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Il margine di contribuzione di secondo livello

4. scelta del mix di vendita: tale decisione può essere scomposta in due scelte

3.1.2 Il margine di contribuzione di secondo livello

Mentre per le scelte di gestione operativa è sufficiente la conoscenza del costo variabile, in quanto è l’unico elemento che subisce delle variazioni nel breve periodo, per le decisioni di carattere strategico occorre considerare anche alcuni costi fissi. Tale constatazione deriva dal fatto che nel breve periodo le scelte sono finalizzate all’ottimizzazione della capacità produttiva installata, mentre nel medio-lungo termine sono possibili degli adeguamenti della struttura aziendale. Al fine di assumere tali decisioni si ritiene inadeguato imputare ai prodotti i costi comuni attraverso l’uso di criteri di ripartizione convenzionali, giungendo così alla determinazione del full cost, in quanto è un’operazione caratterizzata da un elevato grado di soggettività. Per tale motivo si procede assegnando alle varie produzioni, oltre ai costi variabili, anche i costi fissi speciali, cioè quei costi fissi che si riferiscono ad un solo oggetto di calcolo, rinunciando alla ripartizione dei costi comuni. La somma tra i costi variabili totali e i costi fissi speciali genera una configurazione di costo denominata da alcuni autori costo specifico o traceable cost, in quanto include tutti i costi speciali, sia fissi che variabili, rispetto all’oggetto di riferimento, e definita da altri autori costo variabile di lungo periodo, in quanto rappresenta il costo eliminabile nel lungo periodo nel caso in cui si decidesse di interrompere quella determinata produzione. Gli unici elementi di costo esclusi dal calcolo di tale figura parziale di costo sono i costi comuni, i quali vengono sostenuti a causa di più oggetti di calcolo. Pertanto, l’aggregato derivante dalla differenza tra i ricavi totali e il costo specifico o, analogamente, dalla differenza tra il margine di contribuzione di primo livello e i costi fissi speciali, ha lo scopo di contribuire alla copertura dei costi fissi comuni e, quando questi siano stati interamente coperti,

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contribuisce alla formazione dell’utile d’esercizio. Tale grandezza è denominata margine semilordo di contribuzione13 o margine di secondo livello.

MARGINE DI CONTRIBUZIONE DI 1° LIVELLO – COSTI FISSI SPECIALI

= MARGINE DI CONTRIBUZIONE DI 2° LIVELLO

Partendo dalla conoscenza di tale aggregato è possibile calcolare l’utile d’esercizio sottraendo i costi comuni; per evitare ripartizioni soggettive dei costi, prima si calcola il margine di secondo livello complessivo, dato dalla somma dei margini relativi a ciascun oggetto di calcolo e poi si tolgono i costi comuni. Con ciò si è voluto sottolineare come il calcolo dell’utile possa essere determinato con oggettività solo considerando l’impresa nel suo complesso, mentre nel calcolo di risultati analitici si rinuncia alla considerazione di tutti i costi sostenuti in azienda, al fine di non inficiare la correttezza e l’utilità delle informazioni sulle quali basare le proprie scelte. In altre parole, a livello analitico non si pretende di determinare la parte di reddito generata o che genererà un dato prodotto, ma ci si limita a conoscere la capacità di ogni prodotto di contribuire alla copertura dei costi fissi comuni e alla formazione dell’utile. Poiché il margine di secondo livello viene calcolato prendendo in considerazione anche una parte di costi fissi, viene utilizzato per prendere decisioni di medio-lungo periodo e, dal momento in cui vengono esclusi dal calcolo i costi fissi comuni è caratterizzato da una minore soggettività rispetto a calcoli effettuati sulla base del costo pieno. A differenza del margine di primo livello, il quale è determinato a partire dal margine di contribuzione unitario, non si ritiene utile, riferendosi al margine di secondo livello, procedere alla determinazione di un margine unitario, ma è preferibile calcolare solamente il margine totale. Tale constatazione è giustificata dall’inclusione nel calcolo del margine di secondo livello dei costi fissi speciali, la cui quota unitaria è influenzata dal volume sul quale tali costi vengono spalmati. Da quanto appena affermato si deduce che determinare il valore unitario del margine di secondo livello rappresenta un’operazione non oggettiva, in quanto tale

13 Alcuni autori definiscono tale grandezza margine di contribuzione netto, tuttavia si ritiene tale definizione

impropria in quanto il margine in considerazione non è al netto di tutti i costi, ma solo di quelli riferibili oggettivamente ad una determinata produzione. Per tale motivo nel presente lavoro si è preferito usare l’aggettivo semilordo per descrivere il summenzionato aggregato, riservando l’aggettivo netto per definire l’utile d’esercizio, il quale è dato dalla differenza tra i ricavi e tutti i costi, siano essi fissi, variabili, speciali o comuni.

