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Il lavoro al “monte”: dall’antichità all’occupazione francese

Capitolo I: Caratteri storici

1.6 Millenni di storia apuana: spunti per l’identità carrarese

1.6.1 Il lavoro al “monte”: dall’antichità all’occupazione francese

Dal rapporto del Prefetto di Massa e Carrara al Presidente del Consiglio, anno 1904: <<…gli operai che vanno alle cave sono circa 12000, in buona parte anarchici, gli

altri socialisti. Costoro, più che anarchici sono scontenti dalla vita che sono costretti a condurre, sempre in mezzo alle montagne, con un mestiere rude e titanico, che li costringe a cozzare contro la natura per cavarne un utile che non viene nelle loro tasche ma in quelle del padrone.

Possono lavorare solo in date ore al giorno e dopo aver fatto parecchi chilometri e se piove devono smettere per cui il lavoro è intermittente e il pane insicuro…

Il genere di vita che conducono, sempre alle prese con l’intemperie, con le forze vive della natura, lontani da ogni consorzio, da ogni gioia, da ogni carezza, li porta naturalmente a formarsi un carattere cupo e avverso alla società dalla quale sono costretti a stare lontano.

Quando vanno al lavoro baciano la moglie e i figli come se partissero per un viaggio che non ha ritorno>>.

(Archivio Stato di Massa e Carrara, atti Prefettura)221

Il marmo è ricchezza che produce ricchezza, è materia solida che diventa creatività artistica, materiale delle mani, della mente, dello spirito. Verità o leggenda che sia,

221 GEMINIANI B., Dalla storia un monumento. Millenni di Lavoro Apuano, Sarzana, Industria

92 significativo è ciò che si racconta di Michelangelo personalmente salito a esaminare e scegliere il blocco nel quale la sua illuminazione artistica anticipava le forme da rappresentare. Comunque sia, è l’uomo che ha saputo piegare la rigida immobilità del marmo alla propria operosità e genialità sin dai tempi remoti.

La storia non si è arrestata. Il paesaggio apuano ci presenta la vicenda del lavoro e dell’uso del marmo segnata dal sudore, rabbia, soddisfazione, persino morte, ma anche quel comune sentire che fa di un gruppo una comunità.

Dicono gli anziani che il cavatore, pur uscendo di casa prima dell’alba, non lasciava mai il letto sfatto, nel timore, sempre presente, di una disgrazia mortale che ve lo riportasse per l’estremo saluto agli amici: saluto da ricevere nella dignità del suo apparire anche formale.

Fra le molteplici attività umane quella che si svolge nelle cave e nelle miniere fu, per certi aspetti, la più tragicamente legata al parallelo tra lavoro e sacrificio; oggi, però, l’evoluzione e la complicazione del mondo produttivo hanno mutato la realtà anche in materia di rischi. Gli eventi tragici e le conseguenze ambientali scaturite a partire dal dopoguerra, caratterizzati dallo sviluppo delle attività industriali non strettamente legate al marmo, hanno segnato uomini e siti con una intensità che, negli oltre duemila anni di pratica estrattiva, era stata più attenuata nel tempo e meno avvertita222.

Prima della civiltà propriamente industriale, comunque, soprattutto cave e miniere furono emblemi di rischio e di tragicità: non a caso, nell’antichità, cavatori e minatori venivano definiti “damnati ad metalla” 223.

Le più remote testimonianze del lavoro umano sono in pietra. Semplici segni incisi sulla roccia, e pietre trasformate con lavoro ed arte non appena l’uomo si appropriò meglio del proprio ingegno e degli strumenti. Cominciò, così, non solo la storia documentata del lavoro umano ma la storia vera e propria, cioè un vivere che non fu più semplice sopravvivenza di esseri viventi nutriti da ciò che la natura dava loro spontaneamente, ma vita di uomini capaci di affrontare e trasformare la natura stessa.

