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Nel carcere di Taranto nell'aprile del corrente anno si è avviata una ini- ziativa pilota nel panorama italiano delle lavorazioni che vedono coinvolti i detenuti. Ci si è serviti, sia all'interno del carcere che fuori nella zo- na di intercinta, di detenuti per la semina della canapa nella sua varietà nalizzata all'utilizzo alimentare, tessile e per lavori nell'ambito dell'edi- lizia. L'iniziativa ha visto coinvolti diversi attori, innanzitutto la ditta Southemp Tecno s.r.l di Crispiano nella provincia di Taranto nella per- sona della signora Rachele Invernizzi, in sinergia con la direzione della Casa Circondariale, con la locale sede di Confagricoltura Taranto e con l'ABAP (Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi).

La peculiarità dell'iniziativa sta anche nel fatto che l'avvio dei lavori è stato totalmente nanziato dalla ditta summenzionata che ha ritenuto così di "preparare il terreno" per futuri maggiori impieghi e progetti. Il primo approccio a questo progetto ha richiesto una preventiva prepara- zione dei campi a disposizione del carcere di Taranto che si presentavano

in stato di abbandono. Si è potuto sfruttare un piccolo appezzamento di terreno di circa 500 m2 all'interno del settore femminile ed uno di cir- ca 2500 m2 nella zona di intercinta. L'ubicazione del campo nel settore femminile e la conformazione della struttura del carcere e delle recenzio- ni impedivano l'accesso a macchinari per l'aratura necessaria che è stata quindi compiuta con dei mezzi di ridotte dimensioni determinando di fat- to la scarsa resa della semina. Tutt'altro discorso per il più esteso campo all'esterno per il quale è stata possibile una aratura e semina meccaniche che hanno consentito una corretta crescita della pianta e quindi migliori risultati. Ad ogni modo i detenuti impiegati sono stati cinque, due donne per il campo nel settore femminile all'interno del carcere e tre uomini ammessi al lavoro ex articolo 21 O.P. per quello più esteso all'esterno. La pianta della canapa per le sue caratteristiche ben si adatta a qualsiasi tipo di terreno, preferendo comunque quelli fertili di natura alluvionale4; non richiede irrigazione salvi casi eccezionali e né particolari trattamenti o cure, per queste ragioni che l'impiego dei detenuti dovrebbe riguardare le fasi iniziali della semina e quelle successive alla raccolta, della lavorazione. Questo primo tentativo di avviare delle coltivazioni nel carcere sconta il prezzo di dicoltà oggettive appena viste e tempistiche perfezionabili. La signora Invernizzi ha avuto modo di precisare che una programma- ta attività di preparazione dei campi consistente in più cicli di aratura e conseguente semina anticipata rispetto a quella compiuta quest'anno, presumibilmente da farsi nel mese di marzo, consentirebbero una migliore resa.

La raccolta di quest'anno sarà lavorata nelle sedi della Southemp a Cri- spiano per essere poi venduta sul relativo mercato. Più interessante è parlare delle prospettive di sviluppo della iniziativa che sono molteplici così come i possibili utilizzi della canapa che si contraddistingue senz'altro per la versatilità di impieghi. La collaborazione tra la ditta Southemp e la Casa Circondariale di Taranto potrebbe portare alla nascita di diversi laboratori proprio all'interno del carcere in cui si svilupperebbero delle lavorazioni nalizzate ai diversi impieghi della pianta. L'idea è quella di realizzare almeno tre laboratori: un primo, dedicato alla realizzazione della carta e successiva rilegazione per la produzione di agende e simili; un secondo laboratorio per la lavorazione della bra tessile e che vedreb- be, presumibilmente le detenute donne, impiegate in attività di tessitura per la produzione di vestiario; un terzo laboratorio per l'attività di con- fezionamento, per la produzione di shopping bag o grembiuli da cucina

e quant'altro. Una maggiore implementazione delle lavorazioni potrebbe consentire di pensare, a dire della responsabile della ditta, alla creazio- ne di un laboratorio alimentare per la lavorazione del seme di canapa da cui è possibile ottenere olio e farina. Si è ad una fase preliminare del progetto rispetto al quale però sono stati già individuati gli ambienti che andrebbero ad ospitare le lavorazioni. Qualora l'idea giungesse ad una concretizzazione si articolerebbe nella forma delle lavorazioni intra- murarie gestite ed organizzate dalla ditta Southemp che assumerebbe i detenuti ottenendo gli sgravi contributivi e scali riconosciuti dalla leg- ge Smuraglia. Una volta di più si ha la dimostrazione che il "privato sociale ed imprenditoriale" ha una maggiore possibilità di realizzare nel carcere attività di impresa, senz'altro in maniera più eciente di quan- to, in molti casi, potrebbe fare l'amministrazione penitenziaria. Come sappiamo comunque non è facile conciliare, e non lo è stato nemmeno in questo caso, le esigenze di produzione di una impresa privata con quella della sicurezza di un carcere. Come emerge dalla proposta progettuale di realizzare l'impresa agricola nella Casa Circondariale di Taranto, l'avvio della esperienza in analisi è stata solamente frutto della encomiabile spin- ta propositiva della ditta su menzionata che in accordo con l'altrettanto disponibile direzione, hanno avviato questo progetto i cui costi sono stati sostenuti solamente dalla ditta Southemp. Il cambiamento non può che passare dalla istituzionalizzazione dell'iniziativa cosi da consentire uno sviluppo pieno delle grandi potenzialità che questo progetto ore. La volontà del privato è quella di continuare nella propria "mission" etica ancor prima che economica. Non si potrà prescindere comunque da un sostegno nanziario del progetto che necessita, come abbiamo visto, degli spazi e risorse per la sua piena realizzazione. L'auspicio è che si possa nei prossimi anni arrivare ad un pieno utilizzo dei terreni a disposizione del carcere perchè cio signicherebbe aver oerto ai detenuti una opportunità di lavoro che in carcere fa il paio con una nuova opportunità di vita.