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valore risulta variabile in funzione delle quantità. La ripartizione dei costi fissi, infatti, causa il fenomeno della cosiddetta variabilizzazione dei costi fissi, la quale rappresenta il principale limite del calcolo del costo pieno. È possibile rappresentare graficamente tale fenomeno come in fig. 3.5.

Fig. 3.5 Variabilizzazione dei costi fissi

Nel grafico, la retta parallela all’asse delle ascisse evidenzia come i costi fissi siano costanti al variare della quantità prodotta, mentre la retta crescente rappresenta in che modo i costi fissi vengono variabilizzati. Per la costruzione di quest’ultima retta è necessario fissare un certo volume produttivo (quello corrispondente al punto d’intersezione tra le due rette) e ripartire i costi fissi per tale quantità, al fine di determinare il coefficiente angolare. Risultato di tale operazione è il costo fisso unitario, che rappresenta l’inclinazione della retta.

Come si è detto, le decisioni assunte sulla base del margine di contribuzione di secondo livello sono decisioni di medio-lungo termine, le quali hanno un impatto sulla struttura aziendale; pertanto, a differenza delle decisioni di breve periodo, nelle quali la capacità produttiva viene considerata data, in quelle di lungo periodo la capacità produttiva è oggetto di scelta. Inoltre, l’espressione medio-lungo periodo sta a significare che le decisioni non vengono prese immediatamente, cioè non appena si dispone delle informazioni relative ai margini di secondo livello, ma è necessario far passare del tempo, in modo da verificare che il risultato, negativo o positivo, evidenziato in un determinato momento, persista anche nei periodi successivi. Ad esempio, procedere all’eliminazione di un prodotto che presenta, in un determinato momento, un risultato negativo potrebbe condurre a commettere degli errori qualora tale negatività sia stata determinata da particolari condizioni che hanno caratterizzato quello specifico periodo.

0 0.5 1 1.5 2 2.5 0 1 2 3 CF costi quantità prodotta costi fissi variabilizzati

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La conoscenza del margine di contribuzione di secondo livello è utile, in particolare, per decidere se chiudere o tenere aperto un determinato segmento produttivo, ovvero se procedere o meno all’eliminazione di un certo prodotto. Poiché i costi rilevanti per prendere una decisione sono quelli che variano a seconda dell’alternativa prescelta, nel caso in cui si consideri la possibilità di interrompere una produzione, i costi rilevanti sono quelli che sarebbe possibile eliminare, cioè i costi variabili e i costi fissi speciali. Da quanto appena affermato si deduce che è economicamente conveniente eliminare una certa produzione qualora sia caratterizzata da un margine di secondo livello ridotto o negativo e concentrarsi su prodotti con margini più elevati. Tuttavia tali valutazioni non possono prescindere da considerazioni di carattere strategico; a tal proposito non bisogna mai dimenticare che l’azienda è un complesso unitario composto da elementi interdipendenti, che viene disaggregato al fine di attuare una gestione efficace ed efficiente. In altri termini, prima di procedere all’eliminazione di un prodotto si deve considerare in che modo tale decisione si ripercuoterà sull’intera azienda e sull’andamento delle vendite degli altri beni o servizi offerti sul mercato. Sull’argomento Bordignon afferma:

«il margine semilordo di per sé non può fornire alcun indirizzo di carattere conclusivo per decidere se ritirare o meno dal mercato un bene o servizio. Molto spesso, infatti, valutazioni, riguardanti i possibili effetti e implicazioni di carattere strategico derivanti dall’eliminazione di un determinato prodotto, giocano un ruolo ben più fondamentale. Ad esempio, se il prodotto in questione è un bene o un servizio complementare ad un altro prodotto dell’impresa, l’eliminazione può non essere conveniente, in quanto potrebbe comportare la diminuzione delle vendite dell’altro prodotto, che verosimilmente potrebbe presentare un margine di contribuzione molto elevato. Analoghe considerazioni possono essere svolte nei casi in cui il prodotto candidato all’eliminazione sia un prodotto civetta»14.

Esistono, infatti, dei prodotti, definiti trainanti o prodotti civetta, che pur presentando un margine di secondo livello ridotto e in alcuni casi addirittura negativo, hanno la

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BORDIGNON MANUEL (2008), Il controllo di gestione. Strumenti, evoluzione, esigenze e potenzialità, Le Fonti, Milano, pp. 57-58.

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capacità di attirare clienti. Questi ultimi acquisteranno anche prodotti caratterizzati da margini positivi, in modo da coprire il margine negativo del prodotto civetta. In altre parole, per l’azienda è economicamente conveniente continuare a realizzare un prodotto trainante, seppur caratterizzato da un margine negativo, in quanto esso permette di vendere prodotti con margini elevati in grado di coprire l’eventuale perdita causata dal prodotto civetta.