222AGORA’, Mensile del Comune di Carrara, Carrara, Società Editrice Apuana, Anno V, n.3, agosto

2009, p. 24.

223 MASSARI S. (a cura di), Dal masso alla forma viva, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni

93 I documenti più antichi del lavoro apuano sono le statue stele scolpite e collocate in epoca preistorica. Al di là delle molteplici interpretazioni possibili, esse rappresentano anche il lavoro e l’arte di antenati che, vivendo dei frutti della terra, avvertirono il bisogno e l’utilità di fissare nella pietra alcuni loro propositi224.

Le statue stele sono opera di contadini, o comunque di esseri preistorici, che, scolpendo, facevano un balzo in avanti nella storia delle attività umane: acquisivano l’uso della pietra non più a fini di sola sussistenza, e dalla produzione di strumenti in pietra per guerre e coltivazione passavano alla creazione di opere che esprimevano esigenze interiori. Da contadini si facevano “scultori”, in sostanza.

Sudore fin dall’origine, quindi, e purtroppo sangue, ma come impulso di civiltà. I popoli che hanno segnato le tappe fondamentali della civilizzazione hanno avuto in pietre e metalli, e nel lavoro conseguente, la materia privilegiata.

Una volta iniziata, da parte dei romani, l’escavazione marmifera a monte del Carrione, non furono solo le case e le mura di Luni ad essere costruite in marmo apuano, ma anche quello di Roma e dei maggiori centri della sua civiltà225.

Nacquero così lo sviluppo e la fama di una terra e di un popolo: delle Apuane e degli Apuani: nacque la “Civiltà del Marmo” che, da allora, rimane una delle forme più esemplari e dinamiche del lavoro e dell’arte.

Nelle numerose cave apuane, a cielo aperto, il lavoro richiedeva naturalmente metodi diversi, e l’organizzazione del lavoro fu assai più evoluta. Dallo studio delle tecniche estrattive si può dedurre che esistevano almeno tre distinte fasi del ciclo produttivo: lo stacco dei blocchi dal fronte della cava mediante tagliate verticali a mano e spacco finale con cunei; la riquadratura dei blocchi da segnare in lastre o da scolpire a destinazione; la sbozzatura di parti architettoniche di serie, come colonne, basi e capitelli226. I blocchi riquadrati ed i semilavorati pronti per il trasporto venivano

224BOGGI R., Il gusto del quotidiano. L’artigianato funzionale in Lunigiana, in MICHELUCCI M.-

BERTOZZI M.- BOGGI R., Tra arte e industria. La tradizione artigiana in provincia di Massa –

Carrara, Carrara, Società Editrice Apuana s.r.l., 1997, p. 90.

225 REPETTI E., Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato: Ducato di Lucca Garfagnana e Lunigiana, Vol. I, Firenze, 1833, p. 373.

CANALI D., Il porto di Carrara tra passato e futuro, Cassa di Risparmio di Carrara, Massa – Carrara, Società Editrice Apuana, 1997.

226 PASSEGGIA L., Carrara e il mercato della scultura. Arte, gusto e cultura materiale in Italia, Europa e Stati Uniti tra XVIII e XIX secolo, Milano, Federico Motta, 2005, pp. 48-49.

94 marcati a punta con sigle che indicavano: l’officina, e cioè la squadra di lavoratori operanti nella cava; il settore della cava stessa (lo(co), bracchium); il nu(merum) del pezzo; il nome più o meno abbreviato del direttore delle cave (aedilis), o di uno dei capi del collegium di schiavi addetti all’estrazione (decurio), o del sorvegliante di cava (vilicus). Questi nomi erano spesso accompagnati in Età Augustea dalla sigla

Col(onia), segno che la proprietà della cava era della colonia di Luni, oppure

dall’indicazione di un privato (Flori servus), probabile concessionario. A partire dal 27 d. C., Tiberio confiscò anche le cave lunensi, e la formula che accompagnava il nome del tecnico responsabile diventò Caesaris servus227.

