso segnalare che negli ultimi anni alcuni passi in avanti sono stati compiuti: a partire dal riconoscimento che il carcere non può essere l'unica risposta sanzionatoria e sono in tal senso stati previsti meccanismi quali la so- spensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato o ancora la non punibilità per particolare tenuità del fatto; c'è stato un primo ap- proccio verso la tematica della depenalizzazione di alcune fattispecie di reato; a seguito della sentenza Torreggiani si è introdotto un meccanismo che garantisce una eettiva tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti. Ciò che fa più paura, però, è l'atteggiamento socio-culturale che emerge nelle decisioni di politica penale del nostro legislatore avvezzo ad aron- tare ogni reale o supposto motivo di insicurezza sociale con lo strumento meno impegnativo, più scontato ed inecace4, ossia aumentando il nu- mero dei reati e l'entità delle pene. Una tecnica niente aatto rispondente alla necessità di perseguire il nalismo rieducativo richiesto dall'articolo 27 della Costituzione e che nisce per segnare l'ennesimo ritorno ad una concezione carcerocentrica dell'esecuzione penale.
Si comprende in denitiva che prima ancora che di ingegneria giuridica, nel senso di ricerca di strumenti votati alla causa della rieducazione, ciò di cui si ha bisogno è una rinnovata concezione e cultura della pena che ci allontani da una deriva punitiva in cui troppo spesso siamo incorsi. Il disegno di legge delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario ha una importante valenza politica che emerge non tanto, e non solo, dai nove criteri in cui il progetto di delega si articola ma soprattutto dalla relazione al disegno di legge in cui si ammette che nell'ordinamento peni- tenziario "convivono, con inevitabili frizioni interne, l'istanza rieducativa e di risocializzazione con quella di sicurezza sociale" che "si è sovrap- posta alla prima, piegando alcuni istituti alla funzione di incentivazione della collaborazione con l'autorità giudiziaria ed escludendone altri dal trattamento rieducativo proprio in ragione di un incremento dell'ecacia meramente punitiva dell'esecuzione penale". Emerge chiaramente quin- di la volontà da parte del legislatore di intervenire al ne, come emerge nel titolo del disegno di legge delega, di restituire eettività al nalismo rieducativo della pena.
In questa atmosfera di riforma normativa e culturale dell'ordinamento penitenziario, il Ministro della Giustizia ha quindi ritenuto di collocare
l'inedita iniziativa degli Stati generali. Si è trattato di una importante consultazione a più livelli durata sei mesi, durante i quali tutti i diver- si protagonisti dell'esecuzione penale hanno avuto modo di confrontarsi nel contesto di 18 tavoli tematici. È stata promossa una consultazione pubblica attraverso il portale internet del Ministero così da consentire a chiunque di segnalare esperienze, proposte, spunti di riessione. L'o- biettivo di ciascun tavolo tematico è stato quello di elaborare proposte ed idee da sottoporre al Comitato scientico che le ha valutate e com- pendiate in una relazione nale. Si è voluto fare in modo che il sistema penitenziario italiano possa essere all'altezza dell'articolo 27 della nostra Costituzione non solo per una questione di dignità e di diritti ma anche in ragione del fatto che ogni detenuto recuperato alla legalità signica maggiore sicurezza per l'interà comunità. Chiaro è come la mobilitazione sociale e culturale degli Stati generali sia stata concepita anche in funzio- ne strumentale rispetto all'attuazione della delega; si ritiene infatti, come abbiamo già avuto modo di precisare, che soltanto una rinnovata conce- zione del carcere e della pena potrà consentire alle novità normative di attecchire. La riforma dovrà essere prima culturale, solo cosi potrà anche tradursi a livello normativo.
Il carcere non deve più essere inteso nell'immaginario comune come una discarica sociale, un'enclave del male, del pericolo, della sacrosanta soe- renza5. La collettività dovrà rendersi conto che la sicurezza sociale non passa attraverso l'incarcerazione senza se e senza ma; è necessario far comprendere che la lotta alla recidiva passa attraverso le misure alter- native alla detenzione, passa dalla possibilità che il detenuto svolga un lavoro qualicante e che possa fornirgli un'alternativa rispetto al circuito criminale una volta tornato nella società.
Inne è necessario che si comprenda no in fondo che la nalità rieduca- tiva della pena è propria solo di un certo tipo di pena, quella che consente al detenuto di capire il disvalore insito nella propria condotta criminosa e al tempo stesso gli fornisca una opportunità di vita diversa da quella che lo ha portato a delinquere.