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Terza parte: Organismo/ente per la formazione, il

3.2 Il tavolo 8 sul lavoro penitenziario

3.2.3 Terza parte: Organismo/ente per la formazione, il

Nella terza parte della relazione nale si evidenziano i dati e le statisti- che del lavoro dei detenuti, i modelli attuali di organizzazione del lavoro

negli istituti penitenziari e le ragioni del mancato sviluppo delle lavo- razioni negli istituti. L'analisi statistica si riferisce ai dati in possesso dell'amministrazione penitenziaria riferibili al 2014. La situazione al 30 dicembre 2015 (i dati in questione sono gli ultimi messi a disposizione dal Ministero) è sensibilmente migliorata in quanto si registra un aumento complessivo dei lavoranti, di circa mille unità, ossia 15.524. Di questi la stragrande maggioranza lavora alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, ossia 13.140 detenuti ripartiti tra lavorazioni, colonie agri- cole, servizi d'istituto, manutenzione ordinaria dei fabbricati e detenuti impiegati in servizi extramurari ex articolo 21 O.P. stipendiati dall'am- ministrazione penitenziaria. I lavoratori detenuti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria sono 2.384 ripartiti tra semiliberi ( in proprio o per datori di lavoro esterni), lavoratori all'esterno ex articolo 21 O.P., lavoranti in istituto per conto di imprese e cooperative7. I dati fotografano una situazione chiara: la maggior parte dei detenuti so- no impiegati in lavori semplici e poco professionalizzanti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria ( eccezion fatta per i lavori di ma- nutenzione ordinaria dei fabbricati, quali elettricista, imbianchino, ma- novale, carpentiere). La restante parte di detenuti, assai esigua, ha la fortuna e il merito di poter essere impiegata in attività che consentono di apprendere delle conoscenze ed abilità spendibili anche all'esterno. Bisogna però dire che la situazione attuale non è altro che il frutto di una politica avviata a partire dal 1975 quando con il nuovo ordinamento penitenziario si vollero escludere i privati dalla realtà del lavoro carcerario e con essi anche l'inviso istituto dell'appalto di manodopera carceraria. Di lì a poco il numero dei detenuti impiegati in attivià lavorative conobbe una decrescita costante a cui non potè e non riuscì a rimediare nemmeno l'intervento normativo del 1993 con cui si introdusse l'articolo 20bis O.P. che consentiva di adare a persone estranee ed esterne, con contratto d'opera, la direzione tecnica delle lavorazioni.

Gli esperti del tavolo segnalano che la debolezza maggiore sta nel fatto che il compito di organizzare le lavorazioni e procacciare le occasioni di lavoro è adato all'amministrazione penitenziaria che non ha le cono- scenze e le competenze in materia di impresa e di mercato del lavoro ma soprattutto non ha la vocazione ad assolvere a questo compito essendo, invece, naturalisticamente preposta alla gestione e vigilanza dei detenuti e dell'istituto.

7Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ucio per lo sviluppo

A questo stato di cose si è cercato di rimediare con il Regolamento di esecuzione del 2000 e con la legge Smuraglia dello stesso anno. Con il primo si è previsto, tra le altre cose, che le imprese e le cooperative che organizzano lavorazioni carcerarie possono ottenere i locali in comodato gratuito e a queste può essere assegnata la gestione dei servizi d'istituto. La legge Smuraglia ha invece previsto degli sgravi scali e contributi- vi per le imprese che assumono detenuti. I risultati sono stati inferiori alle aspettative però c'è comunque da rilevare che soprattutto in ambi- to cooperativistico si sono sviluppate delle iniziative interessanti nel cui contesto è sorta una specie di know-how dell'impresa in carcere che fa ben sperare rispetto ad un auspicabile allargamento nel numero e nella qualità di iniziative lavorative coinvolgenti i detenuti.

La terza parte della relazione si chiude con un tentativo di sintesi delle ragioni del mancato sviluppo delle lavorazioni negli istituti penitenziari: ˆ alla base di tutto certamente vi è il livello di istruzione molto bas- so dei detenuti e l'assenza di competenze lavorative che rendono poco appetibile le lavorazioni che vedono impiegati detenuti. In realtà però la relazione segnala come questo dato sia più frutto del- l'esperienza pratica degli istituti che di una rilevazione sistematica compiuta dall'amministrazione che non è in grado di fornire un da- to certo sul livello di scolarizzazione dei reclusi che sarebbe invece necessario ai ni del collocamento lavorativo

ˆ altro elemento ostativo è senz'altro inerente le condizioni di salute dei detenuti che per 1/3 sono tossicodipendenti e in quanto tali de- stinati a programmi di disintossicazione. Trascurato sembra essere, come emerge dalla relazione, il dato inerente i disagi psichici che invece sembrano riguardare una percentuale altissima di detenuti ˆ in precedenza si è omesso di segnalare come il "relativamente cospi-

cuo" numero di detenuti impiegati alle dipendenze dell'amministra- zione penitenziaria si debba al serrato turn-over che vede alternarsi più detenuti sullo stesso posto di lavoro per poche ore ciascuno ˆ non va trascurato il dato dell'organizzazione carceraria poichè ri-

sulta dicile conciliare il regime carcerario con le esigenze di pro- duttività delle imprese

ˆ è stata evidenziata la mancanza di un'organizzazione centralizzata in quanto si è rilevato come le esperienze lavorative più interes- santi nascono in condizioni particolari, quali l'iniziativa di singoli

amministratori penitenziari, la gestione privata, favorevoli contesti detentivi ( ridotto turn-over, popolazione detenuta poco proble- matica), ma dicilmente generalizzabili ed elevabili a modelli da replicare in qualsiasi altro istituto

ˆ inoltre vanno segnalati i limiti della formazione professionale, os- sia la mancanza di una progettualità nella formazione professionale dei detenuti che invece sarebbe indispensabile tanto per l'eventuale collocamento durante la detenzione ma anche e soprattutto per il futuro reingresso nella società

ˆ inne un rilievo ai bistrattati servizi domestici che nella realtà di tutti i giorni si traducono in lavori semplici e poco professionaliz- zanti ma che potrebbero essere accompagnati da corsi di formazio- ne e organizzati secondo logiche imprenditoriali cosi da conferire a detenuti delle competenze speciche spendibili all'esterno

Le criticità qui messe in evidenza spingono ad una riessione circa l'op- portunità di adare la promozione e lo sviluppo del lavoro nelle carceri ad un apposito organismo o ente dotato delle necessarie competenze in materia di marketing, organizzazione produttiva e gestione del personale. Un modello da seguire, si evidenzia nella relazione, potrebbe essere quel- lo del CIRE spagnolo, il Centre d'Iniciatives per a la Reinserciò, attivo in Catalogna che consentirebbe di organizzare e connettere formazione e lavoro servendosi di personale e di strumenti capaci di individuare le necessità del mercato del lavoro, di procacciare occasioni di lavoro per il carcere, di organizzare e sovraintendere alle lavorazioni e di sostenere il detenuto una volta tornato in libertà.

3.2.4 Quarta parte: alcune idee in materia di organizza-