Nelle cave Apuane lavoravano schiavi (poi condannati ed infine Cristiani) non proprio “damnati” a condizioni inumane, ma messi alle dipendenze dei coloni lunensi, cioè di privati, in origine, e dell’Erario imperiale poi. La confisca delle cave migliori, e la loro inclusione nel patrimonio imperiale, avvenute, come detto poco sopra, infatti, soltanto al tempo di Tiberio, cioè dopo oltre un secolo dagli inizi dell’escavazione locale, mentre le cave minori rimasero sempre in mano ad operatori privati che, da Costantino (280-337 d.C.) in poi furono costretti a pagare il “vectigal”, sorta di tassa marmi primitiva228. Le esigenze produttive delle cave apuane, alcune delle quali già allora lavorate in regime concessorio, erano tale da sconsigliare l’impiego di operai preventivamente mutilati come nelle cave di porfido africano. La condizione fisica dei cavatori chiamati a soddisfare un’enorme richiesta di marmo doveva essere buona: doveva essere quella di schiavi atti ed abili ad un lavoro difficile più che quella di castigati a rapido sfinimento.

E’ bene comunque ricordare che la civiltà apuana era basata sull’agricoltura e a testimoniarne la primitiva origine agricola sono rimaste, le sopracitate, statue stele. Dopo queste, a testimoniare l’evoluzione del lavoro locale rimasero i reperti legati al marmo. Il più famoso di questi reperti è senza dubbio la celebre “Edicola dei

Fantiscritti”229. Questa straordinaria scultura, prodotta direttamente sul fianco della

227MANNONI T. e MANNONI L., I porti di Luni, in Il porto di Carrara - Storia e attualità, Genova,

Sagep, 1983, p. 44.

228DOLCI E, Carrara, la città e il marmo, Sarzana, Zappa Editore, 1985, p. 35.

229 TEDESCHI GRISANTI G., Un rilievo romano delle cave di Carrara: i Fantiscritti, Atti e

Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, 1975, ser. X, X, pp. 279-300.

95 montagna in epoca traiana, venne asportata soltanto nel secolo scorso e collocata nell’Accademia di Belle Arti. Essa rappresenta tre divinità, proprio come la celeberrima Triade Capitolina, ma con soggetti esprimenti, molto eloquentemente, altrettante specificità umane. Giove, l’autorità, Ercole, la forza concepita come sfida,

Bacco, la trasgressione.

Gli schiavi-scultori che scolpirono il monumento sotto la sorveglianza dei funzionari imperiali, forse avrebbero voluto esprimere con simboli più espliciti le loro intenzioni: magari con la figura di uno schiavo che si liberava, al modo antico poi ripreso da Michelangelo. Rappresentando quelle tre divinità, però, quei cavatori- scultori operavano una sintesi intelligente e significativa fra ciò che era consentito e ciò che doveva essere semplicemente alluso. Nel masso, nel vivo della montagna, nel luogo del lavoro quotidiano, non veniva effigiato né un imperatore né un simbolo del potere ufficiale, ma tre divinità molto allusive: l’autorità assoluta (Giove) stretta fra il simbolo della forza che sfida l’impossibile (Ercole) e quello di chi trasgredisce l’ufficialità costituita (Bacco). Un’opera dedicata agli uomini, quindi, più che ad astratte divinità.

A scolpire quel monumento direttamente sul monte erano stati gli stessi uomini che affrontavano ogni giorno le insidie del lavoro in cava e di tutte le fasi successive, compresa quella che includeva la lizzatura, o l’abbrivio, e il trasporto su carri fino al mare: tutte fasi di lavoro che richiedevano intelligenza oltreché forza. Non a caso un altro dei reperti archeologici più noti, rinvenuto a Colonnata nel 1856, è un cippo con un’iscrizione dedicata alla “Menti Bonae” (che la tradizione popolare ha ribattezzato della Mente Buona): cippo considerato un omaggio fatto all’intelligenza raffinata, alta, scolpito da uomini colti ridotti a schiavitù ma non domati, e meno che mai rassegnati230. Uomini ancora e sempre così vitali che spesso venivano strappati alle cave e inviati a combattere le battaglie più difficili, visto che la loro abitudine a lottare era quotidiana.

