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Tutela giurisdizionale dei lavoratori detenuti

1.2 Il quadro normativo

2.1.6 Tutela giurisdizionale dei lavoratori detenuti

Questa tematica richiede preventivamente che ci si domandi che tipo di rapporto di lavoro si instauri in ambito penitenziario. Ciò è importante perchè dall'individuazione del tipo di rapporto dipende la determinazione del giudice competente nel caso di controversie.

Alcuni autori sostengono si tratti di un rapporto di diritto pubblico poi- chè l'obbligo del lavoro carcerario nasce non da un contratto ma ex lege e perciò sottratto alla disciplina civilistica16. Secondo altri, invece, si trat- terebbe di un rapporto di lavoro subordinato "rientrante tra i c.d rappor- ti speciali di lavoro che si caratterizzano sovente per la loro collocazione in ordinamenti dotati di una propria autonomia e per l'inserimento di elementi pubblicistici nella loro disciplina"17.

Bisogna però dire che le interpretazioni appena evidenziate si riferisco- no al rapporto di lavoro in generale senza distinguere tra lavoro extra- murario, alle dipendenze di imprese pubbliche o private e il lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria; una dierenziazione che invece può condurre a soluzioni diversicate. Si è osservato che nel caso di lavoro all'esterno l'esistenza di un obbligo gravante sul detenuto nei confronti dello Stato non intacca la natura convenzionale del vincolo che si instaura tra detenuto e impresa e ne deriva che il rapporto di lavoro penitenzario appare riconducibile allo schema legale dell'art 2094 c.c. con l'applicazione della relativa disciplina salvo i limiti derivanti dalla priva- zione della libertà personale del lavoratore18. Lo stesso discorso può farsi per il lavoro intramurario alle dipendenze dei terzi.

compatibilità costituzionale della normativa che consente che ai detenuti lavoranti sia corrisposto un compenso inferiore ai livelli salariali previsti dai contratti collettivi di lavoro.

16Tufano, Diritto e pratica del lavoro 88,2287

17Vidiri, Il lavoro carcerario: problemi e prospettive,52 18Barbera, Lavoro carcerario, Dig.priv. comm.,221

Per il lavoro reso alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria al- cuni ritengono che la disciplina comune sia applicabile compatibilmente con le regole di sicurezza e disciplina19.

Ho in apertura del paragrafo precisato che la qualicazione del rapporto di lavoro rileva per la determinazione del giudice competente in caso di controversie ma anche per valutare se è applicabile la normativa ordinaria ai diritti del detenuto-lavoratore.

Per quanto riguarda il giudice competente, chi sostiene la natura pubbli- cistica del rapporto di lavoro ritiene che la competenza spetti al giudice amministrativo sia quando la controversia riguarda l'esecuzione del lavoro carcerario presso un'impresa privata sia quando a maggior ragione riguar- di il c.d. lavoro domestico20. Chi ritiene si tratti di un rapporto di lavoro subordinato sostiene la completa equiparazione sul piano processuale tra lavoratore detenuto e lavoratore libero, quindi "il discrimine tra compe- tenza del giudice amministrativo e competenza del giudice ordinario va operato alla stregua dell'articolo 409 cp"21.

A questo punto dobbiamo necessariamente denire le tappe che han- no caratterizzato il percorso inerente la tutela dei diritti del detenuto lavoratore.

Un primo momento è stato caratterizzato da uno scarso livello di giur- sdizionalizzazione della tutela dei diritti del detenuto lavoratore; infatti l'articolo 69, sesto comma O.P. prevedeva la competenza del Magistrato di sorveglianza per i reclami dei detenuti e degli internati riguardanti: a) l'attribuzione della qualica lavorativa, la mercede e la remunerazio- ne nonchè lo svolgimento dell'attività di tirocinio e di lavoro e le assi- curazioni sociali; b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare e l'attribuzione della qualica lavorativa. L'intervento del Magistrato di sorveglianza era di tipo amministrativo e si collocava nel più ampio pote- re di vigilanza sul'organizzazione degli istituti di pena. Si trattava di un procedimento privo di contraddittorio e in cui non era prevista la presen- za della parte pubblica. La decisione era presa con ordine di servizio che non era impugnabile e che non aveva la cogenza propria delle decisioni giurisdizionali.

Per queste ragioni che dagli anni '70 no anche ai primi anni successivi al- la legge Gozzini del 1986, parte della giurisprudenza di merito si espresse per una competenza alternativa tra Magistrato di sorveglianza e Giudice

19Barbera,op.cit.,222

20Orsi Vergiati, Rivista italiana diritto del lavoro, 83,846 21Vidiri, op.cit., 59

del lavoro; più nello specico si parlò di una competenza generalizzata del giudice ordinario perchè in materia di lavoro il procedimento instau- rato dal reclamo non poteva sostituire la tutela giurisdizionale tipica del giudice dei diritti. Questa lettura era stata avallata da una sentenza della Corte costituzionale, la n.103 del 1984 con cui dichiara inammissibile la mancanza di tutela giurisdizionale e quindi di diritti dei detenuti-lavoranti i quali avrebbero potuto richiedere la tutela del giudice del lavoro posta la mancanza di dierenze tra il lavoro subordinato e il lavoro dei detenuti internati22

È questa la sentenza che consente il passaggio da detenuto-lavorante, cioè un soggetto che lavora per l'autorità che esercita su di lui un potere gerarchico, in un lavoratore-detenuto titolare dei diritti che nascono dal rapporto di lavoro23

Con la legge Gozzini del 1986, la n.663 si è avuta la giurisdizionalizzazio- ne della procedura relativa al reclamo. Più nel dettaglio la competenza del giudice del lavoro deve ritenersi derogata in favore del Magistrato di sorveglianza24La legge n.663 volle recepire le critiche di giurisprudenza e dottrina prevedendo che la competenza rimanesse del Magistrato di sor- veglianza però si intervenne sull'art 69 O.P. che, così modicato, rinviava alla procedura ex art 14 ter il quale prevede il rito camerale dinanzi al Magistrato di sorveglianza che decide con ordinanza ricorribile in Cas- sazione. Questo procedimento prevede la partecipazione del difensore e del pm e la possibilità per il detenuto e l'amministrazione di presentare memorie.

Nonostante la novella della legge n.663 parte della dottrina e della giuri- sprudenza continuarono a chiedersi se per la tutela dei diritti del lavoratore- detenuto fosse suciente l'impianto degli articoli 69 e 14ter. Tentò di fare chiarezza la Corte di Cassazione a sezioni unite che con sentenze n.490 e n.899 del 1999 sostanzialmente, conferma l'impianto della legge Gozzini sostenendo che la attribuzione di competenza al Magistrato di sorveglian- za appariva "giuridicamente ragionevole" attese le garanzie giurisdizionali assicurate al lavoratore e le peculiartià del rapporto "inserito in un con-

22Nel periodo intercorrente tra questa pronuncia della Corte Costituzionale e la

legge Gozzini del 1986 la situazione era la seguente: il pretore in veste di giudice del lavoro era competente per le controversie di lavoro tra lavoratori detenuti e datori di lavoro privati mentre il tribunale amministrativo era competente per le controversie fra lavoratori detenuti e enti pubblici o amministrazione penitenziaria. Tesi sostenuta da G.Vidiri, op.cit, 48.

23G.Caputo, Detenuti- lavoratori o lavoratori-detenuti?, Costituzionalismo.it,

fascicolo 2, 2015.

24Le Sezioni Unite della Cassazione precisarono che il giudice del lavoro sarebbe

testo di attività del detenuto strettamente connesse e consequenziali alla pena e, pertanto, istituzionalmente sottoposte alla sorveglianza del giudi- ce penale". Dello stesso avviso le pronunce successive della Corte di cas- sazione con cui dichiara manifestamente infondata la questione inerente la legittimità dell'attribuzione, fatta dalla legge Gozzini, al Magistrato di sorveglianza in materia di lavoro penitenziario.

Fino a questo momento, però, tutte le pronunce avevano riguardato le controversie tra lavoratore-detenuto e amministrazione penitenziaria. Ci si chiese allora se lo stesso discorso potesse farsi anche per quelle con- troversie tra lavoratore-detenuto e datore diverso dall'amministrazione penitenziaria, ossia un datore privato. La Cassazione ebbe modo di pro- nunciarsi su tale tematica con sentenza n.43157 del 2004; la vicenda vede un detenuto proporre ricorso al Giudice del lavoro per chiedere il rico- noscimento di un rapporto di lavoro subordinato nell'attività che aveva prestato come detenuto presso una cooperativa. Il Giudice del lavoro, richiamando la giurisprudenza della Cassazione aveva negato la propria competenza a favore di quella del Magistrato di sorveglianza a cui il de- tenuto aveva quindi presentato reclamo ex art 69 O.P. Il Magistrato di sorveglianza a sua volta aveva sollevato conitto di competenza negati- va sostenendo di non avere competenza perchè il rapporto in analisi non era intercorrente tra detenuto ed amministrazione ma tra detenuto ed un terzo, segnatamente una cooperativa.

Però a ben vedere l'art 14 ter prevede la possibilità di partecipazione solo per il difensore e il pm con la conseguenza che i terzi estranei non avrebbero potuto partecipare al procedimento.

La Corte di Cassazione non volle discostarsi dall'orientamento delle se- zioni unite e rilevò che il Magistrato di sorveglianza si era dichiarato incompetente sulla base di una distinzione non operata dal Legislatore, tra lavoro alle dipendenze dell'amministrazione e lavoro prestato pres- so estranei; inoltre, la corte sostenne che l'intenzione del legislatore era stata quella di prevedere che tutto ciò che ineriva il rapporto di lavoro che coinvolge un detenuto deve pur sempre interessare l'amministrazio- ne penitenziaria. Si spiega così il modo attraverso cui la corte aggira la dicoltà evidenziata prima, con riferimento all'art 14ter inerente l'im- possibilità di far partecipare la cooperativa al procedimento: in caso di lavoro alle dipendenze di terzi la controparte per il detenuto è pur sempre l'amministrazione penitenziaria "non potendo egli essere parte contraente in autonomia con un estraneo e dovendo sempre passare attraverso l'am-

ministrazione proprio perchè il suo lavoro è una modalità di esecuzione della pena".

L'indirizzo della Cassazione prestava il anco a diversi rilievi critici: Innanzitutto ne deriva la scarsa eettività del contraddittorio in quanto detenuto e datore hanno solo facoltà di presentare memorie scritte perchè non è prevista la loro presenza in udienza. Inoltre il provvedimento del Magistrato di sorveglianza è solo ricorribile in Cassazione in termini ri- stretti. Ulteriormente si pongono dei dubbi sulla terzietà del Magistrato di sorveglianza, dal punto di vista soggettivo per la stretta interazione con le direzioni delle carceri e dal punto di vista oggettivo perchè si oc- cupa della vigilanza sull'esecuzione di pena con il rischio di sovrapporre e confondere il piano punitivo e quello lavoristico. Con questo indirizzo, la Cassazione avalla ancora la facoltà dell'amministrazione di non ottem- perare alla statuizione del Magistrato di sorveglianza. Ed inne, più di ogni più di ogni altra critica, va segnalata quella inerente la competenza del Magistrato di sorveglianza anche per i rapporti di lavoro tra detenuto e soggetti privati. Quindi si devolve al giudice preposto alla sorveglianza sul rapporto punitivo, una vicenda eminentemente privata.

Le critiche della dottrina a tale impianto diedero la stura ad un ridi- mensionamento, da parte della giurisprudenza di merito, della portata pratica delle sentenza della Corte di Cassazione: si riaermò la alterna- tività dei due strumenti giurisdizionali oerti dall'ordinamento, reclamo al Magistrato di sorveglianza o ricorso al Giudice del lavoro ex art 409 c.p.c.

Su questo stato di cose si abbatte la sentenza demolitoria della Corte Costituzionale, la n.341 del 2006. Si rimarca sostanzialmente l'avvenu- to passaggio dalla gura di detenuto-lavorante a quella di lavoratore- detenuto che in quanto tale è titolare di una serie di diritti uti persona che non possono venir tutelati con minor ecacia a causa dello stato di detenzione.

Più nello specico il giudice rimettente solleva questione di legittimità co- stituzionale rilevando che la procedura dell'articolo 14ter non prevedeva la partecipazione diretta del detenuto che è rappresentato dal difensore e può solo presentare memorie; si rileva che il datore è in una posizione ancora peggiore posto che non può partecipare all'udienza neppure per il tramite del difensore; il giudice a quo rileva, ancora ed ingenerale, la discriminazione per ciò che attiene la tutela giurisdizionale tra lavoratori detenuti e quelli non ristretti nella propria libertà personale. La Corte

costituzionale accoglie le censure del giudice rimettente ed aerma che l'estensione del procedimento di cui all'articolo 14ter della legge 354/75, richiamato dall'articolo 69 sesto comma lett. a) per tutte le controversie civili nascenti dalle prestazioni lavorative dei detenuti, nisce per com- primere notevolmente le garanzie giurisdizionali essenziali riconosciute a tutti i cittadini. La Corte con tale pronuncia, specica che la congura- zione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro dei detenuti possono non coincidere con quelle del lavoro libero solo se "risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena, e per assicurare, con la previsione di speciche modalità di svolgimento del processo, le corrispondenti esigenze organiz- zative dell'amministrazione penitenziaria". La Corte inoltre rileva che è illegittima ogni "irrazionale e ingiusticata discriminazione" riguardante i diritti nascenti da prestazioni lavorative tra i detenuti e gli altri citta- dini. Si precisa che i diritti delle parti coinvolte devono essere tutelati in sede giurisdizionale e "tali diritti non sono soltanto quelli dei detenuti, ma anche quelli degli altri soggetti del rapporto, quali i datori di lavoro, che non devono subire indirettamente menomazioni della propria sfera giuri- dica per il solo fatto di avere stipulato contratti con persone sottoposte a restrizione della libertà personale"25. Ed inne la Corte rileva che l'am- ministrazione penitenziaria non può sottrarsi alle decisioni dell'autorità giudiziaria adducendo superiori esigenze di carattere organizzativo. La Corte conclude con una pronuncia di illegittimità secca dell'articolo 69, comma sesto, lettera a) in ragione della considerazione per la quale il detenuto e l'amministrazione hanno diritto a far valere le proprie pretese nel corso di un procedimento giurisdizionale basato sul contraddittorio, come previsto dagli articoli 24, secondo comma e 111, secondo comma della Costituzione.

La Corte, comunque, quasi in ultra petitum trasferisce, di fatto, al Giu- dice del lavoro l'intera competenza in materia di controversie lavoristiche in ambito penitenziario. Rimangono, invece, di competenza del Magi- strato di sorveglianza i reclami di cui alla lettera b) del sesto comma dell'articolo 69 relativi alle condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 22 marzo - 27 aprile 2007, n.10046 si colloca nel solco della summenzionata sentenza della Corte Costituzionale; la suprema corte richiamando la sentenza del-

la consulta ribadisce che per le controversie inerenti l'attività lavorativa dei detenuti, sia alle dipendenze dell'amministrazione che dei privati, è competente il giudice ordinario nella funzione di giudice del lavoro ai sensi degli articoli 409 e seguenti del c.p.c.

Per completezza di esposizione è opportuno precisare che l'articolo 69 O.P.è stato modicato dal decreto legge del 2013 n.146 recante Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di ridu- zione controllata della popolazione carceraria convertito in l.10 del 2014. L'articolo 3 lettera a) di tale decreto ridisciplina il procedimento per re- clamo dinanzi al Magistrato di sorveglianza di cui all'articolo 69 comma sesto. Si tratta di un decreto adottato a seguito della sentenza della Cor- te Europea di diritti dell'uomo che condanna l'Italia per la violazione dell'articolo 3 della CEDU inerente il divieto di tortura a causa delle inu- mane condizioni di detenzione dovute al sovraolamento carcerario. La Corte rileva anche l'assenza nell'ordinamento italiano sia di rimedi eet- tivi che consentano di intervenire per interrompere una violazione in atto ( cc.dd. rimedi preventivi), sia di rimedi necessari a fornire un'adegua- ta riparazione del danno subito a causa della violazione (cc.dd. rimedi compensativi). I rimedi preventivi e compensativi previsti dall'ordina- mento italiano (quanto ai primi il reclamo ex artt. 35 e 69 O.P. quanto ai secondi l'azione civile per il risarcimento del danno) non sono stati ritenuti eettivi dalla Corte che ha, quindi, imposto allo Stato italiano di dotarsi di un sistema di ricorsi interni contro le violazioni dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. La Corte europea ha cosi posto le basi e le premesse per un intervento normativo in materia che si è avuto con il d.l. 23 dicembre 2013 n.146 convertito nella legge 21 febbraio 2014 n.10. Segnatamente è l'articolo 3 del decreto ad aver intro- dotto il nuovo articolo 35bis inerente proprio il procedimento di reclamo giurisdizionale.