Conclusioni

Il presente contributo si è posto l'obiettivo di analizzare la disciplina del lavoro penitenziario nel suo percorso storico. Si è cercato di mettere in risalto l'avanzamento della disciplina e il suo divenire. Questo "studio in movimento" è stato pensato al ne di comprendere da dove provie- ne l'attuale assetto normativo, quali sono le caratteristiche del lavoro in carcere oggi e quali le linee di sviluppo di questo mondo. Si è tentato di compendiare in un unico contributo il passato, il presente e il futuro della materia. A chiusura di tesi, l'esperienza della Casa Circondariale di Ta- ranto non è aatto avulsa dal contesto, ponendosi come esemplicazione di buone pratiche che necessitano di essere implementate a livello locale ma anche e soprattutto a livello nazionale.

L'istituzione carceraria è antica quanto la concezione della pena la cui percezione sociale colora il lavoro penitenzario di tonalità diverse a se- conda che la si intenda come mera inizione di una soerenza oppure come strumento nalizzato al recupero e reinserimento sociale del reo. Il lavoro in carcere ha vissuto e vive, ancora oggi, una esistenza condi- zionata al modo di intendere la pena. Non è un caso che l'accresciuta considerazione e valorizzazione del lavoro in carcere sia l'eetto di un di- verso modo di intendere l'esperienza punitiva. L'analisi del dato storico nel primo capitolo è paradigmatica sotto questo prolo.

L'umanizzazione del lavoro penitenziario ha trovato riconoscimento nor- mativo con la Costituzione e il nalismo rieducativo da questa enunciato. A livello applicativo bisognerà attendere del tempo perchè il lavoro dei detenuti venga depurato da connotazioni punitive ed aittive. L'evolu- zione normativa testimonia la presa di coscienza di come, solo attraverso un trattamento in cui il lavoro assume una valenza centrale, si possa sperare ragionevolmente di ottenere il recupero del detenuto che ha ve- rosimilmente acquisito delle competenze lavorative spendibili all'esterno. Ogni esperienza detentiva diversa che "abbandona" il detenuto alla noia esponendolo al devastante eetto criminogeno del carcere è destinata a fallire. La lotta alla criminalità diusa deve avere nel trattamento riedu- cativo una delle sue armi più ecaci. Il dovere dello Stato non può essere solo quello di intervenire post-factum attraverso l'incarcerazione perchè cosi, altrimenti, renderebbe un "mezzo servizio"; è necessario, invece, che le energie maggiori vengano spese nell'esecuzione della pena, quando il reo è stato assicurato alla giustizia e quando dovrà cominciare il percorso di reinserimento sociale in cui il lavoro ha una valenza imprescindibile.