Il ventaglio dei siti con resti archeologici comprende tutta l’estensione di bacini oggi lavorati nel carrarese: Puccinacchia, Zampone, Pescina, Polvaccio, Fantiscritti, 230 GEMINIANI B., Dalla storia un monumento. Millenni di Lavoro Apuano, Sarzana, Industria

96 Canalgrande, Fossacava, Gioia, ed altri231. Al marmo escavato in questo ambito territoriale lavorava una popolazione formata da migliaia di unità, stabilita in un’organizzazione demografica che andava dai monti al mare.

Ai monti rimangono i reperti archeologici e varie tracce di lavorazione; così fu, anche se in misura minore, per la zona pedemontana, e giù fino all’imponenza di Luni sul litorale232.

In questo orgoglioso scenario nacque la civiltà del lavoro apuano: una civiltà di lavoro in cui la perizia tecnica e le attitudini applicate dalla fonte prima (il masso), alla trasformazione scultorea ed architettonica si legavano, per forza di natura e di fatti, in una produzione che iniziata dal lavoro finiva in arte.

Non a caso, quindi, i “Fantiscritti” furono scolpiti in cava, direttamente sul masso, in un ciclo di fatica manuale e di impegno artistico ed etico nato e concluso in cava, cioè in un ambito in cui l’uomo è capace di fatica quanto di ingegno.

Caduto l’Impero Romano la civiltà locale tornò agro-silvo-pastorale, come era stata ai suoi albori233.

Dopo secoli di fiorente escavazione marmifera che aveva imposto forme tecniche ed organizzazione conseguenti, venivano riacquisiti, e fissati meglio, quei caratteri di civiltà non legata al marmo che pure segnano la composita realtà apuana. E’ una realtà che in un ambito territorialmente limitato raccoglie tanti aspetti del lavoro umano, al punto da poter essere considerata un modello esemplare di coesistenza, non sempre organizzata, fra attività altrove ubicate in siti vasti e ben distinti.

La “Civiltà agricola” fu prevalente, quasi esclusiva, dalla caduta dell’Impero Romano al primo secolo dopo il mille. Ma dopo il mille, quando nei maggiori centri italiani ed europei riprese avvio lo sviluppo artistico ed architettonico, le cave

231 DOLCI E., Archeologia apuana. Iscrizioni. Lavorazioni. Cave antiche a Carrara, Lions Club

Massa e Carrara Host, Aulla, 2003.

BARTELLETTI A., PARIBENI E., “Ante e post Lunam. Splendore e ricchezza dei marmi apuani: I –

l’evo Antico”, Parco Regionale delle Alpi Apuane, Ripa di Seravezza (Lucca), Tipografia Graficatre,

2004, pp. 25-28.

232 In merito alla cava romana di Fossacava si veda AGORA’, Mensile del Comune di Carrara,

Carrara, Società Editrice Apuana, Anno I, n.7, novembre 2005, p. 21.

233 MANNONI T. e MANNONI L., I porti di Luni, in Il porto di Carrara - Storia e attualità, Genova,

97 tornarono attive e le conseguenze socio-economiche furono radicali234. L’organizzazione del lavoro attorno al marmo venne ripristinata sugli schemi di quella antica, con pochissime variazioni funzionali.

La massa di contadini e di pastori gravitante attorno alla zona del marmo tornò alle prese con una natura non più da coltivare, ma da addomesticare. I problemi che si riproponevano, a distanza di secoli dalla prima escavazione, erano gli stessi, e poco di nuovo si poteva introdurre nelle procedure di lavoro. L’inevitabile ripresa di antichi usi, costumi, sistemi produttivi, rafforzò il parallelo storico tra Carrara e Luni235.

