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Il legame con il luogo/l’area territoriale specifica

CAPITOLO 2 IL LEGAME MARCA – TERRITORIO

2.2. Paese ed area territoriale di origine

2.2.3. Il legame con il luogo/l’area territoriale specifica

La letteratura si è dedicata per molti anni allo studio del legame fra marca e Paese di origine, ponendo poca attenzione al legame fra il luogo di origine e la marca e facendone in gran parte assimilare le nozioni individuate. Nel nostro lavoro, in accordo con Van Ittersum, Candel e Meulenberg (2003) molte delle caratteristiche evidenziate nella definizione del legame fra marca e Paese di origine verranno comprese nella definizione del legame fra marca ed area territoriale.

L’area territoriale è una delimitazione geografica di estensione inferiore rispetto allo Stato (Paese di origine) e che può essere assimilata ad un comune, una provincia, una regione o area metropolitana.

Il legame con il luogo di origine offre delle possibilità uniche rispetto al legame con il Paese di origine (Kapferer, 2002, Van Ittersum, Candel e Meulenberg, 2003):

 In primo luogo l’immagine risulta maggiormente coerente e compatta poiché le aree territoriali sono caratterizzate da maggiore omogeneità interna in termini di ideologie, convinzioni e rapporto con l’ambiente rispetto ad uno Stato nella sua interezza;

 In secondo luogo, le possibilità offerte da un’etichetta riferita ad un’area specifica permettono di differenziare i prodotti sia nei confronti dei concorrenti stranieri che nei confronti dei concorrenti nazionali. Un esempio di ciò è rinvenibile nel mercato italiano del vino. Il vino italiano è famoso in tutto il mondo ma le differenze fra i tipi di uve coltivate nelle regioni italiane consentono di differenziare l’offerta di vino nei confronti della concorrenza nazionale oltre che internazionale.

La capacità di distinguersi è probabilmente la caratteristica che più di tutte attrae l’interesse, soprattutto in paesi nei quali la capacità distintiva è da sempre un punto di forza (ad esempio l’Italia). In questo verso si muove Paolo De Castro (2004) che pone

l’accento, oltre che sull’opportunità intrinseca che può offrire la distinzione basata sull’esaltazione delle tradizioni unite all’innovazione tecnologica, anche sul fattore sicurezza, che negli ultimi anni, dopo lo scandalo legato alla Encefalopatia spongiforme bovina (conosciuto comunemente come “morbo della mucca pazza”) di inizio secolo, ha guadagnato enorme interesse presso i consumatori, che danno maggiore rilevanza all’etichetta e quindi alla provenienza dei prodotti che acquistano. Citando testualmente “Oggi la gente vuole sapere di più del prodotto, non si accontenta di un prodotto buono, ma vuole sapere cosa c’è dietro a quel prodotto, che fatica umana è stata realizzata per arrivare a quel prodotto” (De Castro, 2004, p. 66).

Un ruolo molto importante per garantire nel tempo il valore della tradizione e della marca territoriale è rappresentata (soprattutto con riferimento al settore dell’agroalimentare) anche dai marchi collettivi che permettono ad imprese di piccole dimensioni di ottenere supporto comunicazionale ed essere tutelate dalla concorrenza globale. La criticità del collegamento con l’area geografica sta proprio nella capacità della marca di rendere il consumatore partecipe del legame con il territorio e con la cultura di questo.

A sostegno dell’importanza della cultura nella marca territoriale si inserisce l’intervento, in parte anche provocatorio, di Jeremy Rifkin (2004): “se il funzionamento delle reti globali, del commercio nel ciberspazio e della produzione culturale rappresenta un aspetto della nuova politica del potere nel prossimo secolo, il recupero di un profondo scambio sociale, la ricostruzione di una fiducia e di un capitale sociale, il ristabilimento di forti comunità geografiche ne rappresentano l’altro lato. Per contrastare un’epoca sempre più dedicata a facili legami di breve durata, a realtà virtuali e ad esperienze mercificate, l’esortazione all’unione diventa: la geografia conta! La cultura importa!”. Sempre lo stesso autore individua un’importante elemento che molto spesso, a nostro avviso, non viene considerato nella definizione di una marca territoriale ed è rappresentato dalla condivisione: la cultura infatti non è un elemento da tenere in disparte, difendere e nascondere ma, all’opposto, da celebrare e condividere, e la marca locale, per poter auspicare di ottenere il successo che va cercando, deve il più possibile espandere e condividere attraverso la propria identità ed immagine la cultura del territorio che rappresenta.

2.2.3.1. I distretti industriali

Il distretto industriale rappresenta una tipologia di legame molto particolare con il territorio. Per distretto industriale si intende un insieme di imprese (piccole e medie solitamente) circoscritte in un’area territoriale che molte volte ha una rilevanza storica per il settore di appartenenza, specializzate in una fase del processo di produzione e interrelate le une con le altre per la condivisione di conoscenza, risorse e tecnologia (Becattini, 2000). Il legame con il territorio in questo caso è molto intenso, come intensi sono gli scambi di notorietà fra distretto e territorio. Le varie aziende che compongono il distretto riescono però difficilmente ad acquisire una elevata notorietà, per effetto della limitata estensione territoriale della propria azione, che spesso non travalica il distretto stesso (Rullani, 2006). I distretti industriali sono stati per anni la forza trainante del Made in Italy sia nei confronti della produzione nazionale che per la produzione internazionale; grazie alla conoscenza tacitamente condivisa all’interno del distretto ogni azienda contribuiva al successo del distretto e allo stesso tempo incrementava la notorietà e le associazioni del territorio con questo. I distretti industriali iniziarono ad incontrare i propri limiti quando l’avanzamento tecnologico, la smaterializzazione e la globalizzazione della produzione presero il sopravvento e vennero assunte delle scelte che in parte stravolsero le basi di questo. Per continuare ad operare infatti il distretto “deve cessare di essere un sistema auto-contenuto e deve ricorrere a fornitori, terzisti, produzioni delocalizzate, applicatori e distributori esterni, collocati in reti estese, che ampliano di molto l’area di azione delle imprese locali” (Corò e Micelli, 2006, Rullani, 2006 e 2009, p. 456). In questo modo il distretto evolve, “diventando un nodo specializzato di una rete multilocalizzata, che coinvolge altri luoghi e altri operatori, nel vasto circuito mondiale. In questa evoluzione, c’è una progressiva sostituzione delle precedenti vocazioni manifatturiere con attività che valorizzano compiti di ideazione, progettazione, logistica, gestione della qualità, commercializzazione e altre funzioni terziarie” (Rullani, 2009, p. 456). Pur evolvendo però il distretto mantiene le associazioni con il territorio dal quale è nato e permette di mantenere i legami con questo, che vengono riconosciuti ed esaltati dai consumatori, anche se in alcuni casi i brand preferiscono celare tale legame poiché sovente la provenienza distrettuale può associare la marca ad una scarsa innovazione nel prodotto (come sottolineato in

precedenza nei confronti dei brand aristocratici), soprattutto per il recente degrado di alcuni importanti distretti italiani fra i quali si può citare quello della scarpa tecnica di Montebelluna e quello del mobile nel padovano.