Oggi le statistiche parlano di numeri assai esigui di lavoratori detenuti e per di più la stragrande maggioranza di questi è impiegata in lavori do- mestici assai poco professionalizzanti soprattutto se gestiti direttamente dall'amministrazione penitenziaria. Non mancano, però, esempi di lavo- razioni interne ed esterne al carcere in cui sono impiegati detenuti che riescono cosi ad acquisire esperienze spendibili all'esterno. Sempre gli studi statistici certicano come per i detenuti che in carcere hanno svol- to delle attività lavorative le probabilità di recidiva sono drasticamente ridotte. Chiara la duplice valenza del potenziamento del lavoro in carce- re perchè da un lato si contribuisce al reinserimento di un detenuto che proprio per aver acquisito delle competenze spendibili all'esterno sarà in- dotto ad evitare il circuito criminoso da cui proviene, dall'altro lato è evidente l'indubbio vantaggio in termini di risparmio sociale conseguente al reingresso in società dell'ex detenuto. Il potenziamento delle opportu- nità di lavoro per i detenuti passa dalla previsione di maggiori incentivi e contributi alle imprese che decidono di investire nel carcere; passa dalla semplicazione delle procedure per l'avvio dei progetti; dalla introduzio- ne di percorsi seri di formazione dei detenuti e più in generale da una esternalizzazione delle lavorazioni che dovrebbero essere adate in misu- ra sempre maggiore a cooperative ed imprese esterne, considerata anche la dicoltà dell'amministrazione penitenziaria di conciliare adeguatamente le istanze securitarie e quelle produttive. Ad ognuno il suo, si potreb- be dire; rimane all'amministrazione l'irrinunciabile predisposizione di un piano di trattamento, di cui il lavoro è colonna portante, ma che deve essere integrato, arricchito e diversicato sulla base della sapiente valu- tazione di chi vive il carcere e la sua popolazione, quotidianamente. Non si può, e non si deve, pensare che l'oerta di un'opportunità lavorativa costituisca la soluzione al problema del reinserimento del reo perchè sarà necessario comunque che questo comprenda il disvalore del crimine com- messo, l'adeguatezza, nei suoi limiti, della pena inittagli e la necessità di adoperarsi per eliminare le conseguenza dannose del reato commesso anche tramite forme di conciliazione con le vittime del reato attraverso percorsi di giustizia riparativa. In questo quadro il lavoro conferisce al detenuto la dignità necessaria al suo, personalissimo, percorso di recupe- ro. La soddisfazione e l'appagamento di un lavoro, di una retribuzione, la sensazione di un'autonomia magari mai percepita, la possibilità di con- tribuire al sostegno della famiglia unitamente ad un desiderio forte di riscatto devono essere il motore del reinserimento sociale e personale. Di sicuro, non è stato e non sarà suciente che si intervenga attraverso

previsioni di legge che disciplinino, per quanto dettagliatamente ed e- cacemente, il lavoro penitenziario; è necessario che si aermi e dionda una nuova cultura del carcere e della pena. Il carcere non può più essere inteso come una discarica sociale, un'enclave del male e della sacrosanta soerenza, una extra-territorialità staccata dal mondo civile. È necessa- rio rimuovere gli ostacoli sici e mentali che si frappongono tra la società e le carceri e in questo senso estremamente signicativa è stata l'espe- rienza degli Stati Generali dell'esecuzione penale perchè per sei mesi si è parlato di carcere ed esecuzione della pena ad ogni livello attraverso una partecipazione democratica degli esperti del settore e di chiunque abbia voluto contribuire con proposte, idee, esperienze e spunti di riessione. Solo una società avvertita e consapevole della importanza di un percor- so rieducativo all'interno del carcere può costituire l'humus fertile in cui le riforme normative potranno attecchire. Sta ora al legislatore recepire quanto di buono emerso dai tavoli e compendiare tali suggerimenti nel- la modica dell'ordinamento penitenziario, la cui ponderazione ha avuto negli Stati Generali un importante sostegno.

L'esperienza dell'impresa agricola costituisce una applicazione concreta delle indicazioni inerenti le linee di sviluppo del lavoro penitenziario n qui fornite. Si tratta di progetti riguardanti l'utilizzo di terreni, per nalità diverse, a disposizione della Casa Circondariale che ne consen- te l'utilizzo a titolo gratuito da parte di cooperative ed imprese che si impegnino nell'assunzione di detenuti. L'obiettivo è quello di accresce- re l'occupazione e di consentire al "privato sociale ed imprenditoriale" di sviluppare delle produzioni avvalendosi di sgravi e contributi previsti dalla legge. Nel dettaglio l'esperienza analizzata riguarda una impresa, la Southemp s.r.l, impegnata nella produzione di canapa. In questa prima fase del progetto si è previsto che la materia prima sia raccolta per poi essere destinata ai diversi settori che la impiegano, dall'edilizia al tessi- le no all'alimentare. La parte interessante riguarda lo sviluppo futuro dal momento che è si è immaginata la realizzazione di diversi laboratori all'interno del carcere destinati alla produzione di carta, accessori, indu- menti ma anche farina ed olio ottenuti dai semi di canapa. È cosi che si fornirebbe ai detenuti un'opportunità importante di lavoro e formazione data la possibilità di acquisire competenze spendibili anche nel mercato a crescita costante della canapa.

Inne si comprende la necessità che esperienze di questo tipo si moltipli- chino a livello nazionale. Ma non sono le sole. Altrettanto utili le oerte di lavoro extramoenia che collocano il lavoratore detenuto a contatto con

la realtà lavorativa così come è nella vita di tutti i giorni accelerando il reinserimento nella realtà sociale; o ancora centrale è il potenziamento dei corsi di formazione ed apprendistato dal momento che se è oggettivamente impossibile che tutti i detenuti vengano impiegati, non è aatto utopico fornire a questi delle competenze lavorative speciche che renderebbero senz'altro più appetibili i loro curricola.

La strada da fare è lunga e passa attraverso una riforma che prima di esse- re normativa dovrà essere culturale, ma è stata segnata. L'auspicio è che il nostro legislatore, arricchito dal pesante bagaglio culturale, empirico e teorico degli Stati generali, possa e sappia perseguire la via del nalismo rieducativo imposto dalla Costituzione anche, e soprattutto, attraverso una sempre maggiore valorizzazione del lavoro penitenziario.

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