Le innovazioni si riducevano a poca cosa, e riguardavano più che altro fasi intermedie come il trasporto dalla cava al poggio, con il definitivo prevalere della lizzatura sul preistorico sistema dell’abbrivio (far rotolare giù i blocchi di marmo, senza nessun controllo, fino a farli fermare su di un “letto” di detriti)236. Innovazioni simili, almeno sul piano della sicurezza, aggravavano la situazione anziché migliorarla. Non a caso, specie nel Medioevo, proprio il trasporto fu considerato degno di esempio nel campo dei prezzi da pagare. Alla fase della lizzatura, e alla fatica degli addetti, è sempre stata associata una visione particolarmente tragica del lavoro inerente al marmo, ciò anche in conseguenza della spettacolarità della lizzatura stessa. Un capo lizza o un uomo “di squadra” che rimaneva schiacciato sotto la “carica scappata”dai canapi, finiva per lasciare impressioni e perfino fantasie che hanno prodotto documenti straordinari.

Basta leggere la semplice descrizione della lizzatura per capire che la fantasia non aveva poi molto da inventare per creare apprensione: “La lizza è un sistema di

234 TEDESCHI GRISANTI G., Marmi lunensi di età romana reimpiegati a Pisa durante l’alto medioevo, in BARTELLETTI A. e AMORFINI A. (a cura di), ANTE ET POST LUNAM. Reimpiego e ripresa estrattiva dei marmi apuani, II – l’evo medio, Parco Regionale delle Alpi Apuane, Ripa di

Seravezza (Lucca), Tipografia Graficatre, 2004, pp. 29-33.

FRANZINI M., La ripresa, in epoca medioevale, dell’estrazione del marmo nella Toscana costiera, in BARTELLETTI A. e AMORFINI A. (a cura di), ANTE ET POST LUNAM. Reimpiego e ripresa

estrattiva dei marmi apuani, II – l’evo medio, Parco Regionale delle Alpi Apuane, Ripa di Seravezza

(Lucca), Tipografia Graficatre, 2004, p. 53.

235KLAPISH-ZUBER C., Carrara e i maestri del marmo, (1300-1600), Massa, Deputazione di storia

patria per le antiche provincie modenesi, Poligrafico Artioli, 1973.

236 GUANCI G., Guida all’archeologia industriale della Toscana, Campi Bisenzio, NTE, 2012, p.

98

trasporto abbastanza primitivo, che offre vari inconvenienti. In primo luogo è pericolosissimo, giacché talvolta un canapo si rompe ed il blocco scappa uccidendo qualche operaio, tal’altro si muove lateralmente e ne schiaccia qualcuno contro il monte. In secondo luogo è costosissimo, perché il consumo dei canapi è enorme”237. Lo stesso Michelangelo durante i suoi soggiorni presso le cave di marmo carraresi sfuggì alla morte: una volta durante la lizzatura di alcuni blocchi si ruppe un’olivella, il maestro si salvò ma un operaio morì schiacciato dal peso del carico238.

Figura 10) La lizzatura di un blocco di marmo

Fonte: archivio di famiglia

Michelangelo, oltre ad una grande quantità di contratti notarili, non lasciò opere in marmo a Carrara ma la tradizione popolare tramanda che il Maestro avrebbe voluto lasciare qualcosa di talmente incredibile da non poter poi essere realizzato: tutta una montagna ridotta a statua. L’idea era quella di riprodurre un colosso, un colossale

237 GEMINIANI B., Dalla storia un monumento. Millenni di Lavoro Apuano, Sarzana, Industria

Grafica Zappa, 1995, p. 53.

238BORGIOLI M. – GEMIGNANI B., Carrara e la sua gente. Tradizioni, ambiente, valori, storia, arte, Carrara, Stamperia Editoria Apuana, 1977, p. 46.

99 monumento al lavoro da scolpirsi in proporzioni e in modi tali da permettere la vista perfino ai naviganti transitanti al largo del litorale dal quale partivano marmi per tutto il mondo239. L’opera non fu mai realizzata, la memoria del progetto, però, rimane, e non si cancella.

Gli incidenti in cui era stato coinvolto lo stesso Michelangelo nella prima metà del XVI secolo, erano anche amaro frutto di un’agitazione produttiva che, per quanto intensa, non riusciva a soddisfare la vasta domanda di marmo: il superlavoro degli operai sembrava dover essere l’unico rimedio possibile.

I tempi della crisi, nella prima metà del XVI secolo erano ormai lontani: se esisteva un problema, almeno per il marmo di Carrara consisteva nella difficoltà di esaudire la vasta richiesta240.

E proprio il bisogno di adeguare l’offerta alla domanda favorì una rivoluzione nel sistema dell’escavazione: l’uso della polvere nera per abbattere gran quantità di “masso”: cioè la “varata” per mezzo di mine. Dai Romani in poi non c’era stata innovazione più radicale e fragorosa nel settore marmifero, e non ce ne fu una simile fino alla fine del 1800, quando venne introdotto alle cave l’uso del filo elicoidale241. Il brillare della prima mina in una cava venne considerato un avvenimento così eccezionale che Alberico I Cybo Malaspina, nel 1570, fece coniare addirittura una moneta, una “doppia d’argento” con riprodotto, nel verso, “un barile di polvere” in esplosione242. Ce n’era abbastanza da fare gioire i produttori tormentati da richieste ed acquirenti impazienti, ma c’era anche di che scandalizzare i naturalisti, che criticavano la follia del marmo, attività distruggeva le montagne. Insomma, Un tema di dibattito ancora attuale.

Erano ormai lontani gli anni in cui, prima dell’uso delle mine, gli operai addetti all’escavazione reclamavano la qualifica di “Maestri cavatori”, la famosa Ars 239 FREDIANI C., Ragionamento storico su le diverse gite che fece a Carrara Michelangelo Buonarroti, Massa - Carrara, Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, 1975. 240 KLAPISH-ZUBER C., Carrara e i maestri del marmo, (1300-1600), Massa, Deputazione di storia

patria per le antiche provincie modenesi, Poligrafico Artioli, 1973.

241BORGIOLI M. – GEMIGNANI B., Carrara e la sua gente. Tradizioni, ambiente, valori, storia, arte, Carrara, Stamperia Editoria Apuana, 1977, p. 46.

242 MASSARI S. (a cura di), Dal masso alla forma viva, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni

100 Marmoris243, per il modo in cui sapevano trattare il blocco da esportare nell’esatta misura richiesta, e senza danno per il resto del masso.

Al radicale cambiamento del sistema di escavazione, corrispondevano nuove condizioni di lavoro, e i “Maestri” di ieri si avviavano a diventare, sempre di più, “gente di fatica”.

Nel 1554, Alberico III (Genova 1534-Massa 1623) ottenne il governo di Carrara e del suo territorio e sotto il suo governo la città ricevette un nuovo forte impulso economico e culturale, per la grande richiesta del suo marmo pregiato e per la fama dei suoi scultori.

A Carrara gli effetti della buona congiuntura economica favorirono anche una notevole espansione della struttura urbana. Era, infatti, inevitabile che le famiglie più legate e, quindi, più avvantaggiate nella lavorazione marmifera, investissero i loro guadagni anche per dare uno stile nuovo alla loro città. Inevitabile e conseguente, quindi, l’avviarsi di una struttura urbana in netto contrasto con l’agglomerato precedente.

Fu così che, Alberico I Cybo – Malaspina, nel 1557, fece costruire anche un’altra cerchia di mura, conosciute sotto il nome di mura Albericiane che andarono a circondare un’area molto più vasta rispetto alle mura medioevali, raddoppiando la