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L’istituto delle vicinanze e la loro abolizione

Capitolo I: Caratteri storici

1.6 Millenni di storia apuana: spunti per l’identità carrarese

1.6.2 L’istituto delle vicinanze e la loro abolizione

E’ opportuno adesso prendere in esame da vicino le cosiddette vicinanze di Carrara, perché ogni discorso intorno ai giacimenti marmiferi apuani non può non portare a considerazione su queste organizzazioni della valle del Carrione, non fosse altro in considerazione del fatto che gran parte delle cave sono situate proprio negli agri vicinali.

Nella ricostruzione storica di queste organizzazioni si hanno due visioni della realtà. La prima tende a vedere le quattordici vicinanze (Colonnata, Bedizzano, Miseglia, Torano, Gragnana, Bergiola, Codena, Castelpoggio, Noceto, Sorgnano, Fontia, Moneta, Avenza, Carrara) come facenti parte di un ben articolato sistema amministrativo decentrato, con un regime di democrazia diretta nell’ambito della vicinanza, e di democrazia rappresentativa nel comune (di Carrara) che in definitiva costituisce una federazione di vicinanze267 e dunque tende ad individuare nel

266 PASSEGGIA L., Carrara e il mercato della scultura. Arte, gusto e cultura materiale in Italia, Europa e Stati Uniti tra XVIII e XIX secolo, Milano, Federico Motta, 2005, p. 19.

267 PICCIOLI G. - GEMIGNANI B., Gli ordinamenti della città di Carrara dal medioevo al XIX secolo. Saggi storico-giuridici, Carrara, Comune di Carrara, 1991, pp. 5-14.

108 territorio carrarese una comunità di valle268, dove il centro urbano rappresentato da

Carrara è in una situazione di assoluta parità con i singoli villaggi dell’antica curtis. Ogni vicinanza in definitiva è vista come una specie di corporazione dei cavatori, gelosa sia dell’arte di cavare il marmo sia della proprietà degli agri su cui si aprivano le cave269; una corporazione che nel corso dei secoli, con la sempre maggiore rilevanza del marmo nell’economia, aveva imparato ad accogliere i nuovi modelli industriali, venendo progressivamente in conflitto, soprattutto nel Settecento, con la nascente borghesia carrarese; la quale si sarebbe servita proprio del Comune cittadino come strumento amministrativo e politico per scalfire profondamente il sistema vicinale e ridurre, a proprio vantaggio, i diritti di proprietà dei cavatori delle vicinanze negli agri marmiferi e avrebbe poi ottenuto, al termine di un processo rivoluzionario di espropriazione270 (causa determinante delle lotte anarchiche otto - novecentesche), la definitiva soppressione delle vicinanze con l’editto di Felice Baciocchi; soppressione confermata poi da Maria Beatrice Cybo d’Este, con l’editto del 15 dicembre 1815.

La seconda visione invece tende a ridimensionare il ruolo delle vicinanze - viste come organizzazioni già da tempo in crisi - e al contrario ad esaltare quello dei nuovi ceti emergenti nel corso dei secoli dell’età moderna (dai guastamestieri alla borghesia intraprendente proveniente da fuori Ducato)271.

Una posizione intermedia tra questi due punti di vista è rappresentata dalla teoria che, se da una parte non concorda con le conclusioni del primo filone (che imputa proprio a questa circostanza l’origine del movimento anarchico) e dall’altra non accoglie neppure la tesi che vede le vicinanze in crisi già agli albori dell’età moderna, sostiene che la loro sopravvivenza, fino al 1812, può anche significare che ci troviamo in presenza di organismi in parte diversi dalle più antiche organizzazioni 268 In merito alla comunità di valle, che rientra, comunque, nel più generale fenomeno associativo

delle vicinìe, si veda BELLOMO M., Società e istituzioni dal medioevo agli inizi dell’età moderna, Roma, Il Cigno-Galileo Galilei, 1999, pp. 166-170.

269BERNIERI A., Storia di Carrara moderna, 1815-1935, Pisa, Pacini Editore, 1983, p. 15.

270BERNIERI A., Storia di Carrara moderna, 1815-1935, Pisa, Pacini Editore, 1983, p. 17.

271 GESTRI L., Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa-Carrara. Dall’unità d’Italia all’età giolittiana, Firenze, Olschki, 1976, pp. 38-40.

109 sociali degli abitanti dei villaggi carraresi272; nel Cinquecento e Seicento i poteri delle vicinanze risultano ancora molto vasti273, ma cominciano a rendersi evidenti alcuni segnali di disgregazione: gli statuti albericiani del 1574 e i bandi che si susseguono mirano tutti, infatti, a ridurre le autonomie delle comunità, siano esse il Comune o le vicinanze.

La decadenza di queste ultime, in particolare, può essere ricondotta a tre fattori verificatisi nel corso dell’età moderna: il progressivo rafforzamento del centro cittadino, con il conseguente spostamento dell’asse dei poteri decisionali dalla vicinanza al Comune; il continuo aumento demografico che mal si accorda con una struttura chiusa come le vicinanze; ed infine, l’apertura del commercio del marmo (1772)274.

Dopo pochi anni si arriverà all’emanazione del decreto di Felice Baciocchi (1812) e poi alla conferma in età della restaurazione della soppressione delle vicinanze (1815).

Alla fine è possibile affermare, per rendere comprensibile la soppressione delle vicinanze, che in questo periodo si è imposta la nuova idea di proprietà “individuale” che, con la Rivoluzione Francese rappresentava l’unico modello, di contro alla tradizione di diritto comune caratterizzata dalle sue molteplici e spesso complicate forme proprietarie “collettive”.

Se le vicinanze sono associazioni dei capifamiglia di uno stesso villaggio, fondate originariamente sul diritto di sangue e caratterizzate dalla proprietà collettiva di beni indivisi ed inalienabili, gli “agri”275, quale che sia stata la loro origine romana o altomedioevale, è evidente, infatti, che siamo in presenza di un tipico assetto decisamente comunitario e dove si ha una visione strettamente pratica del rapporto

272DELLA PINA M., La famiglia Del Medico, Carrara, Aldus Casa di Edizioni, 1996, p. 21.

273 Tali poteri erano al contempo di tipo pubblicistico e privatistico; si andava dall’elezione dei

parroci con l’amministrazione dei beni delle chiese, alla manutenzione delle strade, la gestione di mulini e folli vicinali, lo sfruttamento degli agri mermiferi; in tal merito si veda ROMBALDI O.,

L’economia di Massa e Carrara nell’età napoleonica e nella Restaurazione (1796-1831), in Atti e

Memorie del Convegno tenuto a Massa e Carrara 31 agosto - 2 settembre 1979, Modena, Aedes Muratoriana, 1980, pp. 153,186.

274 MERUSI F. e GIOMI V., La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, G.

Giappichelli editore, 2007, p. 54.

110 con i beni276, al pari di quanto si è verificato nel corso dei secoli in altre zone montane, alpine e della dorsale appenninica.

E’ da notare allora che questo diverso modo di possedere trova la sua morte con l’ideologia che sta alla base della Rivoluzione Francese; e non viene riproposto neppure con la Restaurazione, perché, evidentemente, le idee di semplificazione, sostenute dalla borghesia mercantile, che hanno condotto alla soppressione delle vicinanze, restano solidi anche con il ritorno della vecchia